Il dilemma: valle inquinata ma non “Valle dei veleni”

Il dubbio lo hanno innescato i numeri delle ricerche approfondite. La Valle del Sacco è inquinata. Tanto. Ma forse non è affatto una valle dei veleni. Un tavolo tecnico nei prossimi giorni con Unindustria e Ordine dei geologi del Lazio, il patrocinio dell'Arpa e la collaborazione della Geco Srl.

Una cosa è una valle inquinata, altro è una valle dei veleni. Il dubbio lo ha innescato il recente incontro con cui la Asl di Frosinone ha anticipato i risultati del progetto Indaco. È la terza indagine epidemiologica nella Valle del Sacco. Cioè: sono state visitate le persone, gli sono state poste le domande di un questionario, per capire come stanno in salute e che relazione c’è tra l’ambiente e le loro malattie.

Quella è un’area nella quale per anni il fiume Sacco ha portato gli scarichi immessi dall’industria bellica e ferroviaria che sta a monte. Poi si sono aggiunti quelli del sistema industriale nato con la Cassa per il Mezzogiorno. Anni nei quali le norme a protezione dell’ambiente erano ancora in fasce.

È rimasta negli archivi di Rai Parlamento l’immagine del senatore Romano Misserville di Ceccano (Movimento Sociale – Destra Nazionale) che durante la seduta del 30 luglio 1987 indossa una maschera antigas. Non è una seduta normale quella che si sta tenendo a Palazzo Madama: il neo Presidente del Consiglio Giovanni Goria sta illustrando il programma del suo esecutivo. Il senatore Misserville lo fa per richiamare l’attenzione sullo stato di degrado ambientale della Valle del Sacco. All’epoca lo definì “il fiume più inquinato d’Italia”.

Sia ode al dubbio

L’analisi delle provette

Quanto quell’inquinamento è nel sangue e nell’organismo delle persone che abitano in quella Valle? Quanto ha senso il perimetro che è stato tracciato in questi anni impedendo le attività agricole? Soprattutto quanto senso ha alla luce dei risultati emersi in questi anni: l’inquinamento c’è ma le falde stanno a venti metri di profondità. Allora è stato portato aspirando l’acqua dal fiume per irrigare i campi?

I dati di Indaco dicono che le malattie riscontrate nella Valle del Sacco sono quasi tutte in linea con la media delle altre aree del Lazio. Allora è una Valle inquinata e non una Valle dei veleni? Domande lecite perché nel frattempo il prezzo che si sta pagando è alto: la multinazionale Catalent ha tolto dall’area un investimento da 100 milioni, stanca di attendere i risultati delle analisi. E così hanno fatto altri. Preferendo investire dove non devono sobbarcarsi attese e bonifiche.

Una risposta la sta cercando anche il mondo produttivo. Unindustria e Ordine dei geologi del Lazio hanno organizzato un convegno per esaminare il tema. Godrà del patrocinio dell’Arpa e della collaborazione di Geco Srl: l’Agenzia regionale per la protezione ambientale e una Società di ingegneria per progettazioni, bonifiche e consulenze ambientali. Professionisti e tecnici, numeri alla mano, si confronteranno martedì 11 luglio alle ore 9 nella sede frusinate di Unindustria in via del Plebiscito. Partiranno proprio dalle evidenze fatte emergere per ora dal Dipartimento regionale di epidemiologia e dall’Azienda sanitaria locale.

Se all’incontro con Dep e Asl è intervenuta poca Politica, malgrado l’invito rivolto a tutti i sindaci del territorio, al convegno di Unindustria e Geologi potrà semplicemente benvenuta tra il pubblico.  

Esiti delle indagini e soluzioni

L’analisi sulle malattie respiratorie

Si procederà con lo stato dell’arte dei procedimenti in corso, «condividendo gli esiti delle indagini svolte – preannunciano i promotori – e presentando soluzioni operative». Azioni concrete a fronte di dati che, tra l’altro, erano stati già spoilerati quasi un mese fa dalla Commissione Sanità della Regione Lazio.

Innanzitutto, non è assolutamente vero che nei territori del Sin “Bacino del fiume Sacco” – Sito di interesse nazionale potenzialmente inquinato e da bonificare – ci sia un’incidenza tumorale maggiore di quella che si registra a livello regionale.

Ma anche nel resto della provincia di Frosinone, analizzati per la prima volta gli effetti dell’inquinamento atmosferico sulla salute, si è registrata una forte correlazione tra smog e morti provocate da tumori maligni e malattie respiratorie. (Leggi qui Valle del Sacco, cosa dicono le analisi sulla salute).

Valle del Sacco, luci e ombre

Un’area perimetrata all’interno del Sin “Bacino del fiume Sacco”

Alla luce dei risultati dei prelievi di sangue da metà del campione di popolazione (548 su 1.187), continuano a calare le concentrazioni di Beta-esaclorocicloesano (B-hch) nel sangue dei cittadini dei 19 Comuni parzialmente ricadenti nel Sito di interesse nazionale finalmente in via di bonifica da parte della Regione per conto del Ministero della transizione ecologica.

Lo scarto dell’insetticida Lindano scorre ancora nelle vene degli abitanti della Valle: a ormai diciotto anni dal suo rinvenimento a Colleferro e dintorni e dallo scoppio dell’emergenza ambientale e socio-economica. Ma le concentrazioni continuano a calare sia a monte, dove si sono dimezzate rispetto a cinque anni fa, che a valle, dove i livelli si sono abbassati di meno in proporzione ma erano già sei volte inferiori.  

Nei giorni scorsi, dopo l’accelerata data dal commissariamento delle bonifiche, è finalmente scattata anche l’aggiudicazione definitiva dei primi storici interventi di disinquinamento nella parte ciociara del Sin. Non ci sono ancora sviluppi sull’ex discarica Le Lame di Frosinone, ma si è ormai davvero a un passo dall’apertura dei cantieri negli altri otto siti industriali dismessi da analizzare e bonificare. (Leggi qui Valle del Sacco, il miracolo del Bonsignore).

Il convegno dati alla mano

Miriam Diurni, presidente di Unindustria Frosinone

Al convegno tecnico, anche a fronte delle bonifiche in arrivo, apriranno i lavori la dottoressa Miriam Diurni, la geologa Simonetta Ceraudo e l’ingegnera Wanda D’Ercole: le presidenti di Unindustria Frosinone e Ordine dei geologi del Lazio, e la direttrice del Ciclo dei rifiuti della Regione Lazio. Le conclusioni, invece, saranno affidate all’avvocato Marco Ravazzolo: il direttore delle Aree politiche per ambiente, energia e mobilità di Confindustria. 

Nel mezzo i focus di sei professionisti: l’avvocatessa Giusy Migliorelli, funzionaria della Provincia di Frosinone (SIN “Bacino del Fiume Sacco”: ratio ed evoluzione nella normativa e nella prassi. Azioni e proposte di semplificazione dei procedimenti); l’avvocato Giuseppe Le Pera, tecnico del progetto Mir-Mettiamoci in riga del Ministero dell’ambiente per la realizzazione dei procedimenti di bonifica ambientale (“Regolamento sugli interventi e opere nei SIN: prime riflessioni”); l’ingegnere ambientale Matteo Rossi, direttore tecnico di Geco Srl (“Presentazione primi risultati indagini ambientali: criticità reali vs. allarmismi”).

E poi ancora: il geologo Mauro D’Angeloantonio, direttore del Servizio suolo e bonifiche di Arpa Lazio (“Metalli e metalloidi nei suoli e nelle acque sotterranee – Approccio amministrativo e tecnico allo studio dei valori di fondo naturali”); l’avvocato Marco Pizzutelli, dall’omonimo studio legale di Frosinone (“Il concetto di inquinamento diffuso: oneri del proprietario non responsabile della contaminazione”), e il geologo ambientale Gianluca Gasbarri, project manager della società per servizi ambientali Ecotherm Srl (“Le opportunità previste dai regolamenti per interventi di bonifica sostenibili”).

«Taglio tecnico, niente politica»

Matteo Rossi

L’ingegner Matteo Rossi, tra i relatori del convegno tecnico, precisa fin da subito che «si è volutamente evitato l’intervento politico per dare un taglio esclusivamente tecnico alla questione e fare luce sul Sin a sette anni dalla sua ultima perimetrazione». L’obiettivo dichiarato, come fissato dal dottore di ricerca in ingegneria ambientale, è «parlare delle problematicità reali legate al Sito di interesse nazionale, cercando anche di individuare soluzioni con un notevole partner scientifico come Arpa Lazio».

Ingegner Rossi, la società Geco è molto attiva nella progettazione di impianti e nella pianificazione delle bonifiche. Cosa avete trovato?

«Stiamo girando da tempo la Valle del Sacco in lungo e in largo con le indagini ambientali. E sta venendo fuori un quadro diverso da quello che viene normalmente raccontato. Esistono sicuramente serie criticità ambientali, legate alle vecchie produzioni industriali, e hanno portato in parte alla perimetrazione del Sin. Quantomeno nelle aree industriali di Anagni, Ferentino e Patrica, in cui abbiamo un centinaio di punti di indagine, non abbiamo però mai trovato presenza di Beta-esacloricloesano neanche in prossimità del fiume Sacco».

Cos’ha che non va il Sito di interesse nazionale?

«Il Sin comprende certamente industrie più impattanti a livello ambientale, come quelle farmaceutiche, ma anche zone a vocazione agricola, terreni privati con abitazioni, zone del consorzio industriale rimaste a verde o destinate a capannoni e logistica, attività poco impattanti. I proprietari dei siti, a prescindere dal fatto che la loro azienda sia altamente impattante o meno, si trovano comunque ad affrontare le medesime problematiche».

Criticità reali e allarmismi ingiustificati

Una veduta della Valle del Sacco (Foto: Pietro Scerrato)
Al convegno metterà in parallelo le criticità reali e gli allarmismi ingiustificati. Vuole fare una premessa?  

«La Valle del Sacco, purtroppo, è interessata dal punto di vista geologico da formazioni di origine vulcanica. Terreni e acque sotterranee, in particolar modo in alcune zone, sono naturalmente caratterizzati da alcuni metalli. Ancor prima o contestualmente alla perimetrazione del sito, si sarebbero dovuti determinare i valori di fondo. Non sono stati ancora fatti, invece, gli studi e la scrematura degli elementi dovuti alla natura da quelli provocati dall’intervento umano. E ricorderei anche che i Sindaci hanno dato l’ok a tale perimetrazione del Sin».

Dep e Asl, ancora prima delle risultanze dell’indagine sul B-hch, hanno spiegato la connessione tra smog e mortalità per tumore…

«E mi chiedo il perché, visto che la matrice dell’inquinamento atmosferico non ha nulla a che vedere con il concetto del Sin della Valle del Sacco. La perimetrazione, per legge, si attiene alle matrici di suolo e acque sotterranee. Non è stata proprio presa in considerazione per la perimetrazione. Sappiamo che è una valle che, per motivi morfologici, è un bel po’ sfortunata. Come sappiamo che è attraversata dall’autostrada e che c’è una provincia intera che vive di stufe a pellet. Da ultima, perché lo dicono i numeri che incide in maniera minimale sull’inquinamento atmosferico, c’è anche l’area industriale».  

Una volta si bramava la bonifica, ma poi si sono invocate deperimetrazione e sburocratizzazione del Sin per frenare la perdita di investimenti. Qual è la ricetta giusta?

«Abbiamo dati e informazioni che ci potrebbero permettere di fare quantomeno una riflessione critica sul percorso che è stato condotto. Magari anche individuare percorsi compatibili con la normativa, che non passano di certo per la deperimetrazione, che è di per sé impossibile. Ma ne hanno parlato molti politici soltanto per fare le passerelle. Dobbiamo puntare a stralciare quantomeno la maggior parte delle zone incluse nel Sin per un potenziale inquinamento».   

«Servono altre barricate»

Un servizio del Tg1 sulla ribattezzata “Valle dei veleni”
Pensa che sia stato esasperato il principio di precauzione e fatto ingiustamente di tutta l’industria un unico Sin?

«Ci sono tre livelli, a partire da quanto fatto dall’industria finché non si sapeva nemmeno dove fosse di casa l’ambiente con tutte le sue pratiche. Nella situazione attuale, poi, ci sono due tipi di industrie. Quelle che hanno le autorizzazioni per la propria attività e sono le più controllate, come l’industria dei rifiuti. Per ognuna di queste aziende, però, ce ne sono dieci che hanno le stesse cose senza autorizzazione e in maniera sconosciuta. Mancano i controlli sul territorio, perché mancano risorse, competenze e quant’altro».

Che appello si sente di fare alla popolazione?

«Quando viene chiesta l’autorizzazione alla realizzazione di un impianto, i cittadini facciano le barricate non per impedirla bensì per far sì che sia chiamato ad avere le prescrizioni più rigide possibili conformemente alla legge. Facciano le barricate affinché si facciano controlli sul territorio. Si piazzino sotto alla finestra degli eletti affinché finanzino le assunzioni in Regione Lazio, dove ci sono due persone per il rilascio delle autorizzazioni ambientali e non riescono a stare dietro a tutto. Si facciano le barricate affinché l’Arpa non abbia solo cinque bensì cinquanta funzionari come in Emilia-Romagna. Se ti toglie di mezzo tutto quello che non è autorizzato, al netto dell’inquinamento storico, resta la buona industria che rischia grosso se commette illeciti in materia ambientale».

La buona industria già scappata dalla Valle del Sacco…

«Sì, le conseguenze sono l’abbandono dei capannoni, la fuga di capitali, la perdita di posti di lavoro. Nessuno sta negando che la Valle del Sacco sia stata interessata per mezzo secolo da insediamenti industriali impattanti proprio lungo l’asse autostradale. Nessuno sta negando che nel sangue dei cittadini sono state trovate tracce di betaesaclorocicloesano. E nessuno sta negando che ci siano studi sulla perdita di fertilità in conseguenza dei livelli di concentrazione di alcune sostanze inquinanti nel sangue. Ma che questo venga preso e generalizzato, arrivando addirittura a chiamarla “Valle dei veleni”, fa soltanto del male a questa terra».

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