Quando tutto è finito, quando solo la matematica ti tiene a galla, quando ormai vedi il respingente alla fine del binario al termine di un viaggio senza sosta durato otto mesi, tutto ciò che ti resta è l’applauso di una curva, l’urlo disumano di un muro dai colori gialloblù. Una voce immensa, imponente come può essere solo la voce di 7.954 voci riunite nello stadio Matusa. Che non ti gridano “Hai fallito mister Stellone, siamo retrocessi”, ma ti esaltano, ti applaudono, ti dicono grazie. Grazie per il sogno che ci hai regalato, grazie per avere impedito che fossimo la Cenerentola della Serie A. Grazie per avere rificcato in gola a quell’antipatico di Lotito le sue previsioni da civetta fatte all’inizio della stagione.
Frosinone ed il Frosinone sono questo, mister Stellone.
La fine del sogno non è un incubo in bianco e nero. Se il Frosinone giocherà la prossima stagione in serie B lo dirà la matematica. Ma se anche fosse così, di questo Frosinone non resterà il ricordo di un’armata Brancaleone, nessuno potrà ridere di questi ragazzi che fino a tre anni fa giocavano in Lega Pro e adesso si sono giocati fino alla fine quella fetta di paradiso che hanno calpestato dignitosamente per un’intera annata.
Frosinone è questo. La città dei peones diventata capoluogo per un capriccio, dei desperados sfruttati e fregati per secoli: prima dai Francesi, poi dai papalini, quindi dai Savoia e adesso da mezze tacche di vario colore politico.
L’unico a non averli fregati si chiama Maurizio Stirpe, si chiama Roberto Stellone, si chiama con il nome di quei ragazzi che hanno girato le zolle di tutto il campo prima di tornare sconfitti negli spogliatoi.
Meritandosi quell’urlo e quell’appaluso che ha fatto piangere mister Stellone a fine gara. Di gioia e non di vergogna.