Il compleanno della Costituzione più bella di tutte

Il 27 dicembre 1947 venne promulgata la Costituzione. L'Assemblea Costituente impiegò 11 mesi per redigere la Carta, rappresentando un amalgama di visioni politiche e sociali. Si distinse per l'attenzione alle comunità intermedie. ma soprattutto per la sua modernità.

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

Enrico De Nicola fece due cose, quel 27 dicembre del 1947: promulgò la Costituzione Italiana e gettò le basi a ché decine di generazioni di italiani iniziassero a chiedersi cosa significasse “promulgare”. Il termine è astruso e rimanda ad una tradizione di notabilato che non ci ha mai abbandonati, ma è importante. Lo è perché indica una cosa che proprio la Costituzione prevedeva come norma. Che cioè le leggi della Repubblica dovessero essere validate dal Capo dello Stato per diventare esecutive tranne un’eccezione rara, quella di urgenza ed unanimità delle Camere.

Ci vollero 11 mesi di lavoro dell’Assemblea Costituente per scrivere la Mappa Democratica del Paese. Mesi in cui accadde una cosa a cui gli italiani si erano disabituati amaramente. Si discusse, si mediò, si limò. E si arrivò a compromessi stabili. Questo perché la Costituzione italiana nacque da una cosa che giova ricordare. Quello che apparve sulla Gazzetta Ufficiale straordinaria, numero 298, di 76 anni fa fu il risultato di una somma di idee.

E non furono affatto idee eguali per peso e sostanza. Ma spieghiamo meglio.

Una prolifica somma di visioni

L’Assemblea Costituente

Fino al febbraio del 1947 i Partiti del Comitato di Liberazione Nazionale, quelli che avevano “sconfitto” il fascismo, erano uguali. Vale a dire che, indipendentemente da peso, ruolo, consenso (ipotetico, visto che non si votava da 20 anni) e forza rappresentavano ciascuno una perfetta fetta della neonata Repubblica.

Ma in democrazia non funziona così perché quella parlamentare vive della rappresentanza dei Partiti, non del semplice fatto che esistano. Perciò l’Assemblea Costituente votata il 2 giugno del 1946 in concomitanza con il referendum monarchia-repubblica si riprese le sue quote-consenso uscite dalle urne, e le fece pesare nella composizione delle parti della Costituzione.

Può sembrare un meccanismo prevaricatore, ma è la perfetta realizzazione della rappresentanza democratica. Alla nostra Carta concorsero tutti e quelli che avevano ricevuto più voti contribuirono di più, creando un’immagine speculare dell’Italia repubblicana non perfetta, ma straordinariamente composita, e ineguagliata sul pianeta.

Al netto dell’intero arco parlamentare ebbero voce massiccia in capitolo i tre grandi partiti usciti dal voto con maggior consenso. Facile intuire quali: la Democrazia Cristiana, che ottenne il 35,2% dei voti e 207 seggi. Poi il Partito Socialista con 20,7% dei voti e 115 seggi ed infine il Partito Comunista, 18,9% e 104 seggi. Eccolo, il punto su cui riflettere: per 11 mesi ed intorno ad un tavolo si misero su carta regole di massimo rango che erano espressione di modi di concepire la vita pubblica del tutto opposti.

Ognuno dice la sua e ciascuno la ottiene

Giorgio La Pira

Per questo, anche a considerare gli altri Partiti, specie Liberali e Repubblicani ma anche i post-fascisti di Uomo Qualunque e lo stesso Partito di Azione che fece la fine di Robespierre, ogni aspetto venne limato. Ed alcuni videro prevalere una certa visione, salvo poi essere contro bilanciati dalla prevalenza di un’altra. Non fummo perfetti, ma ci andammo vicini. Quelli che oggi in mainstream vengono chiamati i Padri Costituenti, 75 in tutto, crearono tre grandi ambiti di intervento. Ne affidarono la presidenza ai famosi tre “ini”: Tupini, Terracini e Ghidini.

A loro toccò occuparsi dei tre grandi fiumi di ambito generale: diritti e doveri dei cittadini, organizzazione dello Stato e rapporti sociali e di economia. Ma non è solo l’enunciazione dei princìpi che della nostra Costituzione colpisce. Quello che ammalia e che oggi dovrebbe far riflettere fu la parte in cui l’assemblea “deragliò” dal formalismo e indicò altri ambiti su cui agire e scrivere leggi e regole.

Ambiti che non sono mai stati presi in considerazione da alcuna democrazia, non in quel modo sistemico comunque. Un esempio? Ci pensò Giorgio La Pira, a riassumere l’esigenza di una nuova, non battuta e fondamentale rotta. Così, spiegando che la Carta tendeva al “pieno sviluppo della persona umana, a cui la nostra Costituzione deve tendere“.

E che perciò “era necessario non soltanto affermare i diritti individuali, non soltanto affermare i diritti sociali, ma affermare anche l’esistenza dei diritti delle comunità intermedie che vanno dalla famiglia sino alla comunità internazionale“. La nostra Costituzione nacque moderna e complessa. Come una splendida macchina futurista che viene assemblata al posto di un’auto al passo coi tempi dopo un lungo stop alla catena di montaggio.

Il capolavoro: nata futuribile

(Foto: Sara Minelli © Imagoeconomica)

Ci si aspettava un già splendido “dove eravamo rimasti e invece apparve su carta un entusiasmante “dove vogliamo andare nel prossimo secolo, senza pericoli ed evitando ogni nicchia di prevalenza, di ogni tipo, peso, natura o genesi”. Fu un capolavoro.

E c’è un altro dato che deve farci riflettere: pur sottoposta a correzioni importanti nell’arco degli 11 mesi in cui venne stesa, la Carta non subì alcuna modifica sostanziale rispetto alla prima stesura, quella che venne poggiata sul tavolo a metà marzo dopo l’insediamento. La scrissero così bene e così illuminati su quello che bisognava scrivere e rendere architrave dello Stato che la bozza era già Tomo Compiuto.

Oggi ala Costituzione si contesta, per parte minimal ma agguerrita che vorrebbe metterci mano o che ne latra la farraginisità, l’incapacità di dare adito ad una vita pubblica agile e con certezze di continuità nel Tomo dello Stato. E’ sbagliato, è semplicemente sbagliato. E si confonde la complessità ardita di un documento che non lascia indietro nessuno con la cavillosità di un libro mastro buon per i tempi andati ma che paga pegno a Padre Tempo.

Moto più di quel che ci sta scritto

La Corte Costituzionale Foto © Paola Onofri / Imagoeconomica

Tanto comprensiva ed efficace era, quella Costituzione là, che trovò immediata applicazione esattamente negli ambiti che disciplinava, partì come un’auto che non aveva bisogno di rodaggio, ma solo di iniziare a macinare chilometri in circuito. Era bellissima e bellissima è rimasta, la più bella del mondo: rigida, lunga, votata, compromissoria, democratica e programmatica sono solo i cenni sulla “carta di identità”.

Ma chi di noi, individui senzienti, è davvero solo quello che sta scritto sul suo documento? Chi è che potrebbe affermare senza prendersi una pernacchia maiuscola che bastano i segni salienti e lo stati civile per definire una cosa complessa e bella come una persona?

I 139 articoli e commi e 18 disposizioni transitorie e finali sono solo il contenitore perfetto per una cosa nata per fare più luce possibile dopo il buio peggiore di sempre. Ma è il contenuto che affascina e dà fierezza. Perché non dice che il contenuto ci riguarda, ma enuncia che il contenuto siamo noi. Ed è una differenza che, specie oggi, andrebbe colta meglio.