Meno male che Antonio c’è, anzi, ci sarà: Marta permettendo

Il ruolo di Antonio Tajani nella sopravvivenza di Forza Italia. Come punto di sintesi e di equilibrio in attesa del congresso. E di un anno che in politica è un'era geologica

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

Non esistono congressi di segno politico importante nella storia di Forza Italia, a parte quelli decisamente “circensi” del suo fondatore. Però stavolta gli azzurri un Congresso dovranno farlo.

Sarà il congresso che nel 2024 dovrà dire su carta firmata in calce ciò che da oggi si dice nei corridoi parlamentari e nella sede del Partito con cui Silvio Berlusconi scese in campo nel 1994. Che cioè il Cav non ha designato eredi politici ma che l’eredità politica del suo Partito è fisiologicamente intestata fino a prova contraria al suo numero due, Antonio Tajani.

Le due necessità

Antonio Tajani (Foto: Carlo Lannutti © Imagoeconomica)

E “l’unzione” dell’attuale vicepremier e titolare della Farnesina passa per due necessità. La prima: quella di bottega di avere un capo. La seconda: quella di coalizione di avere un uomo-mastice. Uno che tenga insieme i pezzi di un Partito che non era mai stato immune da contrapposizioni interne, ma che aveva in Berlusconi la Sordina Assoluta. Morto lui, Forza Italia è passata da catafratta per le leggi della genetica a fratta quelle della fisica che portano tutte all’entropia.

Intanto tra gli azzurri bisogna mettere una spunta immediata alla nomina “in itinere”. Quella che dovrà designare la figura guida che traghetti il Partito verso un conclave: perciò il prossimo 15 luglio gli azzurri hanno in agenda il Consiglio Nazionale.

Non è questione da poco, perché al Congresso manca un anno. E in un anno, con le precondizioni forzose e dettate dalla scomparsa di Berlusconi, il novero delle cose che possono accadere fa tremare moltissimi polsi. Tremano anche se non lo dà a vedere quelli di Giorgia Meloni, che sta raccogliendo troppi segnali e troppo evidenti della disomogeneità di quello che una volta era un monolite. Tremano i polsi di Licia Ronzulli, che ha più cose da digerire forzosamente che step da assecondare in libertà. E tremano i polsi di Manfred Weber, che senza una “consacrazione in comando” dei governisti di FI rischia di arrivare alle Europee 2024 con un partito sul cruciale fronte italiano ridotto ai minimi termini.

Numeri sull’onda

Foto: Canio Romaniello © Imagoeconomica

Partito che per ora gode di lusinghieri sondaggi da benevola onda emozionale. Ma sa che la soglia del 4% è molto più vicina di quanto quei sondaggi non dicano oggi.

L’Ue è fattualmente sotto scacco di una svolta a destra-destra e se la casella Italia venisse meno cambieranno equilibri a livello planetario. Forza Italia reggerà nella fiducia degli italiani ancora per qualche mese, poi però arriverà l’inevitabile crash e solo un Antonio Tajani saldamente al comando potrà contenerlo o addirittura scongiurarlo. E Tajani, che studia da leader maximo ormai da mesi, non si è fatto pregare nel dare lustro ai galloni in arrivo prima ancora che gli siano cuciti sulla spalla.

Lo ha fatto nei giorni scorsi con un Claudio Lotito in piena fregola da emendamenti a pioggia. In primis quello sul Ddl per la pirateria nel calcio. I due hanno avuto un mezzo scontro in Aula nel quale il vicepremier ha redarguito il patron ingiungendogli di “darsi una calmata e diffidandolo dallo scalpitare troppo con le richieste di aggiustamento. Il messaggio è chiaro: mai come oggi non si accettano puledri che sgroppano in avanti. Oggi Lotito è molto più di quel che sembra: è la cartina tornasole di una libertà di condotta che con Arcore a fungere da centrale operativa azzurra semplicemente non c’era. Non è un problema di ribellismo in purezza ma da “liberi tutti”.

Da dialettica a caos: non con Antonio

Tajani, Lotito, Gasparri e Ronzulli (Foto: Sergio Oliverio © Imagoeconomica)

E il segnale che arriva fuori è che Forza Italia non decide più su linea univoca ma – udite udite – ha una dialettica modello Pd, cioè ha persone e gruppi che fanno sentire la loro ed il peso della stessa. E’ roba che nei Partiti più “agili” e vocazionisti in pluralismo si chiama dialettica. Ma nei blocchi di ghisa come FI occhieggia più al caos.

Come su Mes e Dl lavoro, dove da parte azzurra si grida all’equivoco per un brindisi di compleanno. Mentre altrove si sussurra a probabili prove di “sabotaggio”, di truppe in orfanaggio da conducator. Antonio Tajani sarà presidente di Forza Italia dunque e se perfino una come Licia Ronzulli lo ha detto con un microfono davanti alla bocca c’è poco da fare: o lo sarà davvero o il fatto che lo sarà piace talmente poco che conviene dire subito che è una cosa che piace, come quando si tirano via i denti.

Non voglio anticipare nulla. Ovviamente, e non penso di svelare il terzo segreto di Fatima, ma sarà Antonio Tajani“. Se lo abbia detto con rammarico o soddisfazione resta un mistero. Ma le parole a corredo della domanda successiva su una sua possibile candidatura al Congresso una mezza idea la danno: “Non so ancora quando si farà il congresso, si farà l’anno prossimo probabilmente, lo stabiliremo nel Consiglio di presidenza. Mi hanno insegnato che un mese in politica è un’era geologica, figuriamoci un anno“.

Il ruolo di Barelli

Paolo Barelli e Antonio Tajani (Foto: Stefano Carofei © Imagoeconomica)

Il vero regista è e resta Paolo Barelli, uomo di fiducia del Cav che incarna l’ala ortodossa di Forza Italia. Quell’ala che ha provveduto a rimuovere uno “stanco” tesoriere Alfredo Messina ed a sostituirlo con Fabio Roscioli, avvocato di Berlusconi e liquidatore del Pdl illo tempore. Roba che, come rileva QN, un po’ porta male.

E il segnale politico è forte e chiaro, basta concentrarsi sulle prerogative della tesoreria: cassa e soprattutto simbolo del Partito devono essere blindati. Perché in un clima da “liberi tutti” ed in un futuro ipotetico ma non così improbabile il logo non può andare nelle mani sbagliate. Tutto pare filare liscio dunque, almeno in termini di strategia di contenimento, ma manca un fattore, fattore “muto” ma che potrebbe riprendere ugola e peso: Marta Fascina.

Marta ed i suoi supporters

Marta Fascina (Foto: Livio Anticoli © Imagoeconomica)

I suoi supporters, per lo più ex compagni scuola e sodali dai tempi dell’ufficio stampa del Milan, erano stati messi in posizioni chiave anche grazie ad una chat whatsapp privata che ne aveva fatto le orecchie del Cav nei luoghi dove agivano i suoi.

Chat con cui Fascina disvelava a Berlusconi tutti i “tranelli” che via via venivano apparecchiati nel Partito fin da quando era solo vecchio ma non ancora malato grave. Ma ora quelle “young guns” sono in tacca di mira e, una volta aperto il testamento del Cav che potrebbe contenere anche sorprese para-monarchiche da lascito politico, si capirà se la Fascina tornerà ad essere “la deputata muta” o la punta di una lancia tenuta in asta dalla famiglia del Cav.

Una lancia che potrebbe difendere Antonio Tajani dagli attacchi che gli toccheranno nei mesi a venire. O che, se non ci fosse la svolta popolar-europea e la tenuta al voto del 2024 con una conta preventiva, potrebbe puntare dritta al suo petto come falange massima di quegli stessi attacchi.

E dimostrare che Forza Italia non è come l’Italia, che diluire il potere è difficile e che dove prima c’è stato un re ogni presidente ha vita grama.