La meglio gioventù di Giorgia per fare la differenza: come a Frosinone

La metamorfosi di un Partito che parte dalla metamorfosi della sua leader. E da un laboratorio politico che ebbe Frosinone come epicentro.

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

In principio fu Atreju, che mise a regime la mistica dei giovani con le idee “chiarechiarissime” ed un progetto. Poi c’è stato Fenix. Il Partito di Giorgia Meloni ha appena terminato di celebrare i suoi Stati Generali “young” di seconda generazione. E da essi ha tratto per la prima volta un’indicazione prospettica. I giovani della destra non sono più “allevati” per garantire il ricambio generazionale in un Partito che aveva cardine nell’opposizione e nerbo solo nel suo isolazionismo.

Massimo Ruspandini e Fabio Tagliaferri

E sulla scorta di quello che nel 2021 venne definito il “modello Frosinone e Latina” oggi il Partito accoglie molte anime che però hanno trovato una sintesi. E di sintesi organica si tratta, visto che se Meloni ne è icona i suoi uomini ne sono dimostrazione. Uomini come Massimo Ruspandini, l’uomo che alla Federazione di FdI ciociara ha dato base elettorale e strategia di amalgama. O come Fabio Tagliaferri che quello stesso lavoro ha compiuto nel capoluogo, trovandosi a ricostruire quasi da zero. Hanno lavorato su un futuro possibile che oggi è presente compiuto.

Oggi a loro, ai giovani si chiede di costituirsi in categoria che metta al centro della mission il naturale avvicendamento come classe dirigente e di governo. I “fratellini” non sono più insomma gli eredi di un sistema di orgoglio, ma i prosecutori di un progetto preciso. Era il tassello che mancava a Giorgia Meloni. Essa stessa è giovane o quanto meno icona di gioventù riuscita, per ipotecare il futuro di Fratelli d’Italia secondo una nuova prospettiva. E’ quella che a suo tempo portò Massimo Ruspandini ad avere caselle cruciali, peso specifico e massa tali da portare FdI ad essere il Partito senza il quale il centro-destra non avrebbe avuto più senso alcuno. Se non quello agiografico e mesto della Forza Italia che fu.

Ruspandini e la mission cambiata: tocca governare

(Foto © Stefano Strani)

Ed è una prospettiva che parte dai circa 200mila iscritti del 2020. Cioè quando in Ciociaria Ruspandini divenne celebrante dello sponsale difficilissimo tra destra sociale e, ad esempio, la destra governista di Gabriele Picano. O quella di matrice cattolica democratica in cui orbitava Fabio Tagliaferri. E quella che per prima si affrancò dalle sirene di Silvio Berlusconi nonostante ne fossero tra i più antichi e fidati proconsoli sul territorio: come nel caso di Alfredo Pallone ed Antonello Iannarilli.

È una prospettiva che oggi guarda lontano. A cifre, numeri e peso che siano degni di una formazione politica che oggi decide le sorti di un sistema Paese, non più quelle di un’idea in custodia sacrale ma elitaria.

Insomma, grazie anche all’impegno di uomini come Ruspandini in Ciociaria e Nicola Procaccini nel Pontino, oggi la fase della “massa critica” tra le varie anime è archiviata e vige il concetto di Partito di massa. Quello che può abbracciare tutte le istanze possibili per una formazione che prende decisioni e non contesta più quelle degli altri. Per compiere questa metamorfosi Giorgia Meloni aveva bisogno di aggiustare il tiro pur seguendo una rotta collaudata.

L’idea passa per tre step: perseguire una sorta di “eugenetica sociale” con cui i giovani di Fdi siano l’esatto contrario della gioventù ribellista. Poi far risaltare la differenza esacerbando i modelli di comportamento sbagliati “degli altri”. Infine affidare alla generazione precedente, quella “Atreju”, la guida di questa nuovissima leva. Lo scopo è far capire che in Fratelli d’Italia chi ha vissuto quei momenti collegiali “ce la può fare”.

Donzelli, l’esca perfetta per il nuovo FdI

Giovanni Donzelli (Foto: Alessia Mastropietro © Imagoeconomica)

Siamo lontani anni luce ormai dai Campi Hobbit di quando Fratelli d’Italia non era nato e di quando la destra aveva solo una “genitorialità interna” e quasi paramilitare. Oggi le parole chiave sono affidabilità e coerenza, roba molto “easy” e che non presuppone più legami terragni con una storia difficile. Il testimonial è Giovanni Donzelli.

Nella sua doppia veste di responsabile dell’organizzazione del Partito e parlamentare non immune da spot di visibilità assoluta (poco importa se controversi) lui è la camola perfetta. Lui costituisce esca ideale per incarnare il sogno di una nuova generazione destrorsa che non è più relegata nelle nicchie scomode di una marginalità fiera ma inutile.

Donzelli è comunque uno di quelli di Atreju che “ce l’ha fatta” e oggi si può permettere di sconfessare l’idea di un congresso di FdI per il 2024. Ma quale legame c’è tra un “inutile” evento rifondativo di un Partito e la saldezza dei suoi virgulti? Semplice: dove la catena di comando è salda e quindi statica in vertice si deve creare una base peppiante e dinamica. L’anno prossimo ci si dovrà concentrare solo sulle Europee.

Quel congresso che non vuole nessuno

Giorgia Meloni ad Atreju

E quella del Congresso “non è un’esigenza, nessuno ha proposto un cambio di linea. Poi, se qualcuno pensa di essere più bravo di Giorgia, si faccia avanti”. Il messaggio è chiaro: al laghetto dell’Eur e con Fenix non si allevano anatre senzienti. Ma falchetti. E questo garantisce a Meloni ed al “suo” Partito una retroguardia forte e motivata. “I ragazzi sono stati bravissimi, ‘Fenix’ è stata una manifestazione perfettamente riuscita”.

Stanno portando frutti quelle strategie di inclusione meno settaria che a suo tempo fecero raccogliere una ricca messe frusinate a Ruapandini. Che fondamentalmente non è un fascista antemarcia: ma un anarchico di destra. L’allora senatore seppe creare un polo magnetico di potenza efficace. Era ortodosso in punto di appartenenza ma duttile in margine di accoglienza delle diverse sensibilità che arrivarono nel Partito. Tra di loro la briscola grossa era quella dei giovani, già ammaliati dalla politica e perfino reduci dalla sua militanza attiva, ma pronti ad accogliere perché accolti da un contenitore molto allargato.

Per Donzelli quindi “Fenix” ha “costretto anche il mainstream a raccontare una gioventù diversa da quella che si vuole descrivere”. E la “saggezza strategica” di Donzelli è passata per la sottolineatura di un contrappasso sociale. Una sorta di pericoloso benaltrismo che mette la spunta a cosa siano molti dei giovani che non stanno con FdI. “Esiste una meglio gioventù che cercano di non raccontare ma che, di fatto, è la maggioranza nel paese”.

Il paragone con “quegli altri là”

Antonio Abbate

Poi l’affondo da padre nobile che ha visto allievi perfetti: “Abbiamo visto oltre mille ragazzi, volontari, discutere di politica senza creare disordine, parlare di ambiente senza imbrattare monumenti. E il sunto di ciò che oggi rappresenta l’ala “young” di FdI? Puntare su nomi nuovi ma senza ammettere che ci sia bisogno di un rinnovamento o cambio di linea nel partito.

Un po’ come il ricambio cellulare che però avviene sempre negli stessi organi e che proprio di quelli garantisce l’integrità ed il funzionamento. Da questo punto di vista ad esempio l’endiade Antonio Abbate – Massimo Ruspandini era stata ed è molto più che un caso scuola ciociaro. Essa è la prova provata che ci sono lasciti ideologici e lasciti produttivi, e che mettere i due a crasi non è più peccato. Lo scopo, in merito alla linea, è sottolineare la continuità di quella che fa capo a Giorgia Meloni e dare libbre di carne a chi “ha lavorato bene”. Persone come il presidente di Gioventù nazionale, Fabio Roscani, che è un po’ l’alchimista di questo evento non fondativo ma fondante e forse fondamentale. O come avvenuto con Paolo Pulciani, coordinatore provinciale di Frosinone pronto a fare un passo di lato per far capire ai nuovi arrivati che il Partito è uno e non ci sono margini per lanciare Opa. Ed ora è al suo scranno a Montecitorio.

Donzelli ha spiegato che “è stato bravissimo a organizzare questo evento assieme ai ragazzi”. Tutto questo senza dimenticare il radicamento capillare sul territorio, una pratica che illo tempore fece le fortuna di Forza Italia che sugli amministratori locali oggi ancora vive di mezza rendita. “Alla kermesse hanno partecipato sindaci giovanissimi, consiglieri comunali, assessori, dalla Sicilia alla Valle d’Aosta”. Ed avere una solida base migliorista ed ortodossa che ti guarda le spalle concede anche il lusso di riorganizzare il partito ma senza l’ingombro di un rimescolamento di carte.

Giorgia senza fronde, avanti Arianna

Fabio Tagliaferri (Foto © Stefani Strani)

Il dato è evidente: Giorgia Meloni oggi è troppo forte per ammettere anche solo in pia ipotesi di avere “fronde”. Perciò si va di innesti e lo si può fare anche con quel mezzo “familismo” che oggi è delizia di molti media non vicinissimi alle premier. La campagna di tesseramento di FdI, vale a dire la prima vera raccolta di messe dopo la semina delle elezioni politiche dell’anno scorso, toccherà ad Arianna Meloni, a cui sarebbero destinate anche altre deleghe. E gli altri innesti? Donzelli per ora se la gioca di suspance: “L’organigramma per ora non è pubblico, a giorni sarà pronto. Le caselle devono essere ancora riempite”.

Poi il passaggio cruciale che dimostra come la “meglio gioventù” della destra italiana ha cambiato mission. “Stiamo lavorando per selezionare la migliore classe dirigente possibile, che può provenire dal movimento dei ragazzi ma anche dalla società civile: professori, ricercatori, dirigenti. Tutto questo mentre sul tema migranti Meloni sta provando a smarcarsi dall’oltranzismo di Polonia ed Ungheria.

E dopo un Consiglio Europeo trascorso un po’ a capire le ragioni dell’oltranzismo, un po’ a farle venire meno. Come fanno i leader a cui le ideologie stanno strette. E che hanno bisogno di giovani leve praticone. Ma non troppo e comunque per gradi. Come è stato in Ciociaria e nel Pontino. E come piace a Giorgia Meloni, che di quelle terre ha colto la fenomenologia buona.