Le stranezze e gli sciacalli intorno al Gruppo Ini

Le motivazioni della sentenza che ha condannato un maresciallo dei carabinieri (6 anni) ed un sindacalista (5 anni) per i ricatti al Gruppo Ini fondato dal professor Faroni. I dubbi che rimangono aperti. Il nuovo filone da chiarire

Vogliono mettermi in crisi e farmi vendere a qualcuno che guarda caso ha chiamato l’altro ieri”: la conversazione è di maggio del 2018 ed a parlare con un sottufficiale del Nas Carabinieri è Jessica Faroni. Insieme alla famiglia porta avanti il gruppo sanitario fondato dal padre, il professor Delfo Galileo Faroni. Quella conversazione avviene in un periodo molto particolare. Da alcuni mesi accadono cose strane intorno alle cliniche: al punto che nell’autunno precedente il Gruppo Ini decide di scrivere al prefetto di Frosinone. Mettendo nero su bianco che è in atto una «trappola al limite dell’estorsione per farci vendere il gruppo».

È ottobre del 2017 e ora, solo a distanza di sei anni, è possibile trovare le conferme ai dubbi: leggendo le motivazioni della sentenza che la scorsa primavera ha portato a due condanne. Sono quelle con cui il tribunale di Roma lo scorso aprile ha condannato a 6 anni il maresciallo dei carabinieri Giuseppe Costantino in servizio all’Ispettorato del Lavoro. Ed ha condannato a 5 anni il sindacalista Sicel Andrea Paliani.

La strana assemblea a Veroli

Ini Città Bianca

Tutto era partito da Veroli da una delle cliniche del gruppo Ini: la Città Bianca. Con un’insolita ‘ispezione’ compiuta a sorpresa dall’allora consigliere regionale Davide Barillari e dall’allora deputato Luca Frusone (entrambi del Movimento 5 Stelle ed entrambi usciti dalla formazione politica fondata da Beppe Grillo). Più strane ancora le assemblee sindacali chieste in quello stesso periodo dal sindacato Sicel (Sindacato Italiano Confederazione Europea del Lavoro): sfociate in una denuncia a carico del gruppo sanitario.

Le indagini e la sentenza ora dicono che i veri obiettivi erano due: uno chiarito e l’altro rimasto nel dubbio. Il primo obiettivo del sindacalista e del carabiniere era infiltrarsi nel gruppo sanitario e ricevere una specie di vitalizio. In che modo? Imponendo il loro consulente per realizzare le buste paga alle centinaia di dipendenti dell’Ini. Un incarico da 250mila euro l’anno destinato al consulente Alessandro Tricarico. Che per la procura sarebbe stato la copertura alla tangente (è uscito dal processo tempo fa patteggiando ha già patteggiato una condanna a due anni).

Per spingere i Faroni ad accettare il ricatto vengono coinvolti i due deputati del M5S (estranei all’inchiesta). Con lo spettro dell’iter di commissariamento attraverso il consigliere regionale Davide Barillari che all’epoca era componente della VII Commissione Sanità. Quindi era deputato ai controlli e alle ispezioni presso gli ospedali pubblici e privati. Viene promossa l’apertura di un’indagine presso la procura di Velletri per irregolarità nell’ottenimento dei contributi di solidarietà. Vengono interessati i carabinieri del Nas sollecitando l’avvio di accertamenti sul Gruppo Ini con l’obiettivo poi di chiedere il commissariamento della società. Con la prospettiva di far interessare il Ministero della Salute al fine di far sospendere l’accreditamento delle strutture Ini. Tagliandole fuori dal circuito della sanità convenzionata.

Non solo. Vengono girati documenti d’indagine al Fatto Quotidiano affinché li pubblicasse. Legittimo per il giornale, ma serviva per demolire così l’immagine del Gruppo nei confronti delle banche, con la prospettiva di chiudere gli affidamenti. E mettere anche in difficoltà economica l’Ini.

Il filone ancora aperto

Velletri, il Palazzo di Giustizi

C’è un secondo aspetto ancora da chiarire. Tra gli atti d’indagine si legge che “La citata condotta criminosa è stata realizzata dal maresciallo Costantino nell’ambito di una più generale azione corruttiva posta in essere in cambio di denaro“. A scriverlo è il Riesame. Resta da capire chi abbia dato il denaro a Costantino. E perché lo abbia pagato per mettere in seria difficoltà il Gruppo fondato dal professor Faroni.

Tra le anomalie di questa storia appare poi lo strano ruolo di un sottufficiale dei Nas che ‘corteggia’ Jessica Faroni. E quando nel 2018 lei gli rivela i suoi dubbi su una manovra in atto per destabilizzare il Gruppo e portarlo alla vendita lui cerca di dissuaderla. E anzi, lei sostiene che le cancella dallo smartphone alcuni degli indizi che intendeva portare in Procura. Quali?

Leggendo gli atti delle indagini su Costantini e Paliani si legge che “appare emergere una conoscenza tra quest’ultimo ed un non meglio identificato personaggio dell’Ufficio Accreditamento alla Regione. Che si sarebbe offerto di chiedere la sospensione dei pagamenti effettuati all’Ini dalla Regione Lazio”. Effettivamente poi quei pagamenti iniziano a zoppicare. E non solo. Quando il sindacalista presenta a Velletri la denuncia sui contributi di solidarietà ed il pagamento delle prestazioni ad Ini Grottaferrata, proprio da quell’ufficio della regione Lazio (ma nessuno sa se sia stata proprio l’amico del sindacalista) confermano la sua ricostruzione. Quale?

Pesi e misure

Jessica Faroni

Che sulle cartelle cliniche di alcuni pazienti sarebbero stati indicati codici per prestazioni più onerose di quelle realmente effettuate. Un modo per alzare l’importo delle fatture truffando le casse della Sanità regionale. Mentre la versione dell’Ini è un’altra: i codici sono giusti, la norma è confusa al punto che poi ci sono state delle correzioni. Ma per non sbagliare, Ini e quasi tutte le cliniche private del Lazio hanno seguito un’identica procedura. Si domanda ora il Gruppo dopo avere letto le motivazioni della sentenza “perché le altre strutture sanitarie, sia pubbliche che private, non sono interessate dall’inchiesta?

E ancora. “Com’è possibile che sostanzialmente tutti gli urologi ospedalieri che si occupavano di calcolosi renale abbiano codificato in maniera errata le loro schede di dimissione ospedaliera con il codice incriminato?”. Per il gruppo c’è il sospetto che siano state invece proprio le linee guida di codifica regionali allora vigenti ad essere poco chiare.

Un’altra perplessità. “Perché altri hanno risolto la questione in modo amministrativo e solo per Ini Spa è stato aperto un procedimento penale?“. Un dubbio arriva ora che c’è la sentenza alla mano: il Gruppo Ini nel periodo antecedente e contestuale a quello in cui si sarebbero consumati i fatti ha subito estorsioni e tentativi di estorsione anche da Pubblici Ufficiali. Ed anche in quell’occasione il Gruppo Ini veniva coinvolto in un procedimento penale, già definito in primo grado con una sentenza di condanna. La cui genesi é stata favorita dal maresciallo e dal sindacalista.