Internazionale, i protagonisti della settimana XLVI

I protagonisti della settimana sulle pagine degli Esteri. Per capire meglio cosa accade nel mondo

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

UP

ESTRELLA

Il gay Pride di Roma 2015 (Foto: Andrew Medichini / Courtesy AP)

Pescando nel mazzo: al Gay Pride di Roma del 2015 due transgender vennero affrontati da un gruppo di tamarri di borgata e stesi sanguinanti sull’asfalto. In quello stesso anno a più di 10mila chilometri di distanza Estrella si preparava per il festival annuale chiamato La Vela. Diciamola come va detta: era il festival “de las Auténticas Intrépidas Buscadoras del Peligro”, o il Festival degli autentici e intrepidi cercatori del pericolo, di coloro cioè che hanno identità di genere a prescindere dal genere.

Solo che lì a Estrella vennero lanciati fiori e baci anche da coloro che avevano genere d’indole e genere sessuale coincidenti. Estrella e la sua famiglia, che oggi se la ridacchiano del Senato italiano e chissà perché, vivono vicino alla città di Juchitán de Zaragoza, sull’istmo di Tehuantepec, nello stato meridionale messicano di Oaxaca. I due trangeder che vennero bastonati a Roma invece abitavano a Corviale. A pochi chilometri da un colle da cui Roma dominava il mondo quando in Messico prendevano i pecari al laccio.

Gli Zapotec, il popolo indigeno del Messico. Sono una comunità che ha accettato e celebrato da secoli i mux (pronunciato moo-shays), che sono considerati un terzo genere con pieni diritti.

Zapotec Muxes. Lukas Avendaño, Muxhe Performer (Foto: Mario Patinho)

Molti mux assumono ruoli all’interno della società zapoteca che sono tradizionalmente associati alle donne: cucinano, ricamano abiti, lavorano come parrucchieri, completano le faccende domestiche, si prendono cura dei bambini e dei parenti anziani. Altri fanno cose “da uomini”, molti sono minatori, ma vivono da donne ed Estrella è tra questi. Lei, spiegava il New York Times grazie alla grande penna di Nuria Torres, impasta mattoni di adobe e “disegna gli elaborati ricami dei tradizionali abiti zapotechi, pieni di fiori e altri elementi naturali che inondano di colore ogni celebrazione o festa sull’istmo”.

Secondo i sociologi, il concetto di un genere terzo è esistito in diverse società indigene del Nord America, tra cui i Crow, gli Apache e molti altri gruppi di nativi americani, inclusi i guerrieri forse più cazzuti di sempre. Cioè? I Lakota Oglala di Tashunta Uitko, a voler tradurre in parlesia western i Sioux di Cavallo Pazzo.

Vittorio Zucconi, nel suo splendido “Gli spiriti non dimenticano”, ci narra del migliore amico di “Crazy Horse”, un guerriero no-gender che lo accompagnò nella lotta feroce contro le giubbe azzurre fino alla morte. Cavallo Pazzo e il suo amico morirono nel 1877, a Roma quelli come l’amico di Cavallo Pazzo li picchiano ancora oggi, nel 2021.

Qualcosa non quadra.

WIRED

Preambolo bello perché quelli che lavorano bene ci piacciono. Se al mondo c’è gente che considera Wired la “Bibbia di Internet” e se Internet per definizione è luogo dove le news si fanno più facilmente eresia un motivo ci sarà. Parliamo infatti di una rivista mensile Usa che da quando è nata cartacea nel 1993 a San Francisco non ne ha praticamente sbagliata una. Ecco perché quello che Wired ha scoperto a proposito del Kenya e degli influencer va tenuto in gran conto. Perché è vero come il sorgere del sole e perché è grave come se il sole all’improvviso non sorgesse più.

E poi perché è (l’ennesima) prova provata di un fatto basico e tragico. Che mai come oggi l’informazione è sotto pungolo, mordacchia e influenza di chi cala bene i suoi assi sul web. E di Bestie il mondo ne è pieno.

Cosa ha scoperto Wired? Che in Kenya, stato africano con presunzioni prog, decine di persone sono state pagate o si sono offerte per diffondere disinformazione e dichiarazioni false. Su cosa? Soprattutto su argomenti relativi alla società civile, alla politica ed alle battaglie degli attivisti.

Chi sono questi tanti “piccoli Rondolino” che influenzano l’opinione pubblica in senso distorto e su fatti che non attengono pedalini, tagli di capelli e mood con cui agghindare i cani quando vanno a farla al parco? Ovviamente gli influencer. O meglio, una congrua parte di quelli fra loro disposti a guadagnare 10-20 dollari al giorno in un Paese dove il salario minimo quotidiano è di un dollaro. Soldi facili per smanettoni poco schizzinosi insomma. L’inchiesta di Wired ha dimostrato che, con l’utilizzo di Twitter ad esempio, si veicolavano messaggi di propaganda politica “che avevano come bersaglio giudici, attivisti e giornalisti”.

Anche Giornalettismo ha ripreso la new fiutandone il tragico sugo: “Su un campione di 11 hashtag virali analizzati in un periodo di tempo di circa un mese, otto hanno ottenuto un’amplificazione sufficiente per diventare argomenti di tendenza in Kenya. Le azioni degli influencer avvenivano tutte in un periodo di tempo molto concentrato: l’hashtag saliva in tendenza in pochi minuti, grazie all’attività di un gruppo di account abbastanza vasto che individuava un obiettivo e lo bersagliava a colpi di tweet”.

Una vera centrale di lancio missili che sparava bordate a comando in pratica, e che a pagamento metteva alla berlina chi lottava contro il bracconaggio o chi accusava con cognizione di causa i quadri intermedi del governo di essere corrotti e sotto scacco economico delle potenze straniere. Il grullame social poi leggeva, digeriva in massa critica e si formava opinioni drogate da quelle notizie farlocche. Insomma, come da noi, ma a prezzi modici.

La Bestia equatoriale.

DOWN

L’EGLISE

Jean-Marc Sauvé (Foto: MEDEF / Flickr)

Fino ai primi anni 2000 la chiesa cattolica ha mostrato una profonda e persino crudele indifferenza verso le vittime”. Basterebbero queste parole di Jean-Marc Sauvé per dare una chiave di volta all’intera faccenda. Sauvé è il presidente della commissione che poco più di un mese fa ha appurato che dal 1950 ad oggi il clero francese ha violentato circa 216mila bambini.

La “bolla ormonale” era scoppiata con la presentazione di un reportage consegnato da Sauvet in mano al presidente dei vescovi francesi, monsignor Eric de Moulins-Beaufort. Rapporto che si chiudeva con una frase emblematica: “Quei crimini sono stati coperti in modo sistematico da un deliberato velo di silenzio”.

Roma aveva accusato colpo, Vatican News aveva pubblicato il rapporto con pia autocritica e il direttore della Sala Stampa Vaticana Matteo Bruni aveva diramato da quelle colonne le parole di Papa Francesco su quel ginepraio grosso. Grosso perché in loop su un tema purtroppo “caro” a certa Chiesa ma mai così “europeo” e geograficamente contiguo all’Italia.

Questo a togliere lo scandalo gemello tedesco che però ha numeri decisamente inferiori in un contesto in cui ad ogni numero corrisponde una vita rovinata. Ecco le parole de relato del Pontefice: “ll suo pensiero va anzitutto alle vittime, con grande dispiacere, per le loro ferite, e gratitudine, per il loro coraggio nel denunciare, e alla Chiesa di Francia, perché, nella consapevolezza di questa terribile realtà, unita alla sofferenza del Signore per i suoi figli più vulnerabili, possa intraprendere una via di redenzione”.

Tutto bene dunque, pace fatta, ammenda proclamata e calderone di palta scoperchiato. Tutto o quasi , visto che in questi giorni la Ciase, Commission Independante sur les abuses sexuels de l’Eglise, ha diramato la coda del rapporto, ed è coda forcuta assai: quei 216mila abusi censiti alla data del 5 ottobre 2021 sarebbero in realtà molti di più, per la precisione 330mila, perché a quelli del clero in senso stretto vanno sommati gli stupri messi in atto dai membri laici della Chiesa, come insegnanti e supervisori del catechismo.

Poi la chiosa sulla tipologia di “attacco”: “Alcuni autori di reati sessuali all’interno della chiesa erano predatori su vasta scala che hanno preso di mira un numero estremamente elevato di bambini per lunghi periodi, con alcuni che hanno attaccato più di 150 vittime”.

A nome degli abusati aveva parlato Francois Devaux, vittima di padre Preynat nella diocesi di Lione, che aveva chiosato il tutto dicendo: “È dall’inferno che voi, membri della Commissione, siete tornati”. Ecco, speriamo che quel viaggio sia stato l’ultimo.

Allons enfants.

ADAMA BARROW

Adama Barrow

Da presidente del Gambia il tetro Adama Barrow, uomo dal carattere cupo, ha fatto due cose, una buona ed una pessima: la prima è stata cercare di ammorbidire le scalmane di una repubblica islamica abituata ad un esercizio del potere non proprio prog, la seconda è stata accantonare il programma di vaccinazione anti malarica.

Quando si parla di malaria conviene farlo, un piccolo focus. Su una malattia che in occidente consideriamo poco più che un fastidio accessorio dei tropici lontani. Roba da chinino prima del check in. Soprattutto in Africa la malaria è molto più letale del Covid-19. Nei 12 mesi del 2019, prima che la pandemia mandasse in vacca anche le rilevazioni statistiche, ha ucciso 386.000 persone. Noi qui non lo sapevamo ed era bastevole a ché ce ne fregassimo.

Lo dice l’Oms, che spiega come il coronavirus abbia ammazzato invece 212mila persone in 18 mesi. La malaria è malattia soprattutto africana, con il 94% di casi decessi planetari concentrati nel “Continente Nero”. Ovviamente noi qui non lo sapevamo ed era bastevole a ché ce ne fregassimo.

Solo nel 2015, quando cioè a noi occidentali delle patologie virali e batteriche su larga scala non importava una ceppa, nel mondo ci furono 214 milioni di casi di malaria e 438mila decessi. Insomma, la malaria è cosa seria e non burletta da film con Redford e la Streep. Tuttavia noi qui non lo sapevamo ed era bastevole a ché ce ne fregassimo.

E contro la malaria da qualche tempo c’è un vaccino, approvato dall’Oms da poco più di un mese ma già in circolazione da due anni: si chiama “RTS/S”, è venduto come “Mosquirix” e lo produce la britannica GlaxoSmithKline, roba che Plasmodium falciparum fermati.

Dal 2019, 2,3 milioni di dosi di Mosquirix sono state somministrate ai bambini in Ghana, Kenya e Malawi, che sono fra gli stati più colpiti. Stati come il Gambia che alla malaria paga cambiali pesantissime anche in virtù di un sistema sanitario da baraccati.

E il cupo presidente del Gambia quel programma di vaccinazione lo ha sospeso pochi giorni fa. Perché col Gambia i britannici hanno un passato coloniale che ha lasciato impronta soprattutto sulla capitale rivierasca del paese Banjul. Noi qui ora lo sappiamo ed è bastevole a ché ci inizi a fregare qualcosa.

Questo perché se t’importa di qualcosa che riguarda una terra che non è quella che calchi sei un essere umano. In caso contrario sei una bestia. E nel caso delle pandemia, anche un fesso, fesso come il cupo Sua Eccellenza Barrow.

Da rancore a disastro.