La mamma di Aprilia, la ruota di Sezze ed i bimbi non piangono

Il bimbo lasciato dalla mamma in ospedale ad Aprilia. Ed il dovere di non rendere quel dramma uno spettacolo televisivo. Come invece alcuni hanno fatto

Lidano Grassucci

Direttore Responsabile di Fatto a Latina

Ogni tanto mi portavano lì davanti ad un mistero. Dentro una sala spoglia, l’unica cosa visibile era una porzione di ruota in legno nero. Girava e, per come la vedevo io, donava pastarelle in cambio di cose: una magia. Tu andavi con tante cose ed uscivi con pastarelle di mandorla e di visciole: che bontà.

Per me era solo bontà, dietro invece c’erano suore che non uscivano mai. Nonna diceva che erano impegnate ad amare Dio.

Il monastero delle clarisse

Un esempio di ruota conventuale

Certo l’ impegno non era banale. Già è difficile amare: immaginate amare Dio. Poi, solo poi, ho capito che nella ruota ci sta giusto giusto un bambino. Un bambino che chi non poteva, dava nelle mani di quelle donne che amando Dio si facevano amore per quel bimbo, dalla ruota a sempre.

Il monastero delle clarisse stava a Sezze come il cuore al corpo, come l’amore alla vita. Ho pensato a loro, alle suore, alla ruota, alle piastrelle quando ho sentito della ragazza di Aprilia che ha dovuto lasciare il suo bimbo ieri. Non c’era la ruota ma panchine di formica di un Pronto Soccorso e nessun Dio li. Ma c’erano due angeli: due infermieri che hanno trovato il bimbo. E che, certo non usi ai bambini, lo hanno abbracciato come si fa con le rose delicate, con l’ amore che nasce e lo hanno curato.

Non ci sono più le suore, non ci sono più le ruote ma il dolore resta tutto. Lo hanno chiamato Luca e dicono che è un bimbo che ride, una vita che vive.

Duri ma umili

Screenshot dal film The Blues Brothers di John Landis (1980)

Penso ai due terribili protagonisti di The Blues Brothers che, seppur durissimi, non potevano disobbedire alla suora: alla pinguina che li aveva cresciuti. E per suo conto dovevano salvare la casa madre.

Duri ma umili davanti a quella grande madre, una vita difficile la loro ma “sempre in missione per conto di Dio” e la loro madre che era madre per Dio.

Ho condito una storia di Luca, una storia di una ruota, di un amore di una madre e di altre madri che ameranno quel bimbo per farne un uomo. Nonna mi disse… La ruota gira e dall’altra parte c’è sempre la luce e tu anche avrai una pastarella se non piangi. Perché lo sanno tutti: i bimbi non piangono.

No, no nonna non piango, ma mi viene tanto da piangere. Luca sarà curato, la mamma piangerà tanto ma ha salvato il suo bimbo, miracoli di madri.

L’inutilità di quelle immagini

Un esempio di ruota conventuale

E invece di inchinarsi di fronte a quel dolore e quel coraggio, ci sono stati media che ne hanno fatto spettacolo. Show con il più innaturale dei dolori: una madre che deve separarsi da ciò che il suo ventre ha generato, cullato, cresciuto e dato alla vita. E lo deve fare, se vuole salvarlo.

A cosa serviva pubblicare quelle immagini? Cosa aggiungeva alla notizia? In che posto della graduatoria degli indici d’ascolto sta il dolore di una donna, la sua necessità di bussare alla ruota come hanno fatto tante altre donne prima di lei? Abisso. Questa professione abitua al dolore, crea una corazza nell’anima per non lasciarsi lacerare da ciò che con lucida ed analitica freddezza si è chiamati a raccontare.

Ma una cosa è la corazza ed una cosa è l’abisso. Corazza è difesa, abisso è il pozzo infinito ne quale sta la sensibilità di certi media; disposti a sgretolare qualunque legge e qualunque carta nel nome dell’audience.

A noi bimbi? Siamo in missione per Dio, non possiamo piangere.