Il 6 agosto del 1945 e la nascita di una nuova era: quella nucleare

Dopo l'atomica usata dagli Usa contro le città di Hiroshima e Nagasaki nulla fu più come prima: e i geni furono "padri" di un orrore

Gaetano De Angelis Curtis

Università di Cassino Laboratorio di Storia Regionale Dipartimento di Lettere e Filosofia

Tutta l’umanità deve essere cosciente che il 6 agosto 1945 è nata una nuova era della storia dell’uomo: l’era nucleare. Siamo passati dall’età dei metalli, caratterizzata dall’abbandono dell’uso della pietra a favore di rame, bronzo, ferro per la fabbricazione di utensili e di armi, all’era nucleare. Per la prima volta nella storia quel 6 agosto 1945 una bomba nucleare scoppiava sulla terra. Precisamente a Hiroshima in Giappone, seguita tre giorni dopo, il 9 agosto, da quella su Nagasaki (provocando la morte di centinai di migliaia di civili).

Quelle bombe erano state realizzate nell’ambito del cosiddetto «Progetto Manhattan», un programma di ricerca e sviluppo in ambito militare nato negli Stati Uniti nel 1939. Ma che subì una forte accelerazione in seguito al timore che la Germania nazista potesse giungere a sfruttare l’energia nucleare e si sviluppò fortemente a partire dal 1942.

Da via Panisperna agli Usa, fino al Nobel

Da sinistra: Oscar D’Agostino, Emilio Segrè, Edoardo Amaldi, Franco Rasetti ed Enrico Fermi. (Foto scattata da Bruno Pontecorvo)

A dare un contributo fondamentale agli studi, alla ricerca e alla realizzazione della bomba nucleare fu uno scienziato italiano, Enrico Fermi. Originario di Roma, era alla guida del cosiddetto gruppo di «ragazzi di via Panisperna» dell’omonimo istituto di ricerca scientifica sulla fisica di livello mondiale. Nel 1938 il trentasettenne Enrico Fermi ricevette il Premio Nobel per la fisica per i suoi studi sulla scoperta delle reazioni nucleari. Tuttavia già da qualche tempo aveva iniziato a maturare la decisione di lasciare l’Italia e trasferirsi negli USA per continuare la ricerca scientifica.

Determinante fu il fatto che in quel periodo cominciò anche in Italia una campagna antisemita con la pubblicazione del manifesto della razza. E nel luglio 1938 fu avviata la politica legislativa antiebraica con la promulgazione delle leggi razziali. Enrico Fermi non era ebreo, ma lo era la moglie, Laura Capon che perciò era soggetta alle persecuzioni razziali imposte dal regime, insieme ai loro figli. Lo stesso Fermi era soggetto a controlli di ogni tipo, così come dovette rinunciare alla collaborazione di alcuni suoi assistenti di origine ebraica.

Le leggi razziali e l’Ovra che tallonò Fermi

Enrico Fermi in frac stringe la mano al re di Svezia

Era difficile però per lui e la sua famiglia lasciare l’Italia, pedinati dall’Ovra, la polizia segreta fascista. L’occasione gliela dette la cerimonia di consegna del Premio Nobel. Il 6 dicembre 1938 Fermi partì in treno per Stoccolma. Il 10 si svolse, presso l’Accademia delle scienze della capitale svedese, la consegna del Premio. Il comportamento di Fermi nel corso della cerimonia fece scandalo in Italia. Questo perché si presentò in frac e non in uniforme fascista o in quella da accademico d’Italia, non fece il saluto fascista ma strinse la mano al sovrano di Svezia.

Da Stoccolma andò a Copenaghen e il 24 dicembre, con una piccola valigetta, pochi panni e il frac della cerimonia, qualche modesto effetto personale, Fermi e la moglie si imbarcarono per gli Stati Uniti.

Immediatamente a New York fu coinvolto nel «Progetto Manhattan». Fu Fermi a superare il primo grande ostacolo scientifico del gruppo di lavoro. Lo fece quando il 2 dicembre 1942 sotto le gradinate dello stadio dell’Università di Chicago fu sperimentata la prima reazione nucleare.

Il presidente Roosevelt fu avvisato che l’esperimento aveva avuto successo con un messaggio in codice: «Il navigatore italiano è giunto nel nuovo mondo». Alla fine furono quattro le bombe atomiche fabbricate nell’ambito del Progetto Manhattan.

“Little boy”, “Fat man” e discosto lui: Albert

La prima, chiamata con il nome in codice di «The Gadget», fu fatta esplodere con successo nel primo test nucleare nel deserto del New Mexico. La seconda, nome in codice «Little Boy», fu la prima arma nucleare della storia a essere stata utilizzata in quanto fu sganciata il 6 agosto 1945 su Hiroshima. Ed esplodendo a un’altitudine di 576 metri, con una potenza pari a 12.500 tonnellate di tritolo.

La terza bomba, nome in codice «Fat Man» fu fatta esplodere su Nagasaki. Una quarta bomba fu assemblata ma non fu mai utilizzata. La giustificazione dell’uso delle due bombe nucleari in Giappone fu che le esplosioni dovevano accelerare la fine della Seconda guerra mondiale. Perciò stroncando la coriacea resistenza giapponese, come poi in effetti fu.

Del progetto Manhattan non volle prendere parte direttamente Albert Einstein, anche se furono abbondantemente utilizzati i suoi studi e le sue teorie. Inizialmente, di fronte alla minaccia rappresentata dal regime nazista aveva sollecitato gli Stati Uniti a compiere studi sulla fusione nucleare. Successivamente però si schierò contro l’uso del nucleare come arma bellica firmando nel 1955, con il filosofo britannico Bertrand Russell, un manifesto. Manifesto nel quale si evidenziava il pericolo delle armi nucleari.

La corsa all’arma atomica: in pista entra Stalin

I test nucleari non terminarono con la fine del conflitto mondiale, anzi aumentarono a dismisura soprattutto con l’avvio della cosiddetta «guerra fredda». L’Unione Sovietica di Stalin volle raggiungere e superare i livelli americani avviando lo studio, la sperimentazione e la realizzazione delle bombe atomiche come arma di distruzione nucleare (cui si aggiunse anche l’uso civile per la produzione di energia elettrica).

Anche altre Nazioni nel mondo sono diventate delle potenze nucleari (Francia, Gran Bretagna, Cina, Pakistan, India, Corea del Nord) oppure quelle e molte altre si sono dotate di centrali nucleari per uso civile. Nel 1946 gli Stati Uniti condussero ulteriori sperimenti nell’atollo di Bikini, appartenente alle isole Marshall nell’oceano Pacifico. Atollo che divenne un poligono nucleare nel quale fu testata la bomba nucleare all’idrogeno che ebbe, ovviamente, un impatto notevole sull’ambiente. Ancora oggi l’isola non può essere ripopolata a causa degli alti livelli di radioattività.

Negli anni ’50 iniziò la commercializzazione di un nuovo costume da bagno per donne, rivoluzionario a quel tempo in quanto costituito da due pezzi. Fu ideato da un sarto francese qualche anno prima. L’inventore volle dare al nuovo costume da bagno il nome di «bikini», rievocando l’atollo investito dai test nucleari. Questo poiché riteneva che l’introduzione del nuovo costume avrebbe avuto effetti esplosivi e dirompenti.

Tuttavia noi che oggi frequentiamo le spiagge o le piscine di tutto il mondo dove la stragrande maggioranza delle donne indossa il bikini ricordiamo cosa ha voluto rappresentare e cosa rappresenta quel nome. E non solo per un piccolo atollo disperso nell’oceano oggetto di esperimenti nucleari ma per ricordare cosa ha rappresentato per l’umanità l’avvento della nuova era nucleare. Era iniziata il 6 agosto 1945.

L’epopea tutta italiana di Einstein e il suo cervello

Albert Einstein

Il grande scienziato tedesco Albert Einstein, come accennato, dichiarò pubblicamente la sua contrarietà all’uso dell’arma nucleare per scopi militari. Il rapporto della famiglia Einstein con l’Italia è più solido di quanto si possa immaginare. Albert visse per qualche tempo tra Milano (dove è sepolto il padre) e Pavia (dove scrisse il suo primo articolo scientifico).

Moglie e figlie del cugino (che poi si suicidò) furono trucidati dai nazisti in Toscana nel corso della guerra per vendetta probabilmente verso Albert. Quando poi lui morì il 18 aprile 1955 all’ospedale di Princeton, il patologo che effettuò l’autopsia, di propria iniziativa rimosse il cervello. E lo conservò a casa propria immerso nella formalina in un barattolo sottovuoto per circa 40 anni. Il resto del corpo fu cremato e le ceneri furono disperse in un luogo segreto. Quando i parenti di Einstein furono messi al corrente, per il bene della scienza acconsentirono al sezionamento del cervello in 240 parti da consegnare ad altrettanti ricercatori. La parte più grossa è custodita nell’ospedale di Princeton.

Nel 1948 nel corso di una intervista, alla domanda sulle armi potenzialmente utilizzabili in una Terza guerra mondiale, Albert Einstein rispose, riprendendo una frase già formulata, «Non lo so, ma posso dirvi cosa useranno nella quarta. Useranno le pietre!».