Scandalo dei fondi Vaticani: assolto Di Ruzza ma doveva denunciare

Il tribunale Vaticano assolve il banchiere ciociaro Tommaso Di Ruzza. Nessun abuso nella vigilanza sui fondi per il palazzo di Londra. E nessun peculato. Seguì la prassi ma non la procedura: per questo gli è stata comminata una multa di 1.750 euro.

Non era un corrotto. Non ha approfittato dei soldi che gli erano stati messi a disposizione. E non era un funzionario incapace: anzi ha svolto fino il fondo il suo dovere. Ma ha seguito la prassi e non la procedura: cioè ha sollevato il telefono e fatto presente i suoi sospetti, invece avrebbe dovuto scriverli su carta bollata e presentare denuncia. È per questo che il Tribunale della Città del Vaticano ha assolto oggi da tutte le accuse il dottor Tommaso Di Ruzza di Aquino infliggendogli però una multa di 1.750 euro.

Il caso è quello legato alla gestione dei fondi della Segreteria di Stato e la speculazione sulla compravendita del Palazzo di Sloan Avenue a Londra. Il Tribunale presieduto da Giuseppe Pignatone ha condannato il cardinale Angelo Becciu alla pena di cinque anni e sei mei di reclusione, ottomila euro di multa con interdizione perpetua dai pubblici uffici; non potrà più ricoprire incarichi amministrativi. In tutto sono state emesse condanne per complessivi 37 anni e un mese di reclusione.

Cinquecento pagine di accusa

Foto © Imagoeconomica

Ottantasei udienze, quasi due anni e mezzo di processo, 69 testimoni per verificare 37 capi d’accusa poi saliti a 41 ed ancora a 49 dopo l’udienza del 30 marzo scorso. Il tutto trascritto in 11.350 le pagine; la documentazione complessiva conta 124.563 pagine cartacee e in dispositivi informatici e 2.479.062 files; 20.150 pagine comprensive di allegati depositate dalle difese; 48.731 dalle parti civili.

Il processo si basa su un documento di circa 500 pagine che sintetizza le accuse. Analizza nel dettaglio le dinamiche che hanno portato ad investimenti costati ingentissime perdite alle finanze vaticane. Al centro delle accuse sono finite dieci persone. Il personaggio più in vista è l’allora Sostituto della Segreteria di Stato Angelo Becciu, il suo ex segretario monsignor Mauro Carlino e la sua donna di fiducia Cecilia Marogna. Poi i finanzieri Raffaele Mincione e Gianluigi Torzi. E l’autorità di vigilanza bancaria vaticana, l’Aif che all’epoca aveva come direttore il dottor Tommaso Di Ruzza di Aquino ed il suo superiore il presidente René Brulhart. Ci sono poi l’ex gestore delle finanze vaticane Enrico Crasso, l’avvocato Nicola Squillace, oltre a quattro società, una della Marogna e le altre tre riconducibili a Crasso.

Foto: © CNS photo/Paul Haring / Catholic News Service

Un’inchiesta che ha fatto emergere una serie di operazioni speculative finanziate anche con i soldi per i poveri nella diretta disponibilità del Papa, quelli dell’Obolo di San Pietro. Operazioni che hanno portato a perdite milionarie per la Santa Sede.

Tutto comincia dagli investimenti (a perdere, secondo i magistrati) fatti dalla Segreteria di Stato con Raffaele Mincione e dall’idea del Vaticano di uscire dall’impasse e chiudere i rapporti con il finanziere italo-svizzero. In che modo? Lasciando a lui la parte mobiliare e dirottando i soldi investiti nell’acquisto dell’immobile di Sloane Avenue a Londra. A questo punto, il finanziere avrebbe fatto lievitare il valore dell’immobile in modo da ottenere un maxi guadagno dalla exit strategy del Vaticano.

Ipotesi che ha fatto scattare per Mincione le accuse di appropriazione indebita, truffa e autoriciclaggio proprio per avere attribuito all’immobile di Londra “il valore, del tutto ingiustificato, di 230 mln di sterline a fronte di una valutazione di poco precedente pari a 129 milioni“.

La posizione di Tommaso Di Ruzza

Tommaso Di Ruzza (Foto: Paola Onofri / Imagoeconomica)

In tutto questo, per Tommaso Di Ruzza scatta l’accusa di non avere visto le tangenti nascoste nei conti. Eppure avrebbe dovuto intercettarle con facilità: perché lui era lì esattamente per quello. E poi lo accusano di essere un accattone che approfitta della carta di credito dell’Authority usandola per spese personali. In tutto 23mila euro spesi tra il 2015 ed il 2019. Poco più di 4mila euro l’anno: poco più di 300 euro al mese. Non proprio il massimo per uno che vigilava su miliardi di dollari ed euro.

Per cosa avrebbe speso quei trecento euro al mese? Spese di ristorante, il noleggio di un’imbarcazione, l’acquisto di biglietti aerei e ferroviari, il conto di alcuni alberghi. Ma la questione si sgonfia poco meno di due anni fa. A gennaio 2022 Tommaso Di Ruzza fa notare al giudice che nessuno ha mai chiesto la sua versione. Il processo si ferma, dispone che l’Accusa ascolti l’ex direttore. E in quella sede Tommaso Di Ruzza esibisce scontrini, fatture e pezze d’appoggio. Non se n’è andato in giro per il mondo a godersi la vita con quei 300 euro al mese. Ci pagava i biglietti quando si spostava per lavoro. Scatta la richiesta di archiviazione per l’accusa di Peculato.

Resta quella per lui ed il suo superiore: non avere visto le tangenti per chiudere la storia del palazzo di Londra. O peggio avere chiuso gli occhi. Accuse che il banchiere affronta durante la tredicesima udienza.

Ne riferivo al Papa

Papa Francesco (Foto: Cristian Gennari © Imagoeconomica)

Di Ruzza, stando all’accusa  avrebbe dovuto capire che dietro un’operazione da 15 milioni di euro sottoposta alla sua vigilanza si nascondeva una tangente. Gli contestano di non essersene accorto e di non avere bloccato quei soldi prima che arrivassero al destinatario, avvisando le autorità investigative.

Un dettaglio mette tutto sotto una luce diversa. Il banchiere lo fa notare ai giudici il giorno del suo interrogatorio in udienza. Mette a verbale: “La mia utenza cellulare non è presente in alcuna chat agli atti del processo; le mie frequentazioni sono state sempre facilmente riscontrabili”. Tradotto: da nessuna parte viene citato da quelli che eventualmente hanno pasticciato con i soldi vaticani.

Allora con chi si confrontava sulle questioni finanziarie il direttore Tommaso Di Ruzza: con chi ha parlato delle operazioni finite sotto processo? La svolta sta tutta qui. “I miei unici interlocutori – ha detto – sono stati Sua Santità Papa Francesco, il cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin ed il Sostituto monsignor Edgar Peña Parra; i vertici dello Ior l’Istituto per le Opere di Religione nelle persone del presidente Jean-Baptiste Douville de Franssu e del direttore generale Gianfranco Mammì; oltre che – per ovvie ragioni d’ufficio – l’allora presidente dell’Aif René Brülhart

Seguì la prassi, non il codice

Rene’ Bruelhart e Tommaso Di Ruzza Foto © Carlo Carino / Imagoeconomica

Ma Tommaso Di Ruzza notò qualcosa di anomalo nell’operazione su cui avrebbe dovuto vigilare? Certo e lo segnalò. Ma gli venne garantito che era tutto in regola al fine di tutelare gli interessi sovrani del Vaticano. Operazione al massimo livello. Perché non intervenne? Assistito dagli avvocati Roberto Borgogno e Gianrico Ranaldi il banchiere mette a verbale: «L’anticipazione di liquidità, chiesta dalla Segreteria di Stato per sostituire il precedente mutuo sull’immobile di Londra, poteva essere concessa dallo Ior perché coerente con l’autorizzazione di cui l’Istituto era titolare; essa avrebbe soddisfatto pienamente gli interessi della Santa Sede, in tutte le sue componenti».

Lo svolgimento del Processo conferma quanto sostenuto da Tommaso Di Ruzza e dal suo presidente dell’Aif René Bruelhart. Per questo sono stati assolti dai reati di abuso di ufficio loro contestati. Il tribunale gli rimprovera però che a norma degli Articoli 178 e 180 avrebbero dovuto denunciare la presenza di un’operazione finanziaria sospetta: anche se avveniva con la copertura dei massimi responsabili della Segreteria di Stato. Per questo è scattata la multa da 1.750 euro.