Gli spari allo Shake ed il sepolcro di Frosinone

Frosinone è un gigantesco sepolcro imbiancato fuori per nascondere dentro ogni genere di putridume criminale. Come raccontano i 6 colpi esplosi ieri sera allo Shake Bar

Alessio Porcu

Ad majorem Dei gloriam

Non è un piccolo paradiso, non è un’isola felice. Frosinone è un gigantesco sepolcro criminale imbiancato: candido all’esterno e pieno di ogni putridume al suo interno. Ma l’importante è che fuori non si veda e tutto sembri pulito. Così nessuno sa e tutti possono continuare a scivolare nella loro esistenza fatta di luci del sabato sera cariche di apparenza.

Dentro quel sepolcro ci sono le esistenze di decine di donne costrette a vendersi sotto altre luci: quelle dei lampioni alla periferia industriale di una città che non vuole vedere. E si illude che battere siano tante allegre Bocca di Rosa e non siano ragazzine con i familiari in ostaggio a migliaia di chilometri di latitudine: se scappi accoppiamo loro. In quel sepolcro ci sono i chili di cocaina che vengono venduti e sniffati ogni giorno a Frosinone: basta che lo facciano al Casermone così fuori dal sepolcro non si vede e lì dentro tanto sono tutti Brutti, Sporchi e Cattivi.

Il sepolcro dell’Est

C’è di tutto in quel sepolcro. Ci sono le gang di romeni spazzate via da quelle degli albanesi. Ci sono quelle dei nigeriani che a Frosinone hanno le loro zone e le difendono: arrivare qui dopo avere attraversato il deserto e guardato la morte in faccia in mezzo al mare fa sembrare una vacanza lo scontro con altri mortali. Gli italiani non ci sono più: i vecchi criminali hanno avuto poche alternative, rimettersi sulla buona strada o salire a bordo di un aereo ed andare lontano da qui. Perché le nuove gang, arrivate da Est e da Sud con il loro carico di fame e di violenza, non fanno prigionieri. Sparano.

Sparano come hanno fatto qualche anno fa alle Fornaci. Un carico di piombo nello stomaco per vendicare l’affronto di avere portato via una donna. E non una storia di sentimento ma più cinicamente di soldi: la signora in questione era una fonte di reddito con la clientela che faceva la fila sull’Asse Attrezzato. Il sentimento lo aveva il macedone che a Frosinone qualche tempo fa ha cercato di portare fuori dal giro una delle ragazze: niente finale alla Pretty Woman, un proiettile gli ha attraversato il cervello da parte a parte e se non è morto bisogna credere allora ai miracoli.

La Villa Comunale di Frosinone

Sparano e scannano: come avvenuto dietro alla Villa Comunale di Frosinone ma anche nella parte alta di un capoluogo cieco e sordo. Soprattutto se, come in questo caso, a rimanere accoppato è un cittadino africano. Uno in meno hanno pensato senza ipocrisie in molti.

Sparano in mezzo alla gente ormai. Quattro volte in poco tempo a Frosinone. Con la polizia che può fare ben poco oltre che dare vita ad un ipocrita gioco a Guardie e Ladri. Perché se al Casermone trovi uno con chili di droga queste strane leggi che ci governano non consentono di accompagnarlo educatamente alla frontiera. La gente non lo sa perché si preferisce far scendere i titoli di coda quando i buoni arrestano i cattivi e non far vedere che poi li devono pure riaccompagnare a casa con la scusa che gli arresti devono farli lì. Dentro al sepolcro.

Spari in pieno centro

Via Aldo Moro e lo Shake dopo gli spari

Per spaventarci bisogna aspettare che quei colpi di pistola, le violenze, gli stupri per obbligare a sottomettersi non si consumino nell’ombra della periferia di Frosinone. Ma nella luce colorata di via Aldo Moro nel pieno dello struscio del sabato sera: una bestemmia per chi ama vivere osservando il candore dei sepolcri imbiancati.

E che ha dimenticato in pochi giorni il pestaggio a sangue subito a due passi da lì appena una settimana prima dall’assessore Adriano Piacentini per strappargli l’orologio che aveva al polso. Come se tutto fosse normale. Come se fosse un fottutissimo reel da far scorrere per passare subito ad un’altra storia.

Invece la realtà esce dallo schermo. Portando fuori dal sepolcro storie di donne e di droga. Come quelle che stanno dietro alla sparatoria mortale avvenuta ieri sera nello Shake Bar di Frosinone. Sulla quale c’è una versione che sembra fatta apposta per mettere in fretta una mano di calce e chiudere in fretta quel sepolcro, così che non si veda troppo. Ora è al vaglio dei poliziotti del questore Domenico Condello. A rimettere al loro posto i tasselli del puzzle investigativo sono in queste ore gli uomini della Squadra Mobile del vicequestore Flavio Genovesi. Sono loro adesso a cercare di grattare via la scorsa e guardare dentro dove sta il putridume.

Sei colpi in rapida successione

Uno dei feriti ancora a terra

Nella ricostruzione che emerge dopo una notte di indagini, sabato sera verso le 19.30 Michea Zaka è allo Shake Bar di via Aldo Moro con i suoi amici Giuliano ed Elia. Sono tutti albanesi: Michea è incensurato ma nell’ultimo anno le Volanti lo hanno fermato due volte per un giro di droga al Casermone. In un caso gli hanno trovato 20mila euro in contanti e per questo sospettano sia il cassiere di una banda; ma le indagini sono ancora in corso.

Lo Shake è pieno come tutti i sabato sera. Entrano altri quattro albanesi Ervin Kasmi e suo fratello Kasen con una coppia di amici. E scatta subito la discussione. Rapida ed accesa. Michea estrae una pistola: calibro 22 giurano alcuni, una 7,65 assicurano altri. Ma qualunque cosa sia da quell’arma esplode sei colpi che vanno tutti a segno. Uno centra al collo uno dei due Kasmi che si accascia e morirà dopo una ventina di minuti tra le mani dei medici del 118 che tentano di rianimarlo. Gli altri restano feriti: uno finisce all’Umberto I ed è gravissimo, uno al San Camillo, l’ultimo allo Spaziani di Frosinone dove lo operano ad un femore fratturato da una pallottola.

Cosa si sono detti e perché Michea ha sparato? Una versione arriva all’alba, dagli ambienti degli albanesi che vivono a Frosinone. Giurano che di mezzo c’è una donna che prima stava con Kasen ed ora con Zaka; alcuni dicono che ci sia una relazione sentimentale, altri parlano di prostituzione.

Il ponte degli invisibili

Foto © Stefano Strani

Non aggiunge molti dettagli Michea Zaka: poco dopo le 23 di sabato si presenta in questura accompagnato dall’avvocato Marco Maietta per mettersi a disposizione. Gli hanno detto che la polizia era passata a casa per cercarlo e lui è andato a consegnarsi. Racconta che sono stati Ervin e Kasen ad aggredirlo e che lui ha fatto fuoco solo per difendersi. La pistola l’ha buttata dal ponte sul fiume Cosa di via Verdi.

Michea Zaka intanto viene arrestato per omicidio e triplice tentato omicidio, al momento non ci sono altri indagati né ricercati. Nemmeno per una ipotetica rissa: non c’è stata. Michea non ne ha dato il tempo.

La polizia quella pistola non l’ha ancora trovata. È finita in una specie di discarica con lattine di birra e brick di vino gettati ogni sera dal popolo degli invisibili. Arrivati dall’Asia fino a Frosinone, sfruttati in cento lavori per guadagnare tre soldi, due li mandano a casa ed uno se lo bevono. Per stordirsi e non guardare il mondo da dentro il sepolcro. Quello che Frosinone si ostina a non vedere nemmeno da fuori.