Il Sanremo del tempo lunghissimo

Un tempo Sanremo era un'offesa per chi invece prediligeva le note 'impegnate'. Poi il tempo ha insegnato che quelle rivoluzioni erano ingenue. E che Sanremo è Sanremo. Pero... iniziare alle 20.40 e finire quasi alle 2 della notte "uccide pure un bue".

Lidano Grassucci

Direttore Responsabile di Fatto a Latina

Sono figlio di quelli che “no, basta papaveri e papere“. Figlio dell’impegno che si faceva musica, di ingenue rivoluzioni: prima di poesia dei sentimenti poi. Altro che canzonette. Eppure… sarà il passare degli anni, sarà che il tempo delle rivoluzioni è alle spalle: mi metto a seguire Sanremo.

Tutto bello, tutto figo. Delle canzoni capisco poco (per anagrafe, non c’è dubbio), i testi poi mi paiono in altre lingue di vita. Ma mica posso fare il bastian contrario.

Il tempo senza tempo

Pero… iniziare alle 20.40 e finire quasi alle 2 della notte “uccide pure un bue”. Oltre cinque ore, quasi un turno in fabbrica, un viaggio che da Roma ci arrivi a Parigi, a Londra e ti avanza del tempo.

Chissà per che mi vengono in mente le note e le parole di una canzone: di quelle dei tempi ‘impegnati’, nei quali andare a Sanremo per alcuni sarebbe stata un’onta. Le note sono quelle di ‘Per fare un uomo’ celebre brano dei Nomadi: “Per fare un bimbo un’ora d’amore. Per una vita migliaia di ore. Per il dolore è abbastanza un minuto. Per il dolore è abbastanza un minuto

Cinque ore, per cinque giorni è una giornata intera. Neanche Verdi con l’Aida, neanche un discorso di Aldo Moro.

Il tempo della bellezza non deve diventare schiavo della presenza. Sanremo è vita di questo Paese ma questo Paese ha bisogno non di dilatare ogni cosa, ma di farne dono nel giusto tempo. Cinque ore, per 5 giorni, ci attraversi il mare. 

Non si può contestare Sanremo, lo facemmo al tempo che le rivoluzioni ci parevano possibili e imminenti, poi capimmo che erano tragedie e improbabili. Ma ora non prendeteci per stanchezza.

Quello che ci insegnò Sanremo

Domenico Modugno sul palco di Sanremo

Sanremo ci ha insegnato i fiori, ci ha donato la consapevolezza che era possibile e bello ascoltare qui da noi musicisti come Louis Armstrong. Come toccare il jazz con un dito, il mondo dentro casa. Ma anche mangiare miele se è troppo miele fa morire la dolcezza, anche lo zucchero se è troppo zucchero fa sturbo.

In 5 giorni abbiamo liberato Milano dal gioco dei crucchi e la musica in quella italica rivoluzione contava: viva Verdi era viva Vittorio Emanuele Re d’Italia. Questo nostro Paese è nato per musica, ha anima di poesia, ma cinque ore sono troppe anche per noi che la musica l’abbiamo inventata.

Cinque ore per 5 giorni. La letteratura russa produsse, per stanchezza, i nichilisti. Le nostre canzonette in questo tempo infinito rischiano di bloccarci il piacere di sentire la bellezza per il dovere di stare ad un rito.

La poesia è “mi illumino d’immenso“, basta questo verso che è enorme nella sua solitudine, è affollato nella sua brevità, è ampio come l’universo nel suo breve gesto.

Questo sarebbe. Ma naturalmente lo vedrò, mi stancherò, forse dormicchierò un poco, forse anche sognerò altro, ma cercherò di resistere.