Ma quale Pier Silvio in campo, fine dell’estate e fine del tormentone

Tutto sembra far pensare che il figlio del Cav abbia mire politiche ma è il solito "bluff da ombrellone" su un Partito che ha già la sua guida.

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

Compaiono puntuali come i banchi di sardine nel Mare di Bering a cui fanno seguito i tonni predatori voraci che su quel timing mangereccio ci puntano l’orologio. Sono loro, i tormentoni estivi con cui ogni signor Rossi mutandato fin sotto l’ascella che si rispetti si illude che l’estate sia una cosa eterna. Che la vita sia molto di più che pagare bollette e che i Caraibi, irraggiungibili come Alpha Centauri, forse non sono poi così lontani.

Per metterli su basta poco. Un po’ di note non proprio wagneriane, due o tre “mi cuerpo”, “te quiero” con variazione nominale includente la parola “Ibiza” et voilà, il gioco è fatto. Sono i tormentoni estivi, cioè musiche o cose utili solo al momento per esaltare il momento stesso o per riempire ciò che quel momento rappresenta in punto di carenza.

La politica dell’ombrellone e le ipotesi

E in politica il meccanismo è lo stesso. Con la progressiva scomparsa dei temi caldi da un punto di vista della appetibilità concettuale, si scarroccia e ci si accovaccia sul binario due. E’ quello, dritto e imperterrito, dei temi possibili.

Che differenza c’è tra un tema oggettivo ed un tema possibile? Che il primo è fattuale, mentre il secondo è incasellabile in fattualità ma solo se ti metti a guardare i “segnali”.

Non è un caso che tutti gli articoli studiati su Pier Silvio Berlusconi comincino proprio così e datemi un amen per questa ricchezza di lemmi: “I segnali ci sono tutti”. Che è un po’ come dire che ci sono sintomi evidenti che la Terra sia un pianeta e che il brodino di cappone è liquido. Quali segnali ci sono, anzi, ci sarebbero? Che il figlio di Silvio Berlusconi stia per o voglia prendere ufficialmente il posto di suo padre scomparso, alla guida di Forza Italia. E che voglia scendere in campo anche lui.

L’ipotesi è suggestiva, poco da fare. Lo è perché nulla più di una monarchia repubblicana come quella azzurra si presta ad un passaggio di consegne dinastico. E perché non c’è niente di più lineare nella narrazione politica italiana che l’irrompere di un delfino nell’agone per conservare intatto il patrimonio di idee e progetti di un padre possessore di scettro.

Niente sillogismi per favore, e niente eredità

Antonio Tajani (Foto: Carlo Lannutti © Imagoeconomica)

Di quello, lo scettro, e della proprietà di Forza Italia, che è ancora in capo al Cav, suo salvatore anche nei marosi economici di procella degli ultimi mesi. L’equazione è quindi suggestiva assai, quasi sillogica. Se Silvio era il monarca illuminato di un partito-azienda e se il partito-azienda è stato corroborato dai soldi di Silvio e dalle donazioni del figlio allora il figlio sarà l’erede del monarca.

E lo sarà non solo per “bieche” (non lo sono mai) questioni di danè ma anche perché lo avevano capito tutti ma nessuno lo diceva. Forza Italia è come un reame in regime di maggiorascato post carolingio e Antonio Tajani è solo un reggente pro tempore che dovrà durare fino al Congresso e tenere botta alle elezioni Europee del 2024. Poi ci penserà lui, Pier Silvio.

Peccato che sia tutto falso e che si tratti di una suggestione tardo agostana per riempire colonne con roba su cui invocare eventualmente l’ammenda del possibilismo. Cioè dell’analisi che salva sempre tutto, perché se uno scenario del genere lo metti in casella analitica e non di cronaca chi può cazziarti per aver scritto cose da Star Trek nell’era in cui comunque iniziamo a fare l’occhiolino a Marte?

I sintomi che sintomi non sono mai stati

Alessandro Sallusti (Foto: Alessia Mastropietro © Imagoeconomica)

Il segreto sta tutto qua, ma basta tornare sul primo binario, quello fattuale, per capire che di bugia bianca si tratta.

Smontiamoli perciò questi sintomi, e il primo è quello su cui recentemente si sono concentrare le insolitamente obiettive attenzioni di Alessandro Sallusti. Lui parte da quel claim ridicolo che attinge alla mistica ed al parlato di Pier Silvio dopo la morte del padre. E’ tutto condensabile in una frase che sta a metà tra “scopri a quale animale assomigli” e “ecco come fare i milioni come content creator”. Eccola, in tutto il suo splendore: “Avete visto? Pier Silvio parla già da leader”. E certo che parla da leader, lui è un leader, solo che lo è in un altro ambito.

E il segnale due? Allora, dopo la scomparsa del Cav è partita, anzi, si è scatenata la “normalizzazione” di Mediaset. Via le sciantose un tanto al chilo, via la televisione urlata, via i totem della stessa e via perfino i tipi più equivoci in una faccenda già di per sé equivoca come Il Grande Fratello Vip. Di contro, ok all’ingresso di personaggi sei o seriosi, disco verde ad una televisione più “posata” e vai di analisi dove prima si andava di coscia e parolaccia pomeridiana.

Dove cercare la verità: nei palinsesti Mediaset

Silvio Berlusconi

Perciò a palinsesti seri doveva per forza di cose corrispondere una rivoluzione copernicana che abbrancasse anche l’ambito politico. Della serie “Pier Silvio sta studiando da nocchiero, vuole dare continuità all’eredità televisiva del padre ma al tempo stesso vuole frangerla contro lo spigolo della tv che non vende solo pentole e collant. Avete presente quando ci sono tutti i sintomi che una cosa sia possibile ma manca esattamente il dato che quella cosa sia vera?

Non è difficile, basta pensare a quando sul toto ministri ci giochiamo tutti i nomi più improbabili dell’universo e poi a Palazzo Chigi ci ritroviamo esattamente quelli che apparivano più scontati. Ecco, la cosa scontata qui è che non sarà Pier Silvio Berlusconi e surrogare d’imperio Silvio Berlusconi e che non ci sarà un “Pier” in più a suggellare la criogenesi di un partito che non sa vivere oltre il suo fondatore.

La vera scommessa di Forza Italia

Perché la scommessa di Forza Italia è invece proprio quella: andare oltre il suo Padre pur tenendo ben aperto il suo verbo, ma stavolta senza la necessità che atterri un figlio. A tenere in piedi la baracca basteranno un vicario in terra che ha le chiavi del Ppe ed una mistica di ritorno per cui ogni fondatore vive nei suoi desiderata.

E per quelli non serve una discendenza di sangue, non serve esattamente per il più evidente dei fatti: Silvio Berlusconi non ha creato un pensiero politico dinamico che abbisogna del suggello del sangue per tenere la rotta. No, il Cav aveva creato un modo di fare politica ed intendere la società che ha attecchito esattamente a prescindere da chi dovesse incarnare i suoi lasciti.

Forza Italia sarà viva fin quando sarà berlusconiana, e non c’è Berlusconi secondo o terzo che tenga contro questo assioma. Sarebbe non solo inutile, ma rappresenterebbe il segnale vivente che c’è bisogno di uno della casata perché ciò che la casata ha creato è in pericolo. E per ora Forza Italia di pericoli non ne corre, non fin quando le Europee 2024 ne manterranno la centralità assoluta.

Fazzone nazionale ma quando?

Claudio Fazzone (Foto: Giulia Palmigiani © Imagoeconomica)

Vanno lette così le manovre in atto su Fondi, nel cuore del feudo ultraberlusconiano dove regna il console Claudio Fazzone. Il coordinatore del Lazio qui ha teleguidato l’elezione del presidente della Provincia di Latina, eletto i sindaci di tutto il Golfo da Formia a Gaeta passando per Fondi e non solo. Ha tanti voti da poter costituire una falange. Fazzone e Tajani nel passato sono stati spesso in attrito: questioni spicciole, legate più che altro alle attenzioni che entrambi sapevano di avere dal Cav. Senza il Cav, entrambi sanno che devono fare massa critica altrimenti è la fine: per loro, per il Partito.

Non a caso Antonio Tajani si è lasciato andare ad elogi sperticati sul coordinatore del Lazio, annunciando un suo ruolo importante nell’organigramma nazionale. Che però finora nion è arrivato. Che siano sulla stessa lunghezza d’onda lo dice la designazione di Beppe Incocciati (Fedelissimo di Tajani) alla guida del Parco dei Monti Aurunci, ottenuta da Fazzone al tavolo delle trattative.

Certo è che però l’altro pomeriggio quando Antonio Tajani è stato nel regno di fazzone, ad accoglierlo non è stato il suo console ma il parlamentare Ue Salvatore De Meo. Fazzone è arrivato a lavori quasi terminati e s’è seduto in mezzo al pubblico.

Non serve un Berlusconi, basta il berlusconismo

Myrta Merlino (Foto: Benvegnu’ Guaitoli / Imagoeconomica)

Per ora i due si studiano. Cercano un equilibrio. Escluso lo scontro: non c’è margine. Non fin quando Lega e Fratelli d’Italia saranno esattamente a metà strada tra massimalismo e scoutismo moderato, roba grulla perché nuova per loro che sono nati urlatori.

E se c’è qualcuno a cui bastano una Bianca Berlinguer, una Myrta Merlino ed un “adesso torniamo al lavoro” per credere che ci sia una corona in cerca di un cranio allora il problema è suo.

Suo e di chi ama quei tormentoni estivi, quelle musichette belle ma sceme che ci riempiono le giornate estive. In attesa dei giorni in cui secchiello, paletta e spritz con ombrellino torneranno in soffitta. E si ragionerà sul serio.