Universo 25, la fogna del nostro voto

Ecco perché non siamo andati a votare. E la spiegazione è drammatica. Ci riporta ad un esperimento sociale degli anni Sessanta: Universo 25. Tutto identico. Stiamo facendo la fine del 'sorcio in gabbia'

Franco Fiorito

Ulisse della Politica

La fogna del comportamento è un’espressione coniata dall’etologo statunitense John Bumpass Calhoun, usata per denotare il collasso di una società a causa di anomalie comportamentali provocate dal sovraffollamento, pur in un ambiente in cui la comunità è tenuta al riparo da agenti esterni. In inglese lo rese con il termine behavioral sink.

Calhoun partiva dall’assunto ipotizzato da Thomas Malthus, noto teorico delle conseguenze della sovrappopolazione. Il quale affermava che i limiti assoluti alla crescita della popolazione fossero la miseria e il vizio

Coniò il termine “fogna del comportamento” il 1º febbraio 1962, in un articolo dal titolo Densità di popolazione e patologia sociale, scritto per illustrare i risultati dell’esperimento e uscito sul settimanale scientifico Scientific American. I risultati vennero usati successivamente come modello animale di collasso sociale. I suoi studi divennero un punto di riferimento per la sociologia urbana e la psicologia. Forse anche per lo studio del comportamento sociale ed elettorale aggiungerei io.

L’esperimento di Calohun

Calohun all’interno di Universo25 (Foto: Yoichi R. Okamoto, White House photographer)

In sintesi Calohun prese dei bei gruppi di topoloni li inserì in condizioni di vita particolari e favorevoli studiandone l’evoluzione. I primi esperimenti vennero condotti in una fattoria presso Rockville, in Maryland, già nel 1947.

Dopo una serie di passaggi ed esperimenti capì che per arrivare a comprendere scientificamente ogni passaggio dello studio avrebbe dovuto ricreare una vera e propria società dei topi, come l’utopia perfetta.

Nacque così l’Universo 25. Nel 1968, nel Maryland, Calhoun costruì l’habitat ideale per quattro coppie di topi. Risorse illimitate per l’alimentazione, temperatura ideale intorno ai venti gradi, nessuna interazione con i pericoli esterni, pulizia frequente dell’ambiente, uno spazio sufficiente per ospitare fino a 3.800 topi. Vennero scelti inoltre gli esemplari più sani, inseriti in un recinto con cunicoli, zone separate per nidificare e distributori d’acqua continuamente in azione.

Come previsto, i topi iniziarono a riprodursi, con un raddoppio della popolazione ogni 55 giorni. Sembrava il loro Eden, arrivarono a 600 esemplari in meno di un anno e tutto continuò a filare liscio. L’universo 25 era una specie di mondo ideale.

I problemi dei ruoli

John B. Calhoun (Foto: Cat Calhoun)

Il primo problema però riguardò la creazione di ruoli sociali all’interno della colonia di roditori. Una volta raggiunto un ampio numero di esemplari, non avvenne un ricambio generazionale, ma si venne a creare a tutti gli effetti una struttura gerarchica dove ogni topo difendeva il suo status, a costo di attaccare i propri stessi figli.

Le femmine furono costrette a rintanarsi nelle zone separate per proteggere la prole, ma questo non bastò di fronte all’aggressività dei “maschi alfa”. L’esasperata interazione sociale portò alla violenza per mantenere un ruolo di rilievo. Le femmine si nascondevano nei giacigli più alti per non essere raggiunte dai maschi, frenando drasticamente la riproduzione. Si arrivò dunque al pansessualismo, oggi la chiameremmo “fluidità” sul modello sdoganato a Sanremo, oltre che a una battaglia quotidiana in cui la prevaricazione era l’elemento fondante per non essere emarginati dalla società.

Chi lo faceva, isolandosi dal gruppo e rinunciando a combattere, rientrava tra gli esemplari che Calhoun rinominò “i belli”, poiché il loro pelo non era lacerato dai combattimenti e l’alienazione li aveva preservati dalle ferite. I “belli” erano però ai margini della società, passando le giornate esclusivamente a nutrirsi in solitudine. Diciamo tendenzialmente paragonabili a quelli che la cultura moderna chiama metrosexual.

Il declino di Universo 25

Il numero massimo di esemplari non raggiunse i 3.800 ipotizzati da Calhoun, ma si fermò a 2.200. Intorno al seicentesimo giorno dall’inizio dell’esperimento il numero iniziò a calare drasticamente. Le gravidanze continuarono a ridursi di numero, con i piccoli che morivano alla nascita, e nonostante tutti i confort e le risorse illimitate a disposizione, la società dell’Universo 25 finì per collassare.

Si arrivò all’estinzione per l’incapacità di mantenere un equilibrio sociale. Fu quella che Calhoun definì “la prima morte”, quella sociale, che precedeva la seconda, quella fisica. L’ultimo topo morì nel 1973, cinque anni dopo l’inizio dell’esperimento.

In un passaggio scrive: “Non importa quanto sofisticato l’uomo creda di essere, una volta che il numero di individui in grado di ricoprire un ruolo sociale supera largamente il numero di ruoli disponibili, la conseguenza è la distruzione dell’organizzazione sociale”.

Parla inoltre della “fogna del comportamento” spiegando come le risorse illimitate siano state in realtà un’aggravante per le lotte interne, potendosi concentrare soltanto sull’interazione e non sulla sopravvivenza.

L’universo dei giorni nostri

(Foto: Erika Del Vecchio / Teleuniverso)

Ecco esattamente il parallelo della società odierna: la concentrazione assoluta solo sull’interazione. In particolare social. E non più sulla sopravvivenza che, come in Universo 25, viene data ampiamente garantita dalle condizioni sociali in cui viviamo.

Allora escludendo le categorie dei maschi violenti ed incazzati e delle donne impegnate nella loro autodifesa ed autonomia la classe più importante è quella che viene definita dei “belli”.

Nessun problema sociale, nessuna spinta alla sopravvivenza, nessuna lotta sessuale la loro esistenza è votata allo status quo ed alla celebrazione di se stessi. Rifuggono il conflitto, non rappresentano nessuna esigenza vitale o primordiale non temono ne per l’incolumità ne per la sopravvivenza. Si astengono.

Ed ecco in termini poco scientifici ma molto attinenti il motivo principale per il quale la gente non va più a votare e si disinteressa della società che ci circonda. Siamo diventati una società di belli. Ma nel senso di universo 25.

Votare non ci cambia la vita, gli argomenti sembrano tutti uguali così come gli schieramenti e i candidati, non pensiamo di determinare più nulla col voto, il conflitto ci spaventa. Siamo “belli”, non abbiamo problemi a vivere il resto non ci interessa. Figuriamoci la noiosa politica e tantomeno le inutili elezioni.

Nella gabbia ma non ce ne accorgiamo

Foto: Saverio De Giglio © Imagoeconomica

A mezzo secolo di distanza, l’Universo 25 richiama per certi aspetti il mondo in cui stiamo vivendo. La lotta per un posto nella società si è inasprita con la diminuzione dei ruoli da occupare, come dimostrano i tassi di disoccupazione giovanile in molti Paesi del mondo. Anche l’illusione delle risorse illimitate che per anni ha caratterizzato la filosofia delle nazioni industrializzate non garantisce nessun sollievo ai suoi abitanti, ma alimenta in molti l’istinto di prevaricazione sui propri simili. E, anche in questo caso, si arriva all’isolamento.

I “belli” di Calhoun che rinunciano alla società possono essere equiparati ai waldgänger del filosofo tedesco Ernst Jünger, che si ritirano nella foresta, o agli hikikomori della cultura nipponica. Si isolano, abbandonano le interazioni sociali per difesa e per necessità. E non sono spinti da angustie economiche o da carenze di risorse. 

Ma in realtà proprio questa categoria dei belli contiene in nuce le caratteristiche che, come per universo 25, potrebbero portare all’implosione del sistema sociale. E la riluttanza al voto alla partecipazione alla decisione ne è uno dei segni più evidenti.

Ci avviamo verso i modelli americani dove il voto ormai è riservato a ridotte percentuali sociali ed il potere detenuto da gruppi economici che determinano il risultato elettorale. Siamo nella stessa gabbia di universo 25 ma non ce ne rendiamo conto.

La nostra prima morte

Foto: Vince Paolo Gerace / Imagoeconomica

E quello che drammaticamente è più calzante in questo crudo e diretto esempio sociale è il concetto di “prima morte”. Della morte sociale che precede quella fisica. Per Calhoun abbiamo nel nostro Dna il gene della prima morte, quella sociale. Ne siamo attratti, la cerchiamo inconsciamente. Spesso la raggiungiamo, quasi sempre senza accorgercene. La “morte al quadrato” la definì creando una vera e propria equazione matematica su questo concetto.

Ora resta solo un elemento da chiarire: possibile che nonostante sia stato teorizzato rappresentato e descritto questo modello sociale, nonostante ne siano state individuate le categorie distruttive e preconizzate le certe dissoluzioni il nostro modello comportamentale non muti di una virgola? Possibile che pur sapendo gli effetti nefasti di alcuni tipi di comportamenti e quanto loro significano andiamo incontro sempre alla stessa reiterazione sociale?

Ebbene riportato alla politica cosa voglio dire. Pur consapevoli che il drastico calo di affluenza al voto e di partecipazione sia un campanello allarmante. Pur certi che i segnali siano costanti verso il ribasso della attenzione verso la sfera pubblica dopo le elezioni nessuno ha posto realmente il problema di come contrastare questo progressivo distacco dalla politica intesa in tutti i suoi livelli.

La sconfitta sociale nella vittoria elettorale

Foto: Marco Carli © Imagoeconomica

La vittoria o sconfitta elettorale viene analizzata semplicemente per quello che è senza cogliere il dato statistico disarmante.

Eppure noi di trasporti, di agricoltura, di industria o soprattutto di sanità parliamo dibattiamo ogni giorno con ardore ma quando col voto sarebbe stato possibile intervenire andiamo verso forme di astensione record. Un vero controsenso che abbiamo non solo il dovere di analizzare ma di utilizzare come esempio negativo che possa mutare il nostro attuale approccio con la comunicazione politica e con i suoi contenuti.

Prima di fare anche noi, inconsapevolmente, la fine del “sorcio in gabbia”. Ma allettati e convinti dal fatto di essere belli. 

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