Le ultime ore dell’uomo che mise l’elmetto in testa agli italiani

La fine di Mussolini. Le differenti ricostruzioni. E la Guerra Fredda iniziata molto prima di quanto ci dicano i libri

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

A quelle decine di migliaia di braccia tese ad osannarlo a Piazza Venezia quando il 10 giugno del ‘40 volle fare la guerra lui per un po’ ci aveva creduto. E si sentiva offeso, più che tradito, dal fatto che adesso che era aprile del 1945 fosse andato tutto a rotoli. Di quello e di come a ben vedere gli italiani l’elmetto in testa non lo avessero voluto. Non al punto da trasformarlo da orpello a prova provata di un’indole guerriera e primordiale che (per fortuna) non abbiamo mai avuto.

Pochi mesi prima del giugno ‘40 era stato papa Pio XII a chiedere a Benito Mussolini di scegliere la pace. Il duce fu freddo e non ascoltò il Pontefice che, secondo un libro del cassinate Nando Tasciotti, poi non si sarebbe speso moltissimo con le parti per salvare l’abazia di Montecassino dal bombardamento radicale e barbaro del febbraio 1944. (Leggi qui: Il silenzio su Montecassino e quel libro di Tasciotti “osservato” speciale. E leggi anche: Montecassino, Tasciotti all’Osservatore: “Poche le luci dal Vaticano”).

Una Nazione nel baratro

Mussolini abbandona la prefettura di Milano il 25 aprile ’45

Benito Mussolini proprio non ci arrivava, a comprendere il baratro in cui aveva gettato una Nazione intera da quando aveva deciso che tutti i suoi figli avrebbero dovuto innestare la baionetta. Roatta ne censi’ in un libro amaro “otto milioni”. Quello e tacere “ché il nemico ti ascolta”. E schifare gli ebrei perché li schifava il suo ex allievo poi fattosi maestro ed alla fine suo carceriere. Lo stesso carceriere che in quei giorni finali di aprile si era auto incarcerato nel suo bunker della Cancelleria a Berlino, con i sovietici che già spianavano i sobborghi della capitale del Reich.

Questo ed altri mille pensieri si affollavano nella mente confusa ed arrendevole del dittatore mentre tentava la fuga verso il Ridotto della Valtellina. Mussolini era reduce dall’incontro a Milano con il Clnai caldeggiato dall’arcivescovo Ildefonso Schuster.

L’incontro a Milano col Clnai, ma andò male

Un camion Opel Blitz della colonna tedesca in viaggio da Milano a Como

Ma era andata male; lui voleva trattare con quel refolo di orgoglio fesso che ammala ogni dittatore in caduta libera, ma quelli erano stati chiari. E perentori: resa incondizionata, e l’immancabile destino stavolta tocca a te. Mussolini aveva fiutato l’aria e, con in tasca l’informazione per la quale in Svizzera non sarebbe stato gradito, si era avviato nibelungicamente verso la valle nordica. La discrezione che il momento richiedeva non l’aveva calcolata nessuno, in quei momenti concitati.

Si aveva l’impressione, tra i gerarchetti di secondo livello che ancora facevano bordone al loro capo, che la liturgia roboante del Grande Statista in Movimento Strategico dovesse sopravvivere anche alla necessità di far defilare un tiranno decaduto in silenzio. Perciò Mussolini viaggiava con un convoglio di camion e blindo lungo un chilometro e su un territorio letteralmente farcito da partigiani.

La verità era che il già duce voleva attirarla, l’attenzione. E voleva farsi catturare, ma da quelli giusti.

Farsi catturare da quelli “giusti”

Winston Churchill

Cioè dagli alleati o dai partigiani bianchi. Ma in zona c’erano i drappelli della 52ma Garibaldi: rossi e in usta forte. E le cose andarono diversamente. Anche al netto di quella polizza di assicurazione che Mussolini, accartocciato in fondo ad una lunga blindo e camuffato da soldato tedesco, si teneva ber stretta tra le braccia. Era il carteggio con Winston Churchill, il fascicolo epistolare che dimostrava come i due leader si fossero parlati a lungo. E come, ai tempi della Conferenza di Monaco, il britannico succeduto al quiescente Chamberlain, padre dell’appeasement, avesse apprezzato la capacità di Mussolini di mettere la mordacchia ad un Hitler già mannaro.

Il convoglio venne fermato, due volte. E la seconda qualcuno tra i partigiani andò dritto in fondo alla blindo. Ci andò malgrado i tentativi di depistaggio di un Pavolini più fanatico che mai, e scoperchiò sotto l’elmetto Stahlhelm M35 quel grosso cranio pelato che aveva partorito i pensieri sul disastro dell’Italia. Quelli dal 19 al 28 aprile 1945 furono giorni consegnati alla Storia con tutta l’aura di ambiguità dei momenti oscuri. Perciò non si sa chi e cosa fecero scoprire Mussolini.

Il riconoscimento di Mussolini sulla via per Comi

Una versione abbastanza credibile parla di alcuni soldati tedeschi presenti nel convoglio che indicarono il duce e che ottennero il via libera per la Svizzera. Ai partigiani interessava il Pezzo Grosso ed uno Stabsfeldwebel della Wermacht lasciò capire, prima di rimettersi salvo in marcia assieme ai soli germanici, che in fondo alla blindo c’era un “camerata ubriaco” da controllare. Mussolini era mezzo astemio e taciturno come non mai, in quelle ore, e la delazione fu evidente.

Tra modi di leggere la Storia di Dongo

Il capitolo che si apre dopo quei minuti è controverso. Per grandi linee è lecito pensare che ci fossero due, se non tre condotte a cozzare tra di loro.

I partigiani rossi volevano Mussolini prima degli alleati per una giustizia sommaria quanto simbolica. E per evitare che Mussolini usasse le sue skill per accreditarsi con gli alleati e salvarsi con un processo in punto di Diritto. Gli alleati fronte Usa volevano Mussolini vivo per utilizzare il carteggio Churchill a loro favore. E gli alleati fronte Regno Unito e Urss volevano Mussolini in mano ai partigiani e morto perché il carteggio Churchill avrebbe costituito fonte di imbarazzo per i primi e problema per i secondi. Che in Italia avevano bisogno di un tiranno certificato al culmine dell’orrore che aveva creato, tiranno morto. Questo per avanzare in Istria ed attestarsi strategicamente il più ad Ovest possibile a guerra finita.

Come andò a finire ce lo dice la storia. Quella ed i colpi di mitra a Giulino di Mezzegra nel pomeriggio del 28 aprile 1945, davanti ai cancelli di Villa Belmonte e con Claretta Petacci sforacchiata assieme all’uomo che amava.

Chi premette il grilletto

L’esposizione dei cadaveri a piazzale Loreto a Milano (Fotografia di Vincenzo Carrese)

Chi sparò? Anche qui le versioni sono tante, troppe per non ingenerare sospetti su una morte che doveva prendere il viraggio di simbologia e strategia al contempo. Morto, silente ed appeso dove il 25 aprile l’Italia si era liberata dal suo orco, a monito orgiastico e simbolico. Mussolini non doveva essere più di queste tre cose.

Alle 16.10 e dopo un interrogatorio con pernottamento a casa della famiglia lacustre dei De Maria, un mitra Mas 38 francese dei brigatisti cantò. La versione ufficiale de l’Unità del 1945 dice che a sparare fu il colonnello partigiano “Valerio“, Walter Audisio. Che preparò anche la bozza del testo da far telegrafare agli alleati: “Spiacenti non potervi consegnare Mussolini che processato Tribunale popolare è stato fucilato“. Con Audisio c’erano anche Aldo Lampredi detto “Guido“, uomo di fiducia del leader del Pci Luigi Longo e un partigiano del posto Michele Moretti, “Pietro“.

Una delle versioni ufficiose dice che invece a sparare a Mussolini ed alla Petacci fu quest’ultimo, che anni dopo lo ammise ma poi ritrattò dietro input del Pci post bellico. “Valerio” doveva restare il Solo Dito della Giustizia che aveva tirato il grilletto. Invece il libro-inchiesta dello storico francese Pierre Milza Wiston Churchill avrebbe ordinato l’assassinio di Benito Mussolini come parte di un complotto per distruggere il compromettente carteggio.

Non solo. Un’inchiesta del giornalista Peter Tomkins (ex agente segreto americano a Milano durante la guerra) ipotizzò che Mussolini fosse stato ucciso da agenti segreti inglesi incaricati di impossessarsi del carteggio. L’inchiesta cita la testimonianza del partigiano della Garibaldi Bruno Giovanni Lonati che dice di essere stato l’autore dell’esecuzione insieme ad un agente italo-inglese di nome John.

La fine del carteggio

Giorgio Pisanò

Fatto sta che il Carteggio Churchill scomparve. Il missino Giorgio Pisanò sostenne che la coppia era stata fucilata “due volte”. Una prima, quella vera, la mattina, tanto per assicurarsi del fatto prima che gli agenti dell’Oss statunitense intervenissero. Poi una seconda, quella inscenata con i cadaveri agganciati alle inferriate della ringhiera e che sarebbe divenuta la morte “official”, nel pomeriggio.

E dell’uomo che volle mettere per forza l’elmetto in testa agli italiani disastrando un Paese restarono solo il monito e la condanna senza appello per quel che aveva fatto. Ma non l’identità di chi, per un po’ ed in chiave anti-comunista, forse glielo aveva fatto fare. La Guerra Fredda era cominciata molto ma molto prima di quanto non ci dicano i libri che non leggiamo più, quando c’era ancora in corso la guerra che l’avrebbe partorita.