Le tre “C” di Schlein che non risolvono il problema del Pd

Elly Schlein

C’è una fase nuova in Elly Schlein. Che comunque ha un limite. Non scalda i cuori, non tocca le corde profonde di quell’elettorato che ha tirato in remi in barca. E rischia di non tornare alle urne. Creando un nuovo psicodramma nel Pd

Non scalda i cuori. Non innesca i vecchi compagni e nemmeno gli amici: non la riconoscono come una dei loro. E per questo non mobilita. Il problema non è Elly Schlein ma un Partito Democratico che ha potato le radici profonde delle sue origini. Su tutte quella che vuole il Segretario Nazionale escluso da qualsiasi candidatura: se sei Segretario guidi il Partito, se fai il Premier guidi il Governo.

Il Segretario che oggi guida il Pd sarebbe uno straordinario dirigente di primissimo piano in un Partito plurale: che non manda i suoi leader che perdono le elezioni a scavare pozzi in Africa o sfamare i bambini nel mondo. Ma tiene le loro intelligenze a disposizione del Pd. Una delle regole delle radici era che l’aspirante Segretario sconfitto al Congresso andasse a fare il capo della Segreteria del vincitore. Altri tempi. Altri Partiti.

In attesa del miracolo di un risveglio del Pd dal coma, la prima urgenza per Elly Schlein è non seguire Ennio Flaiano nel suo caustico “l’insuccesso mi ha dato alla testa”. A traino di quella consapevolezza poi la Segretaria Dem dovrebbe capire che o si è prezzemolesse per vocazione/studio oppure si rischia di apparire come la panna nella carbonara: un indigeribile ed eretico “dippiù”.

Iperbole voluta, paradosso e disparità di contesti sono evidenti e si spera che siano stati colti, ma c’è una verità di fondo. Ed è quella per cui in politica una sacrosanta linea pubblicistica ha diritto agli aggiustamenti di rotta ma ha il dovere di non scarrocciare troppo. Messa meglio: la distanza tra chi sei e ciò che di te deve passare deve esserci, ma corta al punto da non farsi abisso.

Armocromia politica

(Foto: Alessia Mastropietro © Imagoeconomica)

L’armocromia non riguarda solo il modo di vestire. L’Italia è il Paese del buon gusto, ci viene naturale essere attratti da una buona “card” e dalle cromo regole. I punti di forza vanno esacerbati più di quanto non lo si debba fare con le “debolezze”. Non è disonestà, è solo l’unico modo possibile per creare una eventuale appetibilità elettorale di pronta beva e il gioco che contiene queste regole si chiama democrazia. Poi sulle zoppie si migliora ma magari a risultato centrato, ovvio. Lo facciamo tutti, ovunque.

Insomma, alzi la mano chi si sia mai trovato in mano un hamburger sputato uguale a quello multicolor decantato sulle insegne. Ecco, lì capiranno il contesto anche quelli che non hanno visto lo splendido “Un giorno di ordinaria follia” con Michael Douglas. Ma torniamo ad Elly Schlein, saltando magari a pie’ pari la parte in cui Il Foglio nei giorni scorsi ha citato perfino le “perplessità” di sua sorella Susanna in ordine alla sua avventura politica.

La fase 3 dopo l’autunno di impegno

Elly Schlein

Di “Sorelle d’Italia” in campo ne abbiamo un po’ troppe ed altra ciccia sul fuoco non ci serve. Schlein, dicevamo: esiste di fatto una fase 3, dopo estate militante ed autunno di impegno, con la quale la leader del Partito Democratico ha fatto una sorta di salto di qualità. E questa è la prima delle tre “C”, ovvero “comunicare”. Il cambiamento di rotta passa per due direttrici: più presenza sui temi che sono il brodo di coltura del Partito e meno snobismo in dosaggio e mood degli stessi.

Che significa? Che si è andati un upgrade di conferenze stampa, che si è (ancor) più attenti al look che è cambiata la gestualità. E veniamo alla seconda “C” che poi è carro-ponte della prima: “cambiamento”. La fissità un po’ ieratica e tiroidea con cui a Schlein esprimeva concetti giustissimi fino a metà estate sembra essere mutata in una sorta di scenografia nevrile.

La leader dem muove le mani e ci sottolinea i concetti quasi con la stessa tigna di Matteo Salvini. Qualcuno le ha detto o lei per prima ha compreso che da un po’ di lustri la politica italiana è mediamente regredita a livello di cercopitechi. E che un politico che quando dice “perbacco” falcia l’aria con la mano di taglio sembra uno che si sta davvero adombrando per un’ingiustizia. O che vive in ogni fibra il tondo entusiasmo per un risultato raggiunto, al punto tale da affidare le emozioni alla cinesica. Se poi per una stortura ti rode davvero, tanto meglio, ma deve passare, oltre che stare in petto.

“Muovi le mani come Salvini, cara”

Matteo Salvini (Foto: Carlo Lannutti © Imagoeconomica)

Insomma, oggi vanno alla grande gli spiegoni alla Lex Barker, il Tarzan degli anni ‘50 che usava i verbi solo all’infinito ma che con un guizzo di pettorale ti diceva tutti i discorsi di Churchill prima della Battaglia d’Inghilterra. Schlein aveva annunciato la sua segreteria su Instagram ma allora era ancora legata e sembrava Fantozzi che chiamava la chat erotica approfittando dell’assenza della moglie Pina.

Oggi no, non è più così. Sarà stato il semi successo a due di Foggia, sarà stata la Piazza romana condivisa con l’insider Landini, ma il dato c’è: la segretaria del Nazareno non è mai stata ruspante come in queste settimane.

E c’è stato tutto un picchettare maculato di comparsate media che hanno dato polpa al nuovo corso. Simone Canettieri nei giorni scorsi su Il Foglio ne ha sciorinate alcune: “E’ stata ospite di Fabio Fazio su Nove, di Radio Anch’io su Radio1, di In Onda su La7, di Fanpage, di Di Martedì su La7, di Piazzapulita” su La7, di Radio24 e di “In mezz’ora” su Rai3”. Non si è risparmiata ed è stata ecumenica nel suo New Age da microfono.

Due tipi di avversari: esterni ed interni

Elly Schlein (Foto: Giulia Palmigiani © Imagoeconomica)

Che lettura ci si potrebbe dare di un pastone così denso? Ve ne sarebbe anche qualcuna malevola ed interna. Cioè per cui in atto non sarebbe un’offensiva contro gli avversari esterni del destra centro, ma una controffensiva contro quelli interni delle correnti dem. Della serie, sul piano nazionale, facciamo terra bruciata attorno ai riformisti a suon di massimalismo e zitti tutti, alla Maneskin via.

Pare che in giro ci siano anche spin-doctor nuovi di pacca, a suggerire alla Schlein il nuovo approccio che era partito farlocco con la storia dell’armocromista. Si comunica meglio per fare politica meglio oppure si fa politica di sola comunicazione? Il distinguo c’è, perché se usi un mezzo senza farlo coincidere con il fine alla fine ti salvi. Tuttavia se rimani a ginocchia ferme nella palta di uno nuovo impianto ma senza metter su un disco nuovo poi perdi due volte.

E qual è il “nuovo disco” della Shlein? Ovvio – e qui siamo alla terza “C” – è quello delle Europee 2024. Cioè quello della capolista. La segretaria sta pensando da tempo di aggiogare la sua immagine personale alla corsa del suo Partito per la tornata elettorale più decisiva degli ultimi 20 anni. Un’eresia per chi viene da lontano: c’è stato un tempo nel quale era vietato esporre il volto dei candidati: e chi provava a derogare finiva di filato da probiviri con l’accusa di culto della personalità.

Bruxelles mon amour, o mia dannazione

Elly Schlein (Foto: Alessia Mastropietro © Imagoeconomica)

Invece qui si parte con le note gloriose. Quelle per cui fanno sapere dal Nazareno che “la copertura della pagina Facebook del Pd, negli ultimi 90 giorni, è stata di 2,8 milioni di persone raggiunte e 220 mila interazioni”. E “su Instagram, con 1,8 milioni di persone raggiunte le 532 mila interazioni, la crescita è stata addirittura del 44 per cento. E su Twitter-X raggiungiamo 5,3 milioni di persone”. Qualcuno spieghi alla Segretaria nazionale del Partito Democratico che se quei numeri diventassero voti, oggi l’ex presidente della Provincia di Frosinone Peppe Patrizi sarebbe Capo dello Stato. I social non sono le nuove Sezioni di Partito.

Insomma, sono le prove generali di un voto da cui dipenderanno non solo le sorti di una data ricetta politica, ma anche quelle schiette di chi quella ricetta la incarnerà come vessillifero e totem. E saranno il banco di prova della nuova visione Schlein.

Elly Schlein voleva arrivare a Natale attestata almeno ad un 21% di gradimento per lanciare poi l’offensiva di tardo inverno-primavera per Bruxelles. Repubblica invece parla di un “Pd al 19,3%: è il dato peggiore da quando c’è Schlein”. L’Unità, che da tempo ha una linea da “accabadora”, parla di “segno dell’inefficacia del nuovo corso al Nazareno”.

Di rottamatori, al Nazareno ne sono già passati. Con i risultati che sono ancora oggi evidenti. Nuovismo e modernismo non stanno scaldando. Perché il problema sta dalle radici. È per questo che Nicola Zingaretti invece riuscì dove altri hanno fallito: perché quella base che aveva smesso di andare a votare, all’improvviso lo ha riconosciuto e ci si è riconosciuta. Ed è tornata alle urne. Oggi le premesse non sono le stesse.

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