Europeista da prima delle Europee: l’occasione-Tidei per fare sul serio

Le grandi sfide che nessun Paese potrà affrontare da solo e l'occasione per dare maggior potere decisionale a Bruxelles: con uno scranno targato Renzi

Ha deciso ormai da più di qualche giorno, ed ha deciso che l’Europa che vede lei deve essere realizzata, non solo proclamata nella dialettica polarizzata della politica italiana. Collegiale, consapevole e capace di decidere. Perciò la consigliera regionale del Lazio Marietta Tidei si è candidata per Italia Viva di Matteo Renzi alle Europee 2024.

Lo ha fatto in combo con il presidente della Provincia di Latina e sindaco di Minturno Gerardo Stefanelli. E secondo una precisa direttrice che la guiderà nell’avventura elettorale sulla circoscrizione dell’Italia Centrale.

Il funzionalismo “buono”

E’ quella del funzionalismo senza le forzature di una politica che di gargarismi europeisti in chiave spot non sembra avere bisogno. La formazione politica, partitica e personale della Tidei è tutta protesa, da sempre, al punto di incontro tra le istanze dell’Italia, dei territori e di Bruxelles. Ed è per questo motivo che scelta e battage della candidata Iv-Stati Uniti d’Europa non sembrano risentire di quei toni iperbolici ed un po’ “imbonitori”. Toni che, legittimamente ma con fumus “pezzotto”, appartengono alle sole tattiche di necessità.

A quelle ed a chi, stando in lizza, deve per forza reinventarsi come meritevole di starci. Della sua avventura elettorale la Tidei ha parlato rispondendo ad alcune precise domande. Sul suo senso, sul suo scopo e sulle sue chiavi di lettura.

Consigliera Tidei, lei è espressione di un partito che di certo non può essere accusato di avere una vocazione europeista di comodo o di timing strategico. Lo sente il peso di una candidatura così funzionale al suo modo di essere amministratrice di rango della cosa pubblica?

“Sento il peso della responsabilità perché il momento è grave. Tutti gli avvisi lanciati dallo stesso presidente Macron e da Mario Draghi indicano la necessità che l’Europa debba andare incontro ad un cambiamento profondo. Cambiamento nel senso di un’Europa più ‘decidente’ e nella sua capacità di recuperare una voce autorevole”.

Mario Draghi

“Il mio è un partito con vocazione Europeista e la lista Stati Uniti d’Europa è un bel progetto, ma noi europeisti lo siamo da molto prima. Abbiamo ben chiaro il ruolo dell’Ue e del ruolo che essa assume nella vita dei cittadini. Di quello e delle risorse che essa mette a disposizione dei cittadini, risorse in particolare rese disponibili durante la pandemia. C’è la consapevolezza di un senso di responsabilità e di una capacità programmatica del mio partito e di Matteo Renzi”.

Parliamo di Stati Uniti d’Europa: al di là degli slogan essi sono palesemente molto di più di un argine quasi “spartano” al sovranismo. Come li spiegherebbe in silloge breve ad un lettore-elettore, ad esempio di quel Lazio nel Consiglio regionale del quale le siede?

“Noi vogliamo che l’integrazione tra i vari Stati europei sia molto più forte. Gli Stati devono capire che bisogna assumere una capacità di decisione che non è quella attuale. Dobbiamo superare il diritto di veto, perché i tempi sono troppo lunghi e non più rispondenti alle sfide globali. Sfide che vanno dalla transizione energetica all’Intelligenza artificiale fino all’autonomia strategica ed energetica, e che l’Europa deve affrontare nel loro complesso”.

Nessuno ce la fa da solo

Foto © Johnathan Nightingale

“Pensi ai nostri competitor internazionali: la Cina, l’India… Noi pensiamo sul serio che un singolo Stato, che sia l’Italia o la stessa Germania, possano affrontare queste sfide da sole? Ecco perché bisogna creare maggiore integrazione politica, economica, energetica. Con una grande proiezione internazionale che è quella che l’Europa di oggi ha perso. Ridiamo slancio a quel progetto, a quella enorme scommessa collettiva dell’Ue. Sua e dei padri fondatori, una scommessa che negli ultimi 70 anni ha garantito un benessere che oggi è minacciato”.

Lei crede nel leaderismo politico? Mi spiego: a suo parere ci sono partiti che usano le candidature dei big per “conte politiche”. Poi c’è Italia Viva, e c’è Matteo Renzi, che è funzionalista in chiave europea ma è leader fatto e finito. Quindi i leader vanno bene purché abbiano cognizione di causa su sistemi complessi ed obiettivi che perseguono?

“Io non sono affatto contro i leader. Però bisogna avercela, la capacità di leadership, quella non è un disvalore e che Matteo Renzi ce l’abbia è un dato. Tuttavia la sua non è una leadership fine a se stessa, perché è corroborata e supportata da una grande capacità. Da una competenza nel settore della politica internazionale e sulla complessità del mondo. Che è quel che serve oggi, perché questo è un mondo più connesso e conflittuale”.

Leaderismo? Sì, ma a patto che…

Matteo Renzi (Foto: Sara Minelli © Imagoeconomica)

“Perciò le elezioni europee sono qualcosa di molto più importante di una semplice conta interna. E Renzi ha detto che una volta eletto ci andrà e come, in Europa. E’ un leader che comunque si mette a disposizione del Parlamento Europeo e mette a disposizione non solo il suo carisma, ma anche la sua competenza. Competenza maturata in anni di governo, di parlamento e di amministrazione locale. Parliamo quindi di una persona che conosce tutti i livelli e tutte le dinamiche che in questo momento muovono il mondo”.

“Oggi molti vedono un’Europa non protagonista del suo destino ed il sono convinta che i leader potranno solo far bene. Non c’è di che aver paura, anzi. Più il Parlamento europeo si connota in questa maniera – e parliamo di un già Presidente del Consiglio con una personalità universalmente riconosciuta – più emerge un dato. Non c’è di che aver paura del leaderismo se esso è incarnato da leader forti che però siano anche capaci”.

La lista Stati Uniti d’Europa ha registrato molte adesioni, specie nel Lazio, per citarne una con numerosi membri del gruppo di Rinascimento azionista. Lo zoccolo duro della compagine è quello composto da +Europa, Radicali, Partito Socialista, Lib-Dem e Italia C’è. Insomma, sigle ed intenti collegiali su cui si è andati a convergere non mancano: ma il quorum al 4% vi spaventa?
Emma Bonino (Foto: Marco Ponzianelli © Imagoeconomica)

“No, io credo che noi si sia già abbondantemente al di sopra, ma è chiaro che noi vogliamo fare molto di più del 4%. Ce l’avevamo in target nel correre da soli ed abbiamo fatto bene a dare vita a questa lista unitaria. Perché pensiamo che questo possa dare un valore aggiunto. Chiaramente si tratta di una lista di scopo, ma io sono convinta che la parte programmatica che sottende la nostra candidatura sarà guardata con attenzione da tanti riformisti italiani”.

“Riformisti che vorrebbero una unione nella casa comune in Italia. Noi ci proviamo con le elezioni europee e su basi programmatiche molto precise”.

Restiamo un attimo sul discorso sbarramento di ingresso: come lo spiegherebbe il paradosso di partiti europeisti in purezza che però hanno ancora credito percentualistico aleatorio per una mission che saprebbero condurre meglio di altri?

“Lo ritengo un vero paradosso, e rabbrividisco quando Matteo Salvini parla di ‘meno Europa e più Italia’. Meno Europa non vuol dire più Italia, probabilmente vuol dire più Cina, ed è incredibile che si critichi l’Ue. E che lo di faccia sulle infrastrutture: si pensi al Pnrr, al Next Generation Eu. Tanti Comuni oggi grazie al Pnrr possono realizzare opere attese e che non si riuscivano a realizzare da anni. La situazione è ovviamente più complessa, ma è indubbio che molte municipalità e sistemi complessi con le opere Pnrr ora hanno la possibilità di rimettersi in moto”.

Il “Più Italia” di Salvini è… cinese

“Che un ministro delle Infrastrutture e leader politico di un partito di governo parli di ‘meno Europa’… L’Italia è il Paese che più di tutti gli altri per la pandemia ha ottenuto dall’Ue. A me pare una cosa su cui rabbrividire e che delinea perfettamente la visione di un personaggio che ha sempre urlato al nemico. E che in Europa è stato sempre alleato di coloro che non hanno mai avuto una parola di generosità verso l’Italia”.

Veniamo a lei: laureata con una tesi sul diritto dell’Unione europea e “figlia d’arte” sul claim della cosa pubblica, con un padre sindaco di Santa Marinella. E’ un azzardo dire che sul tema per il quale chiede consenso d’urna lei è altamente skillata?

“Non sono io a doverlo dire. Io provo semplicemente a fare il mio dovere, sono fiera del fatto che in 20 anni tanti cittadini mi abbiano accordato la loro fiducia. Io sono arrivata in Parlamento con le primarie di Bersani, arrivai prima in Provincia di Roma e poi con il Consiglio regionale. Sono fiera dunque che tanti cittadini abbiano continuato a darmi sostegno, poi ci rimettiamo al giudizio degli elettori. Questo come tutti coloro che si attengono alle regole democratiche. Io sono stata sempre eletta con le preferenze e non sono mai stata nominata. Spero quindi di continuare a farlo, visto che questa è una corsa che si fa proprio con le preferenze”.

“In questi anni ho semplicemente sempre fatto il mio dovere. Certo, mi dà fastidio chi è pressappochista e chi pensa che questa sia una cosa che possono fare tutti. Come in tutte le professioni d’altronde e perché sì, la politica è una professione. Nelle istituzioni si deve avere il dovere della serietà e ci si deve portare seriamente come se si stessa facendo un lavoro”.

Guardando a sinistra della “terza via”: c’è chi dice che questo Pd sia troppo schiacciato sulle posizioni del M5s, come se il “campo largo” tenuto a battesimo con la Pisana di Zingaretti fosse diventato un valore iperbolico. Lei come la pensa, considerando che in Regione quel patto saltò e consegnò il Lazio a Francesco Rocca?

“Io ho sostenuto Nicola Zingaretti nella passata amministrazione regionale. Poi non più, perché pensavo che il Pd fosse estremamente schiacciato sul Movimento Cinquestelle. Me ne sono andata dal Pd quando in Regione Zingaretti governava. A Nicola dissi che a mio avviso quel patto non sarebbe stato così positivo e poi lo stesso M5s non volle rinnovare quel patto in vista delle elezioni”.

“Credo quindi che esso non abbia lasciato una traccia così positiva. Ricordo ad esempio che sulla questione rinnovabili il M5s fu contrario. Se vogliamo andare verso la transizione ecologica noi dobbiamo semplificare, altro che mettere le moratorie di otto mesi”.

Quel campo largo che non convinse

“Penso che il Pd sia ancora troppo schiacciato e corteggiato, anzi, ‘corteggiatore” del M5s, che puntualmente rifiuta, quindi non riesco a capire. E mi spiace per i tanti riformisti che sono in quel partito e che probabilmente vedono mortificata la loro visione“.

Io non ho mai creduto al fatto che i pentastellati potessero apportare chissà quale valore aggiunto. Né in Regione né al governo nazionale, poi chiaramente la politica è l’arte del possibile”.

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