Zaia il freddo, Mario il caldo e la linea del Piave contro generale e Capitano

Un leader che per colpa di un generale rischia di perdere tutto l'esercito ed un candidato che grazie alla sua tattica potrebbe farcela

Si chiama Grecale ed è un vento freddo. Freddo come Luca Zaia con cui condivide la provenienza: il Nord Est. Quello stesso Nord Est su cui è attestata una sorta di linea del Piave e con una novità: stavolta lo “straniero” è Matteo Salvini. Straniero in casa sua per sopravvenuta sindrome da legnate elettorali alle Europee che ha innescato due fenomeni, tutti leghisti in purezza.

Il primo, cioè quello per il quale le fronde contro il Segretario e vicepremier hanno preso nerbo esponenziale. E non sono più relegate alle occasionali dichiarazioni di qualche isolato falco. No, il dissenso verso il Capitano ormai è organico, strutturato e strategicamente in attesa. Di cosa?

Qui veniamo al fenomeno due: una eventuale resa dei conti dopo il voto di giugno per Bruxelles darebbe la stura ad una compagine trasversale che include a sue volta due categorie. Quella di chi contro Salvini ci si è messo da subito e con chiarezza e quella di chi non è “contro” Salvini, ma che se poi ci si trovasse saprà mettere bene a frutto skill governiste lontane milioni di miglia dalla politica urlata del leader.

Abbruzese “comodo” tra gli estremi

Mario Abbruzzese firma la candidatura

Quella politica senza una bussola che ha portato Salvini a radicalizzare la campagna elettorale con la candidatura del generale Vannacci, ad esempio. Ed a cercare al contempo evanescenti sponde centriste in un Sud sul quale la sua Lega non ha mai avuto grip.

In mezzo a questi estremi ci sono quelli come Mario Abbruzzese, che corre per Bruxelles nell’Italia Centrale. E che è della Lega ma ricordandosi sempre che è innanzitutto un concretista. Uno che vuole mettere l’Europa in sintonia con i territori che la compongono. Poi che bada più al sodo delle istanze locali che alla Grande Scacchiera su cui si giocano le sorti dei “generali”, quelli con la greca vera e quelli sotto scacco di grecale.

L’ingegneria del consenso per Abbruzzese è e resta una cosa basica e praticona. In Europa serve gente che sappia davvero riannodare i rapporti fra Parlamento Ue: perché se quella continentale è l’elezione con la più bassa affluenza una ragione c’è ed è chiara. Ed è che gli elettori non sentono l’Europa, non ne percepiscono l’importanza delle scelte, non vedono le conseguenze pratiche e dirette di un’alzata di mano fatta a Bruxelles. Non sanno che se è in discussione il gestore del lido dove vanno da sempre a Scauri o Terracina, dipende da una visione europea delle concessioni. Non sanno che se le auto orientali stanno per soffocare l’industria automobilistica continentale dipende anche da un’agenda Ue che ha fatto di tutto per rallentare il loro avvento ma ha dovuto lasciare aperto un corridoio.

Un nodo inestricabile

Mario Abbruzzese ad Arezzo

Sta qui il concetto di “Europa dei Territori” che Abbruzzese sta tentando di portare avanti. Conciliandolo con il credo di una Lega delle origini, più vicina a Zaia, Bossi, Fedriga che a quella urlata ed in cerca di slogan che ha caratterizzato gli anni più recenti.

Ieri Abbruzese era ad Arezzo, nel suo terzo giro toscano dall’inizio della campagna elettorale: “Abbiamo parlato di Green Deal, agricoltura, infrastrutture e sicurezza. Il mio impegno a portare le vostre istanze nelle istituzioni europee è più saldo che mai. Il futuro della nostra comunità in Europa dipende da tutti noi! Uniamoci per un futuro europeo sostenibile e inclusivo per tutti”. La sostanza è altra. Ed è quella di un’Italia che in Europa non incide perché considera le elezioni Europee solo un test con cui misurare la popolarità del governo in carica a Palazzo Chigi e la solidità dell’opposizione in Parlamento. Nel resto della Ue non si sognano di candidare per finta i loro leader sapendo che a Bruxelles e Strasburgo non ci andranno. Candidano chi andrà a fare i loro interessi nazionali lì dove si fanno le leggi che scelgono anche chi mette gli ombrelloni a Scauri.

Salvini invece sta messo come Gordio ed è simbolo di un nodo inestricabile che Luca Zaia vuole tagliare di netto, non sciogliere. Perché Salvini a suo parere ha portato la Lega dove la Lega proprio non doveva andare. E perché sempre Salvini gli ha messo “in casa” un generale massimalista e piacioneggiante ma che ha meno sostanza di una cucchiaiata d’aria. (Leggi qui: Li Vannacci tua. E di chi non te lo dice).

Lega, Liga e legami ormai sciolti

Luca Zaia

A Zaia se gli togli sostanza ed identità territoriale della politica gli hai tolto la museruola, perciò morde sapendo di fare non solo sana pulizia, ma anche tattica per le sue quotazioni personali. Come il Capitano affida il suo lessico trasversale ad ugole fedeli come quelle di Crippa & co. così il governatore del Veneto ha le sue, di ugole e grancasse. E non è gente di lessico radicale, per lo più sono colombe che le scelte di Salvini hanno fatto falchi.

Gente come Federico Caner della Liga, che ha detto: “Se anche dopo le Europee qualcuno pensa di imporci candidati dall’alto, beh: casca male. Noi abbiamo sempre lavorato per un candidato veneto militante. Invece ci ritroviamo Vannacci. O come il collega, pure lui di nomea soft, Gianpaolo Bottacin: “Col nostro Partito (Vannacci – ndr) non c’entra nulla”. D’altronde Zaia, che non dimenticato l’ukase interno alla sua legge sul fine vita, aveva battuto la bacchetta sullo spartito e mica poco. E su Vannacci aveva ammesso “di sentirsi un peccatore a votarlo”.

Il Foglio riporta la dichiarazione di un insider che spiega forse meglio di tutte le altre quale sia il clima. E che di Zaia dice: “A Luca non piace bruciarsi con frasi a caldo, ma quando parla lascia sempre il segno”. C’è un claim, da quelle parti, dove il Piave non mormora più ma ruggisce. E’ quello del ritorno di fiamma dell’identitarismo territoriale, altro che la versione turidda di Claudio Durigon.

La differenza tra amministrazione e politica

Roberto Vannacci (Foto: Andrea Apruzzese)

“Questi nomi tengono conto della rappresentanza della nostra terra”. E ce n’è un altro, forse ancora più marcato, ed è quello che mette anche Mario Abbruzzese nella casella dei “buoni”. Lo ha squadernato Federico Caner, assessore al Turismo e all’Agricoltura nel rimarcare “la differenza fra amministrazione e politica”.

Che significa? Che il modello del leghista laborioso, competente, ormai “scafato” sulle strategie di governo ma mai troppo foresto e sopra le righe è tornato ad essere il modello vincente. E che Mario Abbruzzese, a prescindere dal risultato, non avrà bisogno di vestiti nuovi alla fine della sua avventura elettorale.

Non ne avrà bisogno perché lui quei panni ce li ha addosso da sempre: lo hanno candidato alle Europee esattamente per questo e per i 14mila voti che quei vestiti gli hanno portato alle scorse Regionali sul nome di Pasquale Ciacciarelli. A differenza di Matteo Salvini, a cui quei panni vanno ormai talmente stretti che per tenersi un generale in casa rischia di perdere tutto il suo esercito.

Esci dalla versione mobile del sito