Tensione massima sul salario minimo, ma con attenzione media

Luci ed ombre della battaglia tra governo e minoranze su una misura necessaria ma non immune da "abbellimenti demagogici"

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

C’è chi ci invoca sopra il dirigismo piatto dell’Urss, chi ci sta facendo le barricate, chi lo impugna come una lancia di giustizia e chi lo deprezza come un pannicello caldo. C’è tutto il florilegio sghembo di un’Italia che sui temi chiave ama arroccarsi più in punta di lingua che in spunto di azione. E sul salario minimo la sola cosa che siamo riusciti a fare è dargli quel maquillage arbitrario per cui avevamo bisogno di un tema caldo. E nel caldo meteo di questi giorni, lo abbiamo trovato.

Basta farci caso: il tema del salario minimo è abbastanza “vecchio” e datato da aspirare al ruolo di argomento invernale, roba da brina e bruma. Ma serviva oggi. Serviva in questi giorni di canicola perché la politica attiva è in mezzo stallo e un tema divisivo ma non completamente messo a terra nella pratica è l’ideale per la concezione “borbonica” della dialettica politica. Si fa “ammuina” insomma, come con Santanché, la Russa, Delmastro e il concorso esterno in associazione mafiosa.

Si cerca di erodere credibilità al governo o di spiegare la credibilità dello stesso per fare cassa e messe alle prossime elezioni Europee del 2024.

Dove è regola e dove no: con qualche distinguo

Foto © Imagoeconomica

Attenzione: è tutta roba che sta in un bigoncio di serietà assoluta. Il rinvio deciso 36 ore fa a martedì 26 luglio per la discussione in Commissione Lavoro lo dimostra.

Ma è anche roba per cui, se la politica a servizio dei cittadini fosse un pasto, non andrebbe oltre il ruolo di ammazzacaffè. Non perché parlare di salario minimo non sia importante, ma perché farlo con le solite polarizzazioni di bottega è inutile.

Panoramica breve: il salario minimo è norma in quasi tutti i Paesi europei. All’appello mancano Italia, Danimarca, Austria, Svezia e Finlandia. Cioè un paese con guai atavici, uno piccolo come la provincia di Ascoli Piceno e tre del ricco nord scandinavo-baltico dove uno stipendio medio è più del doppio di quello al di qua delle Alpi.

E le nazioni più “vicine” a noi? Francia e Spagna ce l’hanno rispettivamente dal 1950 e dal 1963. Gli altri hanno picchi minimi di stipendio mensile da angina pectoris: in Lussemburgo sono 2.387,40 al mese e in Germania 2.080 al mese. AdnKronos spiega che Spagna e Olanda hanno aumentato l’importo nel 2023 e la Germania a fine 2022, mentre il Belgio e l’Irlanda hanno già previsto un aumento nei prossimi anni”.

L’Italia, terra di santi, poeti e sindacalisti

In Italia il modello vigente è quello basato sulla negoziazione dei contratti collettivi e dei livelli salariali da parte dei sindacati.

Il dibattito politico e, a traino, quello pubblico, ha messo in spunta il tema. Le opposizioni hanno presentato una proposta di legge unitaria per introdurlo e la maggioranza nicchia, spiegando che non è quella la via, ma solo la contrattazione sindacale categoria per categoria. Chi ha ragione?

E’ evidente che l’idea di mettere l’Italia al passo con altri 21 Paesi europei solletica forte ogni spirito critico ed ogni italiano che sappia cosa significhi vivere in Italia lavorando per quattro-sei euro all’ora. L’ipotesi, peregrina visto numeri e linea dell’Esecutivo Meloni, è quella per cui milioni di lavoratori vedrebbero aumentare il proprio stipendio.

Un report Svimez spiega che ci sono circa tre milioni di lavoratori dipendenti che al momento guadagnano meno di nove euro l’ora. E parliamo di più del 17% dei lavoratori a contratto subordinato. Dato per nulla accessorio: un milione di essi sta nel Mezzogiorno. Cioè dove le dinamiche di consenso politico sono molto legate ai temi “pop” e di incidenza sociale. Questo lì dove invece al Nord, più appagato in punta di appetiti materiali, ci si accapiglia meglio sui temi etici e su quelli da partita Iva.

Tajani, la rivoluzione liberale e lo spauracchio Urss

Antonio Tajani (Foto: Leonardo Puccini / Imagoeconomica)

E la politica? O meglio, i politici? “In Italia non serve il salario minimo. Serve un salario ricco, perché non siamo nell’Unione Sovietica in cui tutti avevano lo stesso stipendio. Parole e musica sono di Antonio Tajani. Che è vicepremier, ministro degli Esteri e segretario pro tempore di Forza Italia. Di un Partito cioè che ha in spunta da tempo un approccio da “cumenda” con il suo elettorato. Poco cale se poi il defunto leader e fondatore Berlusconi una volta disse di voler regalare una dentiera ad ogni italiano, roba più sovietica dei soviet, a ben vedere. La politica è fatta di onde e riflussi e oggi la figura dell’Urss orwelliana sta bene su tutto, come il nero.

Tajani ha spiegato: “Dobbiamo realizzare una rivoluzione liberale un tassello al giorno, abbiamo cinque anni per farlo. Ogni decisione di ogni giorno è una tessera del mosaico per la nostra rivoluzione liberale che significa anche maggiore benessere economico per gli italiani. L’obiettivo è questo”.

Carlo Calenda non ci ha messo neanche due ore, a replicare, lui è talmente twittatore che il Twittatore Massimo, l’ex amico e sodale Matteo Renzi, lo invidia. “Il salario minimo c’è in tutti i Paesi del G7. Gli Stati Uniti, la Germania e la Francia sarebbero sovietici? A parte la sua grave ignoranza, c’è il tema di fondo che sotto una certa cifra non è lavoro ma sfruttamento”.

Conte, Schlein e Calenda sulle barricate

Elly Schlein (Foto: Andrea Calandra © Imagoeconomica)

Giuseppe Conte promette battaglia ad ogni fiata e su ogni piattaforma. L’altro giorno il leader pentastellato ha fatto ghenga buona con Nicola Fratoianni e Matteo Richetti per chiedere alla maggioranza di ritirare l’emendamento soppressivo presentato in commissione. Ed Elly Schlein ha appaltato il tema per tutta la settimana.

La segretaria Dem sta cominciando a capire che i temi sociali hanno un pelino di peso specifico in più rispetto a quelli etici di grande respiro. Perciò sta studiando da praticona. E ha detto: “Il salario minimo c’è in tutti i Paesi europei. Manca in 4 o 5 Paesi, ho controllato. Non è roba da Unione sovietica, mi pare abbia detto così il ministro Tajani. E’ una questione europea”.

Tra l’altro quello sul tavolo è tema mastice e tende al compattamento delle minoranze. Schlein lo ha sottolineato diligentemente. “Le opposizioni hanno unito le forze per proporvi una legge che fa due cose molto semplici: rafforza la contrattazione collettiva. Quello e “stabilisce una soglia sotto la quale anche la contrattazione collettiva non può andare. Abbiamo individuato quella soglia a 9 euro l’ora. Al di sotto della quale è sfruttamento, non può e non deve essere legale”.

La soglia sotto la quale non si può scendere

Braccianti Agricoli

La soglia dei 9 euro non l’hanno individuata i partiti “anti-meloniani” ma la regola, ad ogni modo la chiosa è netta: “Sotto la soglia di 9 euro l’ora si calpesta la dignità del lavoro, è sfruttamento. Non può essere legale”. Attenzione ché c’è un dato di riferimento per inquadrare il tema senza merletti di bandiera. La Schlein chiede amara: “Con che faccia vi rivolgerete a quelle famiglie, ai 3 milioni e mezzo di lavoratori poveri, dopo aver approvato il vostro emendamento soppressivo?”.

Qui va fatto un distinguo che forse è passato sotto traccia e che non toglie nulla alla bontà di una battaglia sociale o al semplice diritto di farla, ma che mette focus al tutto. Il salario minimo legale andrebbe applicato solo ai lavoratori subordinati, cioè quelli che sono già “coperti dalla contrattazione collettiva”. Che significa?

Che in mezzo ai milioni di poveri che la Schelin chiama a testimoniare sul banco della morale sociale ci sono anche lavoratori di categorie atipiche ma massive. Che non verrebbero mai toccate dal salario minimo. I lavoratori del precariato, le false partite Iva mono-committenti. E poi “stagisti, apprendisti, falsi autonomi come i rider, lavoratori in nero, giovani o meno giovani professionisti al di sotto dell’equo compenso”. Lì il salario minimo è e resterà, anzi, resterebbe sempre e comunque, una chimera dialettica.

Una norma non automatica, ma da impugnare

(Foto: Bruno Weltmann ©  DepositPhotos.com)

Poi c’è un passaggio ulteriore, ed è quello per cui messa come la mettono le opposizioni sembra che se il salario minimo venisse approvato (in pia ipotesi) tutto andrebbe a posto in automatico. Cioè, scatterebbe una sorta di perequazione senza arretrati perché vale il principio giuridico della lex regit actum. Non è così: ove arrivasse in punto di norma, chi fosse al di sotto del salario minimo dovrà fare istanza formale per averlo. Cioè dovrà avviare un’azione giudiziaria per invocare un parametro di riferimento legale.

Sì, ma oggi come funziona lo status quo in punto di diritto? Fa fede la Costituzione, al cui articolo 36 è citata una retribuzione “sufficiente e proporzionata”, roba da film comico anni ‘80 insomma.

Un tweet di Carlo Cottarelli inquadra intanto un aspetto paradossale della faccenda: “Il salario minimo non è assistenzialismo come dice Musumeci. Né una cosa veterosocialista (Tajani), visto che c’è in tutti i G7, tranne che da noi. Però è un po’ strano che nel disegno di legge si preveda che se un’impresa paga meno di 9 euro, almeno temporaneamente i soldi per arrivare a 9 te li dà lo Stato. Se facevi extraprofitti perché sfruttavi i lavoratori, perché devi continuare a farli a spese dello stato, cioè di tutti noi?.

I lavoratori fragili, cioè gli elettori migliori

Il dato è che il lavoro fragile sarebbe escluso anche dal salario minimo, ma questo non lo dicono perché dietro ai lavoratori fragili ci sono milioni di elettori fragilissimi. Persone che possono essere blandite meglio in virtù del loro stato di necessità o incasellate tra gli astenuti, il che farebbe gioco per la nascita di maggioranze automatiche e poco rappresentative del plafond effettivo del Paese. Di quelle o di minoranze in cerca di praterie di proselitismo. Parliamo del 40% della forza lavoro femminile e dl 25% di quella maschile.

C’è dunque un tema, ci sono dati obiettivi e ci sono necessità di bottega. E poi c’è l’Italia, dove il dibattito peloso ci ha sempre messo pochissimo a spodestare il merito delle cose. Quello ed una loro analisi accurata. E in fondo alla catena di interesse ci sono tre tipi di italiani: quelli che lavorano in regola e hanno chi difende i loro diritti o che sono già sopra i 9 euro l’ora. Poi quelli che lavorano in sofferenza e non hanno nulla se non il poco che portano a casa.

E quelli che non lavorano e a casa portano solo speranze e bestemmie. E a nessuno di loro importa poi granché del salario minimo. Perché come sempre sui problemi ci si arriva quando quei problemi sono stati già superati. Nel tempo ed in gravità. Perciò conviene adeguarsi o lasciare tutto in mano ai sindacati? La domanda è stimolante ma inutile, perché la risposta sta nei numeri parlamentari di chi propone e di chi si oppone. E chi oggi si oppone, quando era in condizioni di proporre, anzi di imporre, non lo ha fatto.

(Foto di copertina © DepositPhotos.com)