La nostra missione

Siamo tutti nati con una missione: portare sollievo ai miseri. Che non sono (solo) i poveri ma anche (soprattutto) quelli afflitti da angoscia, paura e sensi di colpa. È una sfida a liberare noi stessi e gli altri dai condizionamenti, offrendo ascolto, speranza e senso.

Pietro Alviti

Insegnante e Giornalista

mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri (Is 61,1)

Il profeta cerca di spiegare a sé stesso e ai suoi seguaci il senso della sua fede in Dio: è una missione da compiere, come quella di ciascun uomo sulla terra. Si nasce perché si viene mandati. Nel linguaggio tradizionale della Chiesa, si utilizzerebbe la parola missionari che prende le mosse dal linguaggio politico militare romano ed è la traduzione del greco “apostoloi”, inviati.

Si viene inviati per compiere una missione, non esistiamo a caso, non siamo inutili. Possiamo soltanto compiere bene o male la il compito che ci è stato affidato.. Ma qual è questa missione?

La nostra missione

Foto: Foundry / Pixabay

Isaia non ha esitazioni: ciò che Dio vuole da noi è che spendiamo la nostra vita per i miseri. Anche in questo caso le parole possono fuorviarci: immediatamente, infatti, colleghiamo miseri alla miseria materiale, economica. Dimentichiamo invece quanta miseria sia generata dall’angoscia, dalla paura, dal male compiuto per cui ci maceriamo nel senso di colpa. Quante persone siano schiacciate dai limiti sociali e psicologici dell’esistenza, quante non riescano a trovare legami affettivi validi e se li vedano scomparire da un momento all’altro. E quante siano travolte dalla maldicenza e dal pettegolezzo, quante subiscano violenze di ogni genere

Ecco i miseri cui bisogna portare il lieto annuncio, la notizia che, nonostante tutto quello che sia loro capitato, la loro dignità di esseri umani è più grande di ogni cosa. E possono essere nuove persone, se lo vorranno.

Quanti cuori spezzati vediamo attorno a noi, quanto bisogno di consolazione, di accompagnamento emerge tra i nostri amici, i parenti, gli alunni, i colleghi di lavoro. Quanta sofferenza interiore vediamo camuffata da belle mises, da eroici cicli di fitness, da diete ferree, da fotografie di piatti di pranzi e cene, tanto da chiederci  se non abbiano altro modo, per manifestare sé stessi?

Maschere dietro le quali nasconderci

In realtà, sono un nascondimento, una specie di camuffamento, per non far emergere la mancanza di senso e la sua angoscia. Se non ascoltato, quel grido può anche arrivare ad esplodere nella violenza, nella sopraffazione, nell’indifferenza nei confronti di ciò che accade. Violenza ancor più sottile ma altrettanto micidiale di quella espressa nei gesti o nelle parole..

Rispondere al grido offrendo ascolto, senso, sguardo e speranza nel futuro e nella capacità di comprensione di ciò che accade, rifuggendo dai tanti profeti di sventura è l’unico modo con cui  potremo liberare noi stessi e gli altri dai condizionamenti. Che rischiano di tenerci prigionieri della sensazione che, davanti a tanto male, non ci sia speranza di cambiamento e perciò non valga la pena di darsi da fare.  

Leggi qui tutte le meditazioni di Pietro Alviti.

(Foto di copertina © DepositPhotos.com)