Quel tenente che si comportò come il samaritano

Fu un samaritano a soccorrere il ferito che invece era stato ignorato da un sacerdote e da un levita. Non girarsi dall'altra parte: è la scelta alla quale siamo chiamati ogni giorno. Come accadde a Pofi: dove un giovane tenente non si voltò e fece quello che ritenne il suo dovere

Pietro Alviti

Insegnante e Giornalista

Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e incappò nei briganti che lo spogliarono, lo percossero e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e quando lo vide passò oltre dall’altra parte. Anche un levita, giunto in quel luogo, lo vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo vide e n’ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui. (Lc 10, 30-34).

È tutta questione di sguardi: vediamo e decidiamo cosa fare, se passare oltre o invece avere compassione. È una cosa che ci capita continuamente: vediamo cose e decidiamo se interessarcene o se invece passare oltre. Anche quando si tratta della vita delle persone: che sono in guerra, o naufraghe in mare, o nella povertà o in difficoltà per qualunque ragione.

Vedere e passare oltre è il rischio continuo della nostra esistenza. La prima azione ci interpella e ci rende responsabili, per il fatto stesso di aver visto. La seconda è la nostra risposta alla chiamata. Possiamo fare come i primi due e passare oltre, appunto, oppure comportarci come il terzo, che non aveva niente a che fare con il ferito e che invece ne ha compassione.

Eppure quell’uomo non è lì per terra per responsabilità dell’uomo di Samaria, anzi è un suo nemico. È uno che, in una condizione diversa, probabilmente l’avrebbe trattato a male parole, come minimo. Invece il Samaritano non volta il capo dall’altra parte.

Il coraggio di non voltarsi

L’intervento dell’avvocato Roberto Molle

Mi ha fatto tornare in mente questo passo del vangelo di Luca un intervento dell’avvocato Roberto Molle. Lo ha tenuto il 25 aprile a Pofi durante la cerimonia di  attribuzione della cittadinanza onoraria a Anthony Scotti colonnello della polizia militare canadese e ad Antonio Grazio Ferraro, già sindaco di Cassino e presidente della Provincia. Riconoscimento tributato  per quanto fecero alla fine del maggio del 1944, salvando dallo stupro e dalle violenze tante donne di Pofi, minacciate dalle truppe coloniali francesi.

È una vicenda di cui più volte questo giornale si è occupato: Antonio Grazio Ferraro, 16 anni, si trovava sfollato al casello del km 98 della ferrovia Roma Cassino. Anthony Scotty, giovane tenente al comando della Polizia Militare di stanza a Pofi era nel palazzo municipale. Si incontrarono, in una notte degli ultimi giorni di maggio del 44. Ferraro aveva assistito, quel giorno, allo stupro di una giovane donna nelle campagne vicino al suo luogo di sfollamento e decise di fare qualcosa.

Antonio Grazio Ferraro con la fascia di sindaco

Approfittando della notte, salì verso Pofi a chiedere aiuto ai soldati canadesi: la Provvidenza volle che Scotti fosse di origine italiana e capisse perciò le cose che il giovane Ferraro gli raccontava. Saltarono su una jeep e andarono a controllare. Scotti si rese conto della veridicità del racconto e schierò i suoi soldati sulla riva sinistra del fiume Sacco, sbarrando così la strada ai goumiers del corpo di spedizione francese che, da Castro dei Volsci, tentavano di passare sull’altra riva per continuare le loro violenze sulla popolazione civile. (Leggi qui: I canadesi che salvarono le pofane dalle marocchinate. E leggi anche Sedicenni che non se ne fregano. Come fece Totonno).

Come il samaritano

I fanti coloniali non si fermarono all’alt della Polizia Militare e Scotti ordinò di aprire il fuoco, sgominandoli e salvando così le popolazioni sulla riva sinistra del Sacco. Non erano nemici, erano alleati. Ma Scotti non ebbe esitazioni sul da farsi, come Ferraro aveva scelto di andare ad avvisare le autorità, piuttosto che nascondersi in qualche fossato.

Quelle donne si salvarono perché quei due giovani non voltarono la testa da un’altra parte e intervennero per aiutare chi era in difficoltà.  Fecero la guerra alla guerra.

Lo ha detto anche il presidente Sergio Mattarella a Civitella per il 25 aprile: A migliaia, uomini, donne, religiosi, funzionari dello Stato, operai, borghesi, rischiando la propria vita e quella dei loro familiari, si opposero alla dittatura e alle violenze sistematiche, nascondendo soldati alleati, sostenendo la lotta partigiana”. È quello che fecero i giovani di Alatri, guidati da Carlo Costantini. (Leggi qui: Carlo Costantini ed i ragazzi ciociari che dissero no).

Il presidente ricorda che il sostegno alla lotta partigiana venne fatto anche “falsificando documenti per salvare ebrei dalla deportazione”. Come fece la popolazione di  San Donato Val Comino. (Leggi qui: Gli ebrei giunsero in Val di Comino e San Donato entrò tra i Giusti).

Il sacrificio silenzioso

Il vescovo Ambrogio Spreafico con il Presidente Sergio Mattarella al sacrario di don Morosini

E poi “stampando e diffondendo volantini di propaganda. Essere pietosi verso altri esseri umani era di per sé una manifestazione di antifascismo e di resistenza, quale che ne fosse l’ispirazione, laica o religiosa”. Tanti preti nelle nostre parrocchie rimasero umani e pagarono con la vita: ben 190 sacerdoti vennero fucilati dai fascisti ed altri 120 li fucilarono i nazisti. 

Nei giorni scorsi la penna raffinatissima di Aldo Cazzullo li ha ricordati, citando l’esempio di don Ferrante Bagiardi: a Castelnuovo dei Sabbioni offrì la sua vita in cambio di quella dei suoi 74 parrocchiani. E quando vede che era inutile discutere, si mise nella schiera dei condannati dicendo: «Vi accompagno io davanti al Signore».

Il fascismo – per usare le parole del Presidente Sergio Mattarella – aveva insita l’ideologia della violenza, la pietà non era prevista”.

Ricordiamo i tanti Samaritani del 25 aprile.