Nordio commissariato e la giustizia non va oltre il no al “Grande Fratello”

Carlo Nordio (Foto: Carlo Lannutti © Imagoeconomica)

Il 2024 si apre con il più longevo ed irrisolto dei conflitti italiani: quello sulla riforma di un potere cruciale ma visto come "nemico"

Da quando Silvio Berlusconi li definì una “categoria antropologica a parte” di acqua sotto i ponti ne è passata tanta. Tuttavia non così tanta da seppellire definitivamente il nodo forse più irrisolto dell’Italia da quando è Repubblica: il “conflitto” semi permanente tra politica e magistratura. E’ roba che, con diverse sfumature e vari gradi di intensità, ha ammalato la vita pubblica da sempre. E che ha trovato grandi momenti storici di acuzie, riflusso e risacca conversa. Ecco, il 2024 ci ha trovati con questo stesso dubbio irrisolto: riformare la giustizia senza sciabolare i suoi esecutori è possibile?

Alla base di tutto c’è un dato che è incontrovertibile e che forse, a ben vedere, spiega tutto. La Costituzione italiana venne concepita in maniera talmente equilibrata e con lo spauracchio talmente incombente del Ventennio che non confliggere è difficile. Solo che andrebbe capito che quello che fu messo su Carta Nobile dai padri costituenti non fu humus maligno per far germinare future litigiosità.

No, quello che oggi e per diversi gradi vediamo come un nodo in realtà è un architrave. Nel senso che potere giudiziario e potere politico sono stati messi ciascuno sul suo binario e l’uno foraggia ed assicura la stabilità dell’altro esattamente con le paratie stagne che li dividono.

Piccola storia imperfetta di un conflitto

Antonio Di Pietro

Nel tempo però le cose in Italia sono andate diversamente, e la magistratura restò in trincea dalla fine del Boom fino agli anni ‘70/primi ‘80, impegnata a contrastare reati di eversione e contro la persona. Tutto questo mentre in Italia attecchiva, pian piano, una concezione iperliberale della Cosa Pubblica e lo strapotere dei Partiti aumentava per assenza di contrappesi decisi. La storia la conosciamo: quando i giudici decisero di spulciare nella corruzione del sistema invece che nelle aberrazioni che il sistema lo volevano cancellare era troppo tardi per andarci “soft”.

Mani Pulite, il vero grande spartiacque di questa storia, arrivò come un operaio ruspista in arretrato col lavoro dopo mesi di ferie/malattia. E le toghe si rimisero in pari, aiutate dal fatto che la loro “vacanza” aveva incrementato il malcostume in maniera sfacciata ed enorme. La politica cambiò e dalle ceneri dei vecchi partiti nacquero due cose: liberismo laico e populismo.

Partiti ko, ne arrivano altri: diversi

Silvio Berlusconi all’ingresso di Palazzo Chigi nel 2008 (Foto: Lorenzo Daloiso © Imagoeconomica)

Nessuno occupava più caselle di fiducia degli elettori e Silvio Berlusconi prima (e tanto) poi Rete, Italia dei Valori, Lega, Movimento Cinque Stelle e destra post missina si spartirono la torta. Erano nuovi o semi tali, e quando la magistratura fece il suo lavoro e spulciò anche nelle loro di pieghe, si innescò il riflusso. Una lotta che a fasi alterne dura fino ad oggi, con la contrapposizione tra poteri che emerge praticamente sempre. Solo che stavolta si è creato un paradosso: prima con il Cav le barricate contro le procure “rosse” avevano una loro ragione insita nell’antico conflitto tra imprenditoria e legge.

Ora che al governo ci sono per parte maggioritaria ex manettari doc come quelli di Fratelli d’Italia si è dovuti andare di metamorfosi, e non molto graduale. Il dato è che l’attuale Guardasigilli Carlo Nordio, l’ultimo di una lunga serie di ministri che avevano promesso macelli, si è arenato con la sua riforma da mesi. Vero è che ha consegnato alla coda del 2023 la controversa legge sul no alla diffusione delle intercettazioni. Tuttavia ed al di là del merito quella che cola da quel decreto è la muscolarità bulla di uno step, non l’organicità di un radicale cambiamento. Un “Grande Fratello” quindi messo a tacere come usta ad una linea di pensiero, non ad una sintesi.

Fatta la legge, cercato il finanziamento

Giorgia Meloni

Il motivo tecnico di questo arenamento è evidente: le leggi poi vanno finanziate, non solo proclamate, e ci sono passi enunciati dalla visione attuale che non hanno copertura in Bilancio. Cosa è successo quindi? Che come tutte le volte in cui la via maestra si ritrova massi in carreggiata occorre andare per vie traverse. E il difficile rapporto tra governo e riforma della magistratura è affidato a spot più che ad una organica visione. Nordio appare ingrigito, perfino nella sua storica veste di coltissimo divulgatore del Diritto su molti media.

Giorgia Meloni sta in tutto e per tutto con il suo ministro, ma vive la contraddizione di doverlo tenere in naftalina, e non solo per questioni di conti. Lei è pur sempre una leader che da oppositrice aveva lodato l’azione penale come lavacro della corruzione. Poi in casella di quelli che la magistratura (solo concettualmente) la devono temere ci era arrivata lei e, come con l’Europa, ci si era dovuto ammorbidire fin quasi ad arrivare a contraddirsi. Senza contare che la naftalina addosso a Nordio è anche figlia di priorità di più “pronta beva” elettorale le per Europee 2024. Tradotto: prima la riforma del premierato, poi l’autonomia regionale e poi la giustizia. Quindi: prima FdI, poi Lega e solo dopo Forza Italia.

Otto articoli fermi al palo dall’estate

Il Guardasigilli Carlo Nordio

Il ddl in 8 articoli, la famosa riforma, è nelle sabbie mobili. I suoi punti cardine tra cui la “morte” dell’abuso d’ufficio e della pubblicazione delle intercettazioni, sono rimasti inchiodati per mesi e poi “sciolti” come spot terminali. Il Mef aveva anche sbarrato la strada per la discussione parlamentare e la Ragioneria generale neanche lo ha ancora visto in tutta la sua possanza contabile, il Ddl Nordio. Come si fa a procedere con l’assegnazione a un “gip collegiale”, quindi a 3 toghe, la valutazione delle misure di cautela se tre giudici costano più di uno? Ecco perché questi di inizio 2024 sono diventati giorni su cui mettere in giberna “sparring” e “piccoli” Consigli dei ministri.

Cioè episodi che sottolineano ancora l’interesse del governo a regolare i conti con “certe toghe”, ma che testimoniano incontrovertibilmente che per fare i conti davvero servirà un’altra finanziaria, e magari tempi migliori dopo il test delle Europee. Il sunto concettuale e non “danareccio” dell’intera faccenda sta nel fatto che è come se da moti anni si assistesse ad una sorta di scaricabarile che l’amministrazione della Cosa Pubblica fa sulle Procure.

Quando il Procuratore di Frosinone “le cantò” a tutti

Il Procuratore di Frosinone Antonio Guerriero

Il “claim” pare essere quello de “non ci fanno lavorare”. Un aspetto che aveva sottolineato proprio un anno esatto fa il Procuratore Capo di Frosinone Antonio Guerriero. Si era ai canonici auguri per il Natale imminente ed il capo dei requirenti ciociari le aveva cantate senza mezzi termini ai sindaci. Il senso ed il sunto furono che la responsabilità è qualcosa di profilabile in punto di Procedura, non uno spauracchio per impastoiare i garretti alla Pubblica Amministrazione.

L’abuso d’ufficio? Non più profilo penale, ma spesso arma, con “troppe denunce inutili tra amministratori”. E troppi che, nella ottima silloge che ne fece uesto giornale: “pensano di trasferire lo scontro politico spostandolo nelle Aule di Giustizia o di “azzoppare il rivale politico denunciandolo per un Abuso d’Ufficio”. Insomma, c’è una Giustizia dipinta come altro dalla sua essenza primeva che si invoca come da cambiare e ci sono le Leggi che altro non fanno che essere Leggi. Cioè faccenda da rispettare per il pubblico interesse.

Crosetto, l’insider che fa il lavoro altrui

Il tema caldo con cui si era chiuso il 2023 era stato quello dell’esternazione del ministro della difesa Guido Crosetto, che aveva evocato un “si dice” a fine di un’intervista con il Corsera. Era stata subito Casamicciola. Quella allusione un po’ comaresca ad una certa “fazione antagonista da sempre e che ha sempre affossato i governi di centrodestra” era stata botto-bis prima di Capodanno. La teoria della “opposizione giudiziaria” aveva rinfocolato due aspetti. Il primo, legato all’antica idea che i giudici siano una sorta di Spectre che si riunisce nelle segrete stanze e decide ghignando chi colpire tra i nemici. Il secondo, ammanicato ad una ipotesi più terragna.

Guido Crosetto (Foto: Leonardo Puccini / Imagoeconomica)

Che cioè Crosetto potesse aver saputo dell’incedere di qualche singola indagine che magari è indagine di ambito (non è credibile che possa essere stato il rinvio a giudizio di Andrea Delmastro, i Gup non parlano di quello che faranno). E che avesse voluto giocare d’anticipo con la nenia nera delle toghe rosse.

O che abbia avuto informazioni su consessi di Magistratura democratica in ordine alle critiche feroci sulla riforma costituzionale di Meloni, e che anche qui abbia voluto anticipare un duello scontato e patentarne i “colpevoli”. Insomma, era e resta roba da pannicello caldo ma utile per rinfocolare lo “scontro”. Anche al netto della mezza retromarcia del ministro che sa un po’ di figuraccia da quinta colonna che non fa onore alla sua sobrietà certificata.

Quella Bilancia che cigola di brutto

Entrambi gli aspetti danno comunque un’immagine molto debole, forse debole come non mail del rapporto fra poteri dello Stato. Di quello e della incapacità che quella ferita ha di diventare cicatrice. Una riforma ancora senza ruote ed un atteggiamento di oscura rivelazione di nicchie “deviate” sono il mix perfetto per offrire un quadro di una giustizia fiacca e bolsa.

Ed impreparata sia ad ammodernarsi che a tenere botta sul suo nucleo di mission. Che non è quello di equalizzarsi con gli umori di chi fa le Leggi, ma di applicarle a prescindere da essi, dai loro interessi a da quello che come interessi pubblici spacciano. Con Carlo Nordio, senza Carlo Nordio. E perfino malgrado Carlo Nordio.

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