Scene da Matusa. Bentornato a casa Frosinone

Effetto Matusa sul Frosinone tornato al goal ed alla vittoria. Si è rivista la squadra fatta di 'tigna e sudore' che dominava nel vecchio stadio. Per un attimo il cuore gialloblù si è sentito come un tempo: a casa.

Dicono che non esista più. Che lo abbiano demolito, smontato pezzo per pezzo. Che al suo posto nascerà un spazio verde in cui camminare e portare a spasso il cane. Dicono. Eppure ieri sera, i brividi sotto la pelle, la voce della Nord, lo spirito dei giocatori in campo dicevano il contrario.

 

Sentirsi a casa è cosa assai diversa da mattoni e coordinate geografiche. Sentirsi a casa è una questione d’amore, di protezione, di coraggio. È quella pallonata di Dionisi verso la panchina avversaria. Un gesto che ribadisce chi è che comanda, che non ti è permesso lanciare un altro pallone in campo solo per rallentare l’esecuzione di una rimessa laterale, che se sei un ospite non puoi andare a casa d’altri a dettar legge giocando sporco e tentando di buttarla in caciara.

 

La casa è quel luogo in cui gli errori non contano. È l’autogol di Ariaudo. Ininfluente nella testa dei giocatori e nello spirito dei tifosi. In pratica mai esistito.

 

Sentirsi a casa vuol dire non avere paura dell’impossibile. È quel destro a girare di Maiello, un capolavoro che lascerebbe senza fiato se non fosse che ieri sera la voglia di gridare e di cantare superasse di gran lunga l’abitudine del calcio moderno di far parte di una cornice serena e ordinata. E al diavolo pure la compostezza degli impianti sportivi di ultima generazione. Perché al 53’, quei seggiolini colorati non esistevano più e a dispetto della realtà fisica, sotto i piedi c’erano palanche di legno e spalti in ferro. Perché quando 8 minuti dopo Nicola Citro l’ha messa dentro di tacco, la curva si è stretta come una fisarmonica e la sensazione di trovarsi di nuovo al Matusa è stata tangibile; chissà che qualcuno non abbia alzato lo sguardo per vedere se il campanile fosse proprio lì dove è sempre stato, in alto a sinistra, imponente e rassicurante.

 

Se Dionisi avesse siglato il 3-1 sarebbe venuto giù tutto lo stadio e lo avrebbe meritato perché ieri sera è tornato ad essere quello che è: un fuoriclasse tignoso che non te la manda a dire.

 

A volte bisogna perdersi per riuscire a tornare a casa.

 

L’effetto Matusa non è altro che questo. È carattere, tigna, è non avere paura. Non è solo una casa, è una famiglia. È un cuore che batte all’unisono, sugli spalti e in campo; è abbracciarsi, è la Curva che canta per 90’ e oltre, è la voglia di non andare via dopo il triplice fischio, è un venerdì senza voce.

Bentornato Frosinone. Bentornati a casa.

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