Top e Flop, i protagonisti di mercoledì 20 marzo 2024

I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di mercoledì 20 marzo 2024

I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di mercoledì 20 marzo 2024.

TOP

GIUSEPPE CONTE

Giuseppe Conte (Foto: Saverio De Giglio © Imagoeconomica)

Su moltissime cose è a metà strada esatta tra l’incoerenza e l’ostracismo sadomaso, tipo quella di cazziare Calenda sui termovalorizzatori e fingere di non sapere che a Roma il Pd amico suo in Basilicata ne sta facendo uno. Tuttavia ci sono anche cose sulle quali a Giuseppe Conte non gli si può “dire nulla”. Ovvio, questo al netto della dialettica politica, in cui le posizioni esistono per essere contraddette da chi non la pensa come te.

Ecco, in tema di rotta del Movimento Cinquestelle sul tema armi e guerra in Ucraina Conte non deroga di un millesimo di millimetro. E nei giorni in cui Francia e Polonia provano a a strusciarsi a Berlino in una nuova pappa guerrafondaia attiva Conte dice la sua. E la dice chiara a governo Meloni.

“Il governo fa grandi prediche, ma si genuflette di fronte alle banche e alle industrie belliche, perché lì gli investimenti ci sono. Questo sino i giorni in cui tra l’altro un report Sipri indica proprio l’Italia tra i leader mondiali dell’export di armi. Perciò Conte incalza come se non ci fosse un domani e come se non ci fossero le grane in Piemonte coi dem.

Sentire la voce di Meloni
Giorgia Meloni

“Sui venti di guerra vorremmo sentire anche la voce del Presidente del Consiglio, perché qui abbiamo avuto un governo che ha continuato a litigare sul terzo mandato e a dividersi”. Poi il distinguo netto, un po’ proclamante ed “alla Conte” ma difficilmente eccepibile.

“Mentre noi vorremmo invece un governo che si concentrasse per prevenire ed evitare la terza guerra mondiale che ormai è alle porte”. Lo spiegone dell’ex premier sarà anche partigiano, ma concettualmente regge, e soprattutto politicamente coglie nel segno.

“Attenzione, c’è una strategia militare che si è rivelata completamente fallimentare e adesso sta portando ad una escalation che noi avevamo previsto e denunciato”. E che fai, togli ad uno che te l’aveva detto il piacere di dire che te lo aveva detto?

“Perché era necessario investire in sforzi diplomatici nel cercare comunque un dialogo per quanto difficile. E quindi un negoziato di pace, ma non si è investito in questa direzione con pervicacia. Non si vuole ammettere il fallimento che è sotto i nostri occhi”.

Pacifista come Conte sa essere, aggressivo come Conte deve essere. Così. Almeno fino a giugno.

Molta Peace e poco “love”.

FLAVIO GENOVESI

Flavio Genovesi

Un rompicapo investigativo. All’interno di un ambiente nel quale l’omertà è la regola ed i suoi protagonisti ne sono i sacerdoti massimi: il posto è il carcere di Frosinone, i protagonisti sono esponenti dei clan campani ed albanesi. Che sono arrivati allo scontro diretto, regolato come si conviene in quell’ambiente: a colpi di pistola.

È nata da quell’agguato compiuto all’interno del penitenziario di via Cerreto a Frosinone nel 2021 la doppia inchiesta delle Squadre Mobili di Napoli e del capoluogo ciociaro che ha condotto ieri a 32 misure cautelari, scoprendo un vero e proprio servizio di consegna di droga, telefonini ed armi su misura per i detenuti dei penitenziari italiani. 

Tutto era partito a settembre di tre anni fa quando il detenuto Alessio Peluso aveva fatto fuoco su un gruppo di detenuti che qualche giorno prima l’avevano affrontato e picchiato. Le indagini, all’epoca, ipotizzarono un regolamento di conti tra malavita campana ed albanese. La pistola, ha accertato la Squadra Mobile diretta dal vice questore Flavio Genovesi, era arrivata dall’esterno con un drone che aveva recapitato l’arma direttamente nella cella del detenuto. Gli accertamenti sulle celle telefoniche attivate e sulle frequenze usate per pilotare il drone avevano indirizzato le indagini verso la Campania dando il via ad un nuovo filone d’inchiesta.

Gli episodi ipotizzati dalla magistratura in questi due anni d’indagini riguardano 19 penitenziari italiani dal Piemonte alla Sicilia. E tutto grazie a quel rompicapo investigativo che gli uomini del dottor Flavio Genovesi sono riusciti a risolvere.

Vecchia scuola.

FLOP

PENTENERO e GRIBAUDO

Gianna Pentenero

Entrambe non hanno colpe ma sono le “valli” in cui arrivano slavine dem precise per il voto in Piemonte. E son slavine con cui una certa ala “rigorista” del Pd subalpino cerca di mettere fuori gioco il Movimento Cinquestelle. Spieghiamola ché quando di mezzo ci sono rotte ed alleanze del Nazareno c’è da prendere l’Aulin.

Il Campo largo non è ancora un mood fisso e probabilmente non lo sarà mai. Troppe differenze, marcatissime, tra i due attori e soprattutto troppe realtà territoriali dove quelle differenze sono insormontabili. Il rischio è che tutto puzzi di funzionalismo in purezza che il destracentro si faccia grasse risate nel vedere una Elly Schlein perennemente a caccia di torpedoni larghi per spuntarla in urna.

Perciò in Piemonte, dove la scriminante forte tra dem e M5s è il Tav, si è giocato a “botteghe oscure”. Nel senso che è stata calata una candidatura in purezza ma senza consultare l’altra metà del Campo largo, quella contiana. Gianna Pentenero è attuale assessore al Comune di Torino ed è persona in gambissima, ma si vede lontano un miglio che è stata messa in giostra per dividere, più che per unire.

Perciò, suo malgrado, lei è un totem funzionale prima ancora di essere (e lo è certamente) una candidata credibile a guidare la Regione per cui (ri)corre Alberto Cirio. Penentero sarebbe stata votata all’unanimità dall’assemblea regionale Dem, come ha spiegato l’uomo di punta del Piemonte Domenico Rossi, chiudendo la sua relazione.

Chiara scansati dai…
Chiara Gribaudo (Foto: Marco Ponzianelli © Imagoeconomica)

E Chiara Gribaudo? La vicepresidente del Pd è stata sacrificata a quel “passo non indietro ma di lato” che oggi tra i dem tutti invocano. E che lo fanno per avere una candidata divisiva e brava, ma non forte al punto da rischiare di rimanerci incastrata, nella candidatura. Gribaudo invece poteva essere donna di punta con skill “gerarchiche” maggiori, ma non l’hanno voluta.

E non lo hanno fatto perché la polpetta avvelenata al M5s deve essere abbastanza avvelenata da scatenare l’ognun per sé gianduiotto. Ma non avvelenata abbastanza da portare in dote una vittoria nella ex casa di un’altra Chiara: la Appendino.

I Cinquestelle non ci sono stati. “Alla luce di tutto questo, nei prossimi giorni il Movimento illustrerà il proprio programma e avvierà il percorso per la scelta del proprio candidato presidente. Con due ottime candidate, due ottime politiche e due ottime amministratrici ridotte a caparra urticante per far succedere altro. In quel campo là che non sa allargarsi.

Null’altro che un “boh?”.

UMBERTO ZIMARRI

Umberto Zimarri

«Riaprire la discarica provinciale di Roccasecca? È anacronistico, il progetto risale a nove anni fa. In passato l’iter autorizzativo ha registrato il deciso no del Comune di Roccasecca, dei comuni limitrofi e delle associazioni ambientaliste, ha visto il parere contrario del Ministero dei Beni Culturali e al Tar della stessa Provincia di Frosinone»: Umberto Zimarri è dirigente provinciale della Federazione Pd. Ricopre l’incarico di responsabile delle tematiche ambientali.

Ineccepibile la sua posizione. Sul piano ambientale ci sono migliaia di buone ragioni per considerare quantomeno discutibile la collocazione in località Cerreto a Roccasecca della discarica provinciale. Non da oggi. Ma dall’epoca in cui a governare il Lazio era il centrodestra di Francesco Storace.

Al tempo stesso è inaccettabile la presa di posizione di Umberto Zimarri. Non sul piano ambientale. Ma su quello politico. Il Partito Democratico è l’unico che oggi non può dire no all’apertura del V invaso della discarica. Non ne è nelle condizioni politiche. Perché?

Il V invaso di Roccasecca

Per ragioni ben precise. Su tutte la circostanza che ad autorizzare quell’ampliamento fu la Regione Lazio governata dal centrosinistra di Nicola Zingaretti. Che a diffidare due volte la società Mad a mettere in funzione la discarica fu sempre la Regione Lazio a guida Zingaretti. Legittimamente, dal punto di vista procedurale: le carte dicevano che quello era il sito idoneo e si è proceduto di conseguenza.

Oggi il Partito Democratico non può dire che l’ampliamento della discarica è anacronistico. Perché è stata una sua amministrazione a disporlo ed a sollecitare due volte l’apertura. A meno che non si voglia dire che quando c’è il centrosinistra al governo della Regione i rifiuti si possono portare a Roccasecca e quando c’è il centrodestra improvvisamente Roccasecca non va bene più.

Eccesso di incoerenza.