Come ti aumento la pena: l’azione-reazione del governo che sa di spot

Il rischio di creare una rete di profili penali che sono fotocopia perfetta di ciò che è già normato e proceduralmente fissato

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

“Dare il La” significa accordare gli strumenti secondo una nota convenzionale e per esteso è azione di preludio a quello che oggi si chiamerebbe un “loop”. Che in informatica è una serie di azioni in successione ripetuta che puntano ad un unico risultato. Ecco, nella sua improvvisa smania “legiferativa” il governo Meloni il suo “La” lo aveva dato con i rave illegali. Le riunioni “musicali” di giovani spesso su terreni di proprietà altrui e con potenziale corollario di altre violazioni avevano segnato l’esordio di una nuova stagione di produzione di norme che ingrassassero la parte sanzionatoria. Poi era arrivata una “polarità invertita” con il rave-totem del massacro di Hamas in Israele, ma questa è un’altra storia, molto più seria.

A volte di configurazione di nuovi reati, praticamente un tocco greve per ogni episodio che la cronaca rimandava. Il processo con il quale l’esecutivo in questione aveva inaugurato e perseguito una linea “muscolare” di spalla alla giurisprudenza che risponde ad altra parrocchia non è immune da perplessità.

La rabbia e i social dopo l’omicidio Bricca

E si tratta di perplessità a doppio binario: da un lato quello che vede Palazzo Chigi verniciarsi di un dirigismo giurisprudenziale eccessivo, dall’altro quello di un effetto “upgrade” che poco aiuta. Chiariamola meglio, e per farlo prendiamo un esempio, un esempio terribile e ciociaro. Il 30 gennaio scorso ad Alatri venne ammazzato il 19enne Thomas Bricca e, come accade sempre con tragedie simili, la faccenda aveva colpito l’opinione pubblica.

Tanto colpita che sui social si erano sprecate le solite soluzioni da Legge del Taglione con cui si chiedeva vendetta più che giustizia per quel reato gravissimo. Ecco, con meccanismi molto simili il governo Meloni sembra voler correre perennemente incontro alle brutture del mondo con una sua personale ricetta. Perché quello che ad oggi interessa dell’omicidio Bricca, che interessa davvero, è altro. Che cioè i colpevoli siano trovati, censiti in dibattimento e che la loro pena sia certa. Non che qualcuno magari se ne esca con il ritorno del “fine pena mai” per far vedere che ha “capito”.

Il rischio di stare in scia all’opinione pubblica

(Foto: Bruno Weltmann © DepositPhotos)

L’opinione pubblica è invece maniglia perigliosa perché è “settata” sul legiferato di pronto uso. Quello che o crea una nuova fattispecie penale in termini di pena ogni volta che in Italia sul penale si va a finire oppure dà più birra ad una eventuale condanna.

Qual è il rischio? Innanzitutto quello di creare una rete di profili penali che a ben vedere sono la fotocopia perfetta di ciò che è già normato e proceduralmente fissato. Poi di far germinare la (falsa) convinzione che in Italia il potere legislativo sia una specie di “rimedio” a ciò che quello giudiziario non sarebbe in grado di compenetrare.

Lo scopo è evidente: se alzi il carico di anni per una cosa che ha colpito l’opinione pubblica ti metti gran parte della stessa nella tasca comoda della mistica de “Lo Stato c’è”. Solo che a volte lo Stato non c’è affatto perché esserci non vuol dire bastonare di più ma prevenire l’uso del bastone. Quello ed applicare le “bastonate” già previste, magari con maggior celerità e certezza che arrivino dopo un sereno e tripartito giudizio d’aula. Ovviamente non è vero, ma il loop quello è.

Il lunghissimo elenco di aggravi

Non solo i rave illegali, le cui pene sono aumentate fino a sei anni. Poi in agenda ci è finito il traffico di migranti, con pene in upgrade potenziale fino a trent’anni. E la violenza di genere? Anche lì un aumento di 5 anni e la “mission” è stata compiuta. Ma quale mission però? Quella di mettere la giurisprudenza a traino delle esigenze della società o quella di offrire uno spaccato steroideo dell’esecutivo? Nel caso della violenza contro il personale sanitario le pene sono aumentate di un terzo.

Foto Malavolta © Imagoeconomica

Il Foglio continua l’elenco delle voci messe nella lista dei sogni del centrodestra degli ultimi anni. E spiega: “Omicidio nautico, aumentate le pene fino a dieci anni. Reato universale di gestazione per altri, aumentate le pene fino a due anni. Occupazione abusiva di immobili, aumentate le pene fino a due anni. Incendi boschivi, aumentate le pene per i piromani fino a sei anni di carcere”. Mica è finita eh? “Istigazione all’anoressia, proposta reclusione fino a quattro anni. Istigazione alla violenza sui social, proposte pene fino a cinque anni. Muri imbrattati, proposta reclusione fino a un anno. Acquisto di merce contraffatta, proposte pene fino a un anno. Truffa ai danni di soggetti minori o anziani, proposte pene fino a sei anni”.

Giuriamo, non lo sapevamo che l’elenco fosse così lungo: “Dispersione scolastica, proposto aumento di pena fino a due anni per i genitori che non mandano i figli a scuola. Baby gang, pene più severe per i minorenni, fino a cinque anni per spaccio”. E’ come se con un semplice maquillage volumetrico la stessa possibilità che una fattispecie penale si determini venga bloccata o ridotta. In parte è vero, perché più anni di carcere costituiscono da sempre un deterrente di rara potenza, ma è sbagliato il principio.

Basta un comma e il consenso cresce

Quello cioè per cui inserire un comma, un “sexties” dopo un “quinquies” o un capoverso sia la sola strada per battere il crimine. Serviva spiegarlo, che non è così, e che la strada è un’altra magari appaiata ad una versione meno frenetica di questa impostazione. E serviva prendersi le “pietre” dei giustizialisti da tastiera che guarda caso sono per gran parte irregimentati nel bacino di utenza elettorale del destra-centro. Dove sta l’equivoco grosso? In un fatto semplice ma che sta tra le pieghe della faccenda.

La presunta prontezza con cui un esecutivo, qualunque esecutivo, affronta un problema con la superficialità del “carico maggiore” impedisce l’approccio sistemico. E, come accaduto già con il Decreto Caivano o con quello Cutro e il caso Aostolico, mette le esigenze di credito elettorale dei governi in prima linea rispetto alle necessità di applicare soluzioni spalmate sui tempi lunghi. Tempi lunghi che, udite udite, non sono affatto sempre e solo il sintomo che qualcosa non funziona nello Stato.

La differenza tra risolvere ed intervenire

No, a volte esse sono la prova provata – prova rara come l’elefante bianco – che un problema lo si vuole risolvere alla radice. Con interventi strutturali e non con aumenti di sanzione. E con il rischio che il merito di ritorno per quelle azioni giunga troppo tardi per trasformarsi in credito elettorale, ma abbastanza “tardi” per avere la corposità del legiferato sistemico, della riforma strutturale.

E con essa della volontà dei governi di lasciare un’impronta nel futuro invece che alzare la gamba su ogni angolino del presente. Perché poi alla fine tutto evapora, tranne il malessere della gente e l’orrore del crimine.