Giorgia che comunica per interposta persona: quella giusta

Il limite di una premier che soffre della sindrome di accerchiamento. Che ha delle doti innate nel tenere banco. Ma che si trasformano in un limite quando ci sono le bordate ad alzo libero. L'allarme dopo Cutro e la svolta dopo Bali. ma la realtà è quella che Formigli disse da Veroli

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

Le prime avvisaglie si erano avute a pochi mesi dall’ascesa a Palazzo Chigi di Giorgia Meloni. Ma erano segnali che si stemperavano tutti nell’onda grande del dopo vittoria. Perciò era robetta impercettibile, appena accennata e nascosta nelle pieghe della mistica gioiosa del “fatele raccogliere le idee”. Tuttavia quei segnali erano evidenti anche nella loro versione limbica e dicevano una cosa che neanche gli analisti più scafati e gli agiografi più accesi avevano intuito appieno.

Giorgia Meloni è una grandissima comunicatrice ma nel suo ruolo istituzionale non comunica. Non in chiave interattiva. E la vicenda Giambruno ha solo esacerbato questa sua attitudine. O meglio, ha deciso di farlo per interposta persona, interposto video spot, interposto post. Ed interposte faccende che si interpongono tra lei ed il suo ruolo e i media che di quel ruolo sono (o dovrebbero essere) guardiani. Come in tutte le cose che poi prendono polpa in date circostanze, ci erano voluti i primi snodi problematici del suo mandato. Erano serviti per elevare a livello di realtà quello che prima era apparso solo come intuizione.

Il primo scivolone e la soluzione

Giorgia Meloni

Su un piano doppio, la premier aveva sia corroborato una linea preesistente che approfittato del primo scivolone per renderla canonica. Il che la dice lunga su un fatto che non molti hanno rilevato. Giorgia Meloni è bravissima a comunicare ma lo è quando può andare in scioltezza, per piccole e fulminanti pillole di parlesia scafata. Ma che risponde “presente” a regole di lessico e sessappiglio di stile.

Era una “draga” (non se ne abbia) quando in opposizione le davi la parola in Parlamento e lei, che è secchiona, si prendeva più scena ancora dei temi che corrosivamente toccava ed imputava. Ci studiava, Meloni, su quello che diceva a puntino, magari faceva anche le facce allo specchio la sera prima.

Tuttavia il suo tallone di Achille era ed è sempre stato quello del contraddittorio: ecco, lì Meloni paga pegno a due cose. La prima è quella dell’inevitabile upgrade di precisione comunicativa quando devi avere a che fare tutti i santi giorni con i giornalisti e lo devi fare da Presidente del Consiglio. Cioè da figura imbrigliata nei problemi di cui prima potevi permettere di indicare soluzioni pop.

La seconda è quella legata al fatto che Giorgia Meloni ha una paura matta di sbagliare. Più degli altri, perché una “underdogha l’obbligo della perfezione sennò ci sarà sempre qualcuno che le ricorderà di essere parvenu, in un’Italia giolittiana, borghesotta e classista come sempre.

Circondata da mestieranti del lessico

Giorgia Meloni

Non è solo colpa sua, è “colpa” anche dei suoi alleati e dei suoi stessi quadri di Partito. Meloni è circondata (e fino a marzo lo era ancor di più) di personaggi che sparlano e sparlano forte.

Con lei aveva vinto gente come Matteo Salvini e Silvio Berlusconi. Cioè uomini che pur essendo assoluti mestieranti del lessico non perdevano mai occasione per dire la loro, e per dirla malemalissimo. In più Giorgia Meloni era “ascesa” nel luogo mediaticamente più attenzionato d’Italia con una classe dirigente disastrosa in quanto a cernite di parole giuste, concetti sfumati, skill per spiegoni magari ritorti ma innocui.

Come fai a stare tranquilla con gente come Donzelli, Lollobrigida e Foti? Come te la concedi, una camomilla, se in casa “ciavevi” Andrea Giambruno a cui bancali di lacca bruciavano praticamente ogni giorno un etto di oculatezza dialettica? E’ una guerra, quella di Giorgia, una guerra tutta sua tra ciò che per parte non è e ciò che per gran parte era diventata. Perciò bisognava metterci rimedio.

Comunicare la politica e comunicare per i politici

(Foto © DepositPhotos.com)

La comunicazione in politica è due cose: refugium peccatorum per giornalisti avviati ad uno delle centinaia di tramonti professionali che costellano la loro vita. Oppure scelta chirurgica di professionalità che abbiano dato prova provata di “stare sul pezzo” di ciò che ti serve.

Ne sa qualcosa la Ciociaria, dove gli addetti stampa sono per lo più i reduci delle tante Età dell’Oro mediatiche finite poi in vacca per ambasce editoriali, tagli in economia sparagnina e morti annunciate. Succede da sempre così: in Provincia di Frosinone le “corazzate” dell’informazione nascono, vivono e fanno la storia, ma quelli che glielo permettono sono per gran parte transienti e deboli.

Perciò alla fine te li ritrovi o in contratto di solidarietà oppure in qualche ufficio stampa del potere invece che a ravanare nelle sue pieghe, nonostante l’indiscussa ed indiscutibile abilità di molti. Il mantra è primum vivere, come per tutti, ed è giusto così. Giusto e sbagliato al contempo.

Il dopo Cutro: tutto è partito da lì

Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella rende omaggio alle vittime del naufragio avvenuto al largo delle coste di Steccato di Cutro

La Meloni doveva agire su un piano simile ma in formato gigante e dopo Cutro era cambiato tutto. Quella disastrosa conferenza stampa in cui la premier si era battezzata nel mood “balbettio” ed aveva segnato la fine del Grande Mito Dialettico aveva rotto il giocattolo. Da allora la presidente del Consiglio aveva evitato i giornalisti come la peste bubbonica.

Video precofezionati, messaggi social, card con didascalie suadenti e conferenze stampa sempre frettolose e con l’orologio sotto gli occhi. Era nata una nevrosi e lo avevano capito tutti. Serviva dunque rendere canone ciò che era già fenomeno e serviva quindi un “sacerdote massimo” di questa nuova religione comunicativa di mediazione. Ecco, Giovan Battista Fazzolari era diventato il prete dialettico del melonismo. Il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio aveva avuto la delega alla comunicazione e promozione dell’attività e delle iniziative del Governo.

E intorno a quella mission ci aveva costruito una Chiesa. Fedele di una fedeltà assoluta, preciso, puntiglioso ed oculato nello scegliere ogni termine o perifrasi, Fazzolari era perfetto. Aveva unito competenza e charme al punto da non apparire mai zerbino, semmai estensione vocale perfetta della premier.

Fazzolari-Scurti: la cintura di fuoco

Giovanbattista Fazzolari (Foto: Alessia Mastropietro © Imagoeconomica)

Al resto ci avevano pensato la segretaria di Meloni, la potentissima Patrizia Scurti, che per la premier è un po’ come Narciso, il liberto dell’imperatore Claudio. Bisognava anche limare e Mario Sechi era stato la ruggine da raspare via. Da capo ufficio stampa il giornalista, scomodo perché non sempre in sintonia con la “capa”, era passato a Libero. Al suo posto Fabrizio Alfano, uno che si era fatto le ossa con Gianfranco Fini che in faccende di lessico giusto non ha mai avuto rivali.

Bisognava chiudere il cerchio e la premier lo ha fatto in ultimo step con Federica Frangi, presidente di Stampa Romana. Le skill ci sono tutte: è brava (brava davvero), battagliera, punta alla giugulare ogni refolo di misoginia. E in quanto donna quel che dice sul tema ha il peso dell’uranio, bastava solo che si creasse l’occasione giusta per farsi notare.

Frangi e la replica dopo Bali

Giorgia Meloni al G20 di Bali

Quando? In occasione del viaggio di Giorgia Meloni a Bali per il G20. Come sempre in quel frangente l’assist era arrivato dai rilievi un po’ cretini di qualcuno che aveva eccepito che Meloni avesse con sé sua figlia Ginevra. E la Frangi era stata la prima a condannare quella lettura (invero scema) e quella che l’aveva condannata meglio in punto di lessico. “Il voler criticare a ogni costo, per motivi palesemente ideologici indebolisce l’intera categoria, mina la credibilità della nostra professione. Ma soprattutto vanifica le numerose battaglie portate avanti in questi anni al fine di garantire alle donne il diritto di poter raggiungere successi professionali senza dover rinunciare alla maternità“.

Che le vai a dire ad una che la mette così? Nulla, magari aspetti qualche mese e la fai responsabile della comunicazione con le tv. Il rimpasto serviva perché Meloni con la televisione ha lo stesso rapporto che ha con la stampa ma ce l’ha in iperbole.

Quando Formigli denunciò tutto da Veroli

Foto: Gian Luca Franconetti © Photo Art Studio

Lo aveva rilevato Corrado Formigli che, parlando a Veroli per il festival delle Filosofia, denunciò e denuncia come la premier non accetti inviti da trasmissioni “sgradite” e vieti ai suoi di accettarne. Solo che facendo così Meloni alla lunga lascia varchi immensi: agli avversari ed agli alleati. I primi se la giocano in purezza per mitragliarla ed i secondi, specie adesso che ci sono le Europee in carnet, fanno gli acquaioli ma solo per i loro, di mulini.

Serviva rimediare e farlo con una figura che potesse coordinare la nuova strategia comunicativa di una comunicatrice a metà. Perché in fondo di tutta questa faccenda quello che colpisce davvero è proprio quel fatto là.

Quello per cui si sembra bravi nel parlare all’impronta e invece si ha bisogno di altri “piedi” per lasciarla. Il che, se non è paura, ci va molto vicino.