Quando Ceccano fu bombardata come Gaza

Ceccano, tra i fuochi di invasori e liberatori, fu distrutta ottant’anni fa. 102 le vittime civili nella cittadina ciociara: più grande di quella palestinese, ma con mezzo milione di rifugiati in meno. IndieGesta invita allora i “figli della guerra” a raccontare quei “giorni dell’ira”

Marco Barzelli

Veni, vidi, scripsi

Le guerre, in fondo, si somigliano tutte: brutte e cattive. Ci sono sempre invasori e liberatori che si spacciano per “buoni”. Fanno partire il racconto dal punto più conveniente. Ma la costante è che bombardano i civili: danni collaterali, vittime messe in conto dai grandi capi. Succede a Gaza come accadde a Ceccano ottant’anni fa.

La cittadina ciociara è persino più estesa di quella palestinese, che è più o meno grande come il capoluogo Frosinone. Solo che Gaza ha mezzo milione di rifugiati in più di quelli del fu centro urbano di Ceccano.

Ceccano fu stretta nella morsa dell’occupazione tedesca e dei bombardamenti americani nella seconda fase della Seconda Guerra Mondiale. Ora Israele e Occidente bombardano Gaza sostenendo di avere come unico obiettivo i terroristi di Hamas. Mentre continuano ad accusarsi a vicenda di aver bombardato un ospedale.

80 anni fa Ceccano come Gaza

Bombardamento di Ceccano, foto d’archivio

La Striscia di Gaza è dieci volte più piccola della provincia di Frosinone. Ma soltanto nella capitale conta la stessa popolazione. È come se tutti i ciociari fossero stati concentrati a Ceccano. Poi, all’improvviso, bombardati e sfollati come tra l’autunno del 1943 e la primavera del 1944.

Le vittime civili furono centodue. Le testimonianze dei sopravvissuti sono state raccolte nel documentario “Ore dieci e quaranta”. Adesso l’associazione IndieGesta vuole archiviare altri racconti del dramma vissuto dai “figli della guerra” fino al 1945. Proprio come quelli che stanno vivendo ancora oggi israeliani e palestinesi nelle loro terre contese da invasori e liberatori. Perché si è nuovamente persa la Memoria.

«La Memoria rappresenta le fondamenta della nostra società – così IndieGesta -. In occasione degli 80 anni del passaggio della guerra a Ceccano, vogliamo costruire un canale Youtube in cui raccogliere le testimonianze dei nostri nonni, per avere una memoria collettiva condivisa che resti nel tempo». Spiegano poi: «Lo scopo è quello di creare un archivio video della memoria dei bambini ceccanesi che vissero l’incubo del passaggio bellico nella nostra città tra il 1943 e il 1945».

«Figli della guerra, raccontatela»

Pasqualina Mastrogiacomo, una delle testimoni di “Ore dieci e quaranta”

Basta riprendere i propri nonni che raccontano la guerra e inviare il video all’indirizzo email indiegesta@gmail.com, utilizzando Google drive o WeTransfer. Si può anche chiamare il numero 328.1223188 se si ha bisogno di aiuto per la realizzazione del filmato da pubblicare su YouTube: rigorosamente orizzontale e sotto una buona luce.

La presentazione del progetto “I figli della guerra” avverrà ufficialmente il prossimo 3 novembre: per l’ottantesimo anniversario del bombardamento del 1943. Rientra nella serie di iniziative “I giorni dell’ira”, promossa dalla rete di associazioni coordinata dalla Pro Loco di Ceccano. Verrà anche riproiettato il docufilm “Ore dieci e quaranta: i testimoni raccontano”, realizzato da IndieGesta in seno alla campagna che portò a Ceccano la medaglia d’argento per il merito civile.

In quel documentario, come le altre dialettale e sottotitolata, c’è la testimonianza di Pasqualina Mastrogiacomo. Lavorava come tante alla Bpd, la polveriera di Bosco Faito, quando fu annunciato l’illusorio armistizio di Cassibile: quello dell’8 settembre 1943 tra Italia e Alleati, quando si disse “La guerra è finita” e invece ne scoppiò un’altra. «Noi stavamo in fabbrica a lavorare, ma i tedeschi ci avevano cacciato con il mitra all’orecchio – ha raccontato dialettalmente Pasqualina -. Poi il bombardamento di novembre. Gli aerei arrivano sei alla volta sopra alla Palombara. Bombardarono San Pietro, tutto il Pisciarello, proprio ripianato».

Il carretto pieno di morti

Lorenzo Pizzuti

Lorenzo Pizzuti, dal canto suo, aveva non più di sedici anni quando i tedeschi battevano in ritirata. «Caricarono il mio carretto di soldati morti – ha ricordato lui stesso in ceccanese -. Convinto che li portassero al cimitero di Ceccano. Invece li portarono alla Badia, all’abbazia. Uno dritto al centro, uno a venti metri e altri tre sempre distanti da me, pronti a mitragliarmi se non li avessi seguiti. Tutti a chiedere al Ponte, ma mi portarono via. Stetti più di mezza giornata all’abbazia. Ricordo che c’era una grossa quercia e io giravo lì intorno con il cavallo. Dopo un po’ iniziarono ad arrivare granate e mitragliamenti. Volevo accorciare il tiro dalla Casilina. È tremenda la guerra. E lo sa solo chi l’ha passata».

Angelo Di Mario, invece, abitava nelle case di fortuna di Passo del Cardinale: vicino al Bosco Faito. «C’erano le “pagliarelle” allora, mica ci stavano le case. Quel giorno ero andato a vangare l’orto, quando sentimmo quel bombardamento. Dissi agli altri: “Scappiamo, andiamocene, che ci stiamo a fare qua?”. Pareva che le bombe le avessero buttate a terra proprio vicino a noi. Invece era al Ponte di Ceccano. Finirono di fare il lavoro e non tornarono più».

Anche l’allora giovanissimo Giuseppe Staccone conosceva ormai bene il rumore di quei cacciabombardieri alleati. «A un certo punto spuntarono dal monte Cacume due formazioni da sei aeroplani ciascuna – rammenta -. Sembrava che volessero attraversare il territorio, ma un certo punto si misero sulla direttiva di Ceccano e cominciarono a cadere le bombe».

Con gli zoccoli in testa

Vincenza Carlini

Vincenza Carlini ricorda che «si diceva che a Ceccano non sarebbero venuti a bombardare». Eppure avevano ammirato dal Belvedere le bombe sganciate su Frosinone. Le viene proprio in mente quella volta che andò alla “Mola”, il mulino che si trovava prima della storica cartiera.

«Quella mattina mamma mi disse di andare a prendere il pane al forno – così Vincenza -. Ricordo che portavo un paio di zoccoli. Il pane lo presi, ma al ritorno arrivarono gli aerei. La gente si buttava a terra, ma io volevo tornare da mia madre. Allora mi tolsi gli zoccoli e me li misi in testa per correre più velocemente».

Alla “Mola”, però, non facevano più entrare né uscire nessuno. «Presi la strada per tornare a casa, ma bombardarono il Pisciarello. Nessuno era uscito dalle case perché credevano che a Ceccano non sarebbero venuti a bombardare. La presero in pieno quella povera gente».  Fu bombardato il centro storico e la zona appena sotto al Belvedere. Il resto sarebbe stato annientato nel giro di qualche mese.

“Palloni” bianchi dal cielo

Francesca e Caterina Stella

Anche Francesca e Caterina Stella hanno affidato preziosi ricordi ai ceccanesi. «Stavamo vendendo la verdura in piazza – rammenta l’una del 3 novembre 1943 -. Di botto vennero gli apparecchi e bombardarono tutto. Non sapevamo dove correre». Un po’ come nel mercato di Nuseirat, colpito da ultimo dall’esercito israeliano.

L’altra si trovava in municipio: «Mi dissero di scendere, perché avevano buttato certi “palloni” bianchi. Non feci in tempo a scendere e mi tenni contro un muro per non cadere a terra. Quando scesi giù, non trovai più nessuno. Mi avviai verso il Monumento, ma era tutto fumo per il bombardamento di San Pietro». I cacciabombardieri americani avevano appena sventrato il cuore di Ceccano per “salvarla” dai tedeschi.

Li rimembra Giuseppina Bruni: «Li vedevamo sempre arrivare dalle montagne, certe volte volavano basso, certe “bestie”. Noi guardavamo immobili. Poi hanno girato e cominciato a bombardare. “Chissà che è successo, non andare”. Io, invece, dovevo andare a vedere cosa fosse successo. Mi misi a correre dal Colle Antico. Alla Borgata avevano già abbandonato tutto».  

Fuoco su zio Angeluccio

Giuseppina Bruni

All’altezza del “Ponte francese”, il ponticello sulla ferrovia, vide suo zio Angeluccio sull’iconico Ponte Berardi. Gli disse di scappare. «Ma ‘ndo vai zì Ngilù? – gli urlò la nipote -. Non vidi che dann’ hann’ fatt’ chissi?». Classico modo di dire ceccanese: nel senso di “Non vedi che hanno combinato”. «Ma mitragliarono proprio sul Ponte», chiude Giuseppina. Vide morire suo zio, Angelo Strangolagalli, con il fuoco della liberazione.  

Maria Ferri, la mattina del 3 novembre 1943, era andata al mercato come tutti i mercoledì. Francesca Stella, nel mentre, stava vendendo la verdura. Caterina, invece, stava dentro al palazzo comunale. «Ero di ritorno a casa e incontrai mia amica. Ci siamo messe a parlare fuori dalla porta, quando tutt’a un tratto abbiamo sentito i rumori degli apparecchi. Ci siamo messi tutti a contarli. Siamo arrivati fino a ventiquattro. Poi ci dissero di entrare dentro, che avevano buttato il segnale di avvertimento». Era stato appena bombardato il Pisciarello.

«Un macello di bombe, quando finirono e uscimmo di casa era un disastro», ricorda Maria. Lo choc fu devastante. I sopravvissuti erano rimasti quasi tutti rintronati. «Scoppiarono le bombe a venti metri, presi una bambina e detti voce di rifugiarsi», riporta il testimone Mario Cristofanilli. Quella bambina, dai racconti di vent’anni fa, abitava ancora vicino a lui: era ormai diventata anche lei nonna.

Intere famiglie annientate

Mario Cristofanilli

Mario ne salvò una, ma perse pezzi di cuore. Morirono la sorella e i suoi tre figlioletti. «Vidi mia sorella in una busta e l’altra metà del busto da un’altra parte». Soltanto al Pisciarello morirono 11 persone. Vennero annientate le famiglie Maura e Cristofanilli. Alessandro Cristofanilli dovette recuperare i resti della figlia Rosa e di due nipotini tra le macerie.

Suo figlio era proprio Mariuccio. Soccorse il nipote Luigi Maura, ustionato e sfigurato, dopo che piangevano ormai tutti la morte dei piccoli Giovanni e Giacinto Maura. La corsa in ospedale gli salvò la vita, ma per soli tre giorni.

Si fece la ripida via Pisciarello in salita con il bimbo in braccio. Non ci fu nulla da fare neanche per lui. Come per tanti altri feriti, affidati ai pochi operatori sanitari rimasti sul posto. Eppure si diceva che a Ceccano non avrebbero mai bombardato.