Foibe, quando la Storia è crudele

Foibe, quando la Storia è crudele ma non è in bianco e nero. "Ti con nu, nu con ti”, in slavo per Venezia

Lidano Grassucci

Direttore Responsabile di Fatto a Latina

Il discorso, pronunciato in lingua slava, narrava la fedeltà della gente dalmata a Venezia la Serenissima. In slavo, per la grandezza di Venezia a cui Napoleone negava il futuro. A pronunciarlo fu Giuseppe Viscovich, con quello che è passato alla storia come ‘Il giuramento di Perasto”. Era il 23 agosto del 1797. 

Quel giorno disse a Venezia “Per 377 anni le nostre sostanze, il nostro sangue, le vite nostre ti furono sempre consacrate. E da che tu fosti con noi e noi con te, fummo sempre felicissimi, fummo sul mare illustri e vittoriosi sempre. Niuno con te ci vide mai fuggire, niuno con te ci poté vincer mai”.

La storia non ha nascondigli, la storia non passa la mano. E per usare le parole di Francesco De Gregori nella sua indimenticabile ‘La Storia Siamo Noi’, “La storia siamo noi, siamo noi questo piatto di grano”.

La Storia che non è lavagna

Che dura la Storia. La Storia non è una lavagna dove metti da un lato i buoni e dall’altro i cattivi con un confine diritto. La Storia mischia, fa confusione. La Storia fa degli orchi delle dolci ballerine, di dolci ballerine feroci assassine. E soprattutto, la storia non dà torti o ragioni: confonde le condizioni. Sono italiano, sono stato educato ai valori della Patria, nonna era nazionalista. Ma nonna precisava: Italia non prima a nessuno ma mai seconda.

Istria, Dalmazia, Venezia Giulia per troppi dovevano essere quel che non erano: ciascuno le voleva solo sue, invece erano incroci di diversità meravigliose. Ti facevi domande in croato, ti rispondevano sloveno e cantavano in italiano, amandosi in veneto. Che bello che era questo posto così del mondo che anche in tedesco qualcuno diceva la sua. Poi un poeta italiano ci fece pure un’utopia, dove contava più l’amore della legge. Poi …

Poi il terrore, poi l’odio di chi pensava a vendette, ad esclusive, a mandare via da posti dove si voleva portare tutti li’. Quanto è bella Venezia che corre e si fa lunga fino alla Grecia e pure più in là. Uccisero gli italiani, fu come togliere l’acqua dal mare e lasciarci solo il sale e pesci morti.

Sangue nostro

Recupero di resti umani dalla foiba di Vines, località Faraguni, presso Albona d’Istria negli ultimi mesi del 1943

Ma prima, ad onore del vero, noi, noi italiani, avevano pensato la stessa esclusività. Ci facemmo mostri noi che avevamo creato l’idea stessa di uomo a “rinascere” il mondo.

Tocco a noi: ci buttarono in buche profonde, indifesi perché la guerra per noi fu sbagliata, ingiusta e perduta. Li ricordo quei morti, sangue cispadano come il mio, a far bere terre di Venezia La Serenissima.

In quelle città i bimbi studiavano greco e latino, sapevamo Dante in italiano ma mangiavano parlando con la tata in croato, avevano amori sloveni e ogni tanto c’erano albanesi che passavano di lì. Onoro i miei italiani, odio chi diede a questa tragedia il trampolino, odio chi uccise senza pietà.

Ah, dimenticavo, sono socialista come Guglielmo Oberdan il triestino. E resto nella mia utopia, ma dico che qualcuno fece cose mostruose portando al dolore i nostri sogni di gioia.

Il dovere di ricordare

Ricordo per non ripetere, ricordo le terre dove i sassi parlavano in italiano e la terra era fertile tanto che all’osteria non ti chiedevano come parlavi, ma se sapevi bere in allegria.

Nessuno lo spiegò meglio di Enzo Bettiza nel suo “Esilio”. Lo scrittore-giornalista era nato a Spalato nel 1927 e questo libro è il racconto dell’esilio della sua gente. In quelle pagine scrisse “Fin dalla prima età della ragione io avevo istintivamente detestato qualsiasi forma e manifestazione di nevrosi nazionalistica. Avevo sempre resistito, proprio perché circondato dai loro canti seduttivi, alle varie sirene fomentatrici di odio e di fanatismo razzistico. Il ripudio di tutto ciò che sa di monocultura, di etnocentrismo sciovinistico, è stato in me, oltreché costante, anche precoce e spontaneo”.

È vero. Ogni terra ha il suo canto, tutte hanno un coro nessuna si può permettere un assolo. 

(Leggi qui: La settimana del ricordo, le vittime di casa nostra nelle foibe).

(Foto di copertina © DepositPhotos.com)