Quirinale, Berlusconi non molla: “Draghi resterà a Palazzo Chigi”

Berlusconi non molla il pallottoliere. Salvini si smarca. I segnali da Toti ed in serata anche da Renzi. Il centrodestra anticipa il vertice. Enrico Letta non nasconde l’obiettivo di un Mattarella bis, ma in campo resta forte l’ipotesi di Mario Draghi. I numeri di Mannheimer

Posso giocarmi le mie carte…” Silvio Berlusconi non molla il Colle. Va avanti come un treno. Non lo impensieriscono nemmeno un po’ le frasi pronunciate oggi da Matteo Salvini: ”la Lega sarà al Governo, a prescindere da chi è a palazzo Chigi“. Un chiaro segnale di smarcamento dalla linea tracciata dal cav che nei giorni scorsi aveva detto nella sostanza “Se Draghi va al Quirinale si torna al voto perché Forza Italia non appoggerà altri Governi”.

Concentrato a scovare più voti possibili, Berlusconi non si lascia distogliere dal suo obiettivo, quello di ‘scalare’ il Colle più alto. L’ex premier oggi ha sentito gli alleati: è convinto che Mario Draghi alla fine resterà a palazzo Chigi: se viene eletto alla presidenza della Repubblica -va ripetendo a chiunque anche in queste ore- il Governo cade e si va dritto al voto anticipato. Su questo punto, raccontano, è inamovibile ed ecco la determinazione che lo porta a giocarsi fino in fondo la partita e non perdere un’occasione unica.

Da quando è arrivato a Roma, nel pomeriggio di ieri, Berlusconi non si è mai staccato dal telefono, aggiorna in continuazione il pallottoliere in base a chi potrebbe sostenerlo in Parlamento e chi no. Sa benissimo, però, che senza il centrodestra unito non si va da nessuna parte. Da qui il perenne richiamo all’unità, rinnovato anche oggi nel corso di una telefonata a Matteo Salvini, che vedrà venerdì a Villa Grande insieme a Giorgia Meloni.

Io vedo una situazione positiva, non è una mission impossibile” assicura Antonio Tajani, numero due forzista, che si fa portavoce degli umori del Cavaliere.

C’è puzza di bruciato

Antonio Tajani con Silvio Berlusconi

Il timore tra gli alleati ma anche dentro Forza Italia è che Berlusconi possa andare a sbattere, perdendo così l’occasione di ‘gestire’ un’elezione che per la prima volta offre al centrodestra il ruolo di king maker. Tant’è, riferiscono, che chi in casa Forza Italia ha avvertito la classica puzza di bruciato, il sapore della candidatura di bandiera, avrebbe messo subito in guardia il Cav. Al quale i fedelissimi hanno detto “prima di dare la tua disponibilità, verifica bene la compattezza della coalizione attorno al tuo nome…

Dopodomani ci sarà un vertice subito dopo i funerali di Stato di David Sassoli. L’incontro è stato anticipato. Infatti si pensava di farlo dopo la Direzione Pd slittata a sabato proprio per la scomparsa del presidente del Parlamento Ue. Quel vertice sarà l’occasione per capire se la candidatura di Berlusconi può reggere fino alla fine.

Ancora non sono arrivati gli inviti ai centristi di ‘Coraggio Italia‘, Udc e Noi con l’Italia di Maurizio Lupi: allo stato, riferiscono, non è stato deciso se il summit sarà allargato o resterà un ‘trilaterale’ tra Lega, Fdi e Fi.

I segnali di Toti e quelli di Renzi

Matteo Renzi e Giovanni Toti (Foto: Alessandro Paris / Imagoeconomica)

Proprio da quel fronte arriva però il segnale di Coraggio Italia. “Non sarà Coraggio Italia a rompere l’unità del centrodestra, ove questa ci sia, sul nome di un candidato. Se sarà Berlusconi, lo deciderà lui e il centrodestra lo sosterrà. Anche noi lo sosterremo auspicando che ci siano le condizioni per sostenerlo. Non credo che nessuno, a partire da Berlusconi -per cui proviamo un grande effetto- voglia schiantarsi contro un muro di assenze di voti…”. Il messaggio è preciso ed arriva da Giovanni Toti al termine della riunione con i parlamentari di ‘Coraggio Italia’.

Coraggio Italia‘ oggi ha aperto le danze’ nel centrodestra in vista della partita del Colle, riunendo all’ora di pranzo tutti i suoi parlamentari nell’Auletta del palazzo dei gruppi di Montecitorio. Arrivati a Roma, Giovanni Toti e Luigi Brugnaro hanno fatto il punto della situazione insieme al capogruppo alla Camera Marco Marin e all’ex ministro Gaetano Quagliariello.

La sua formazione di Toti e Brugnaro ha allacciato un dialogo intenso con Matteo Renzi che in serata è stato a La7 a Non è l’arena. Spiegando che nella partita per il Colle “il Pd non ha i numeri e nemmeno tante idee. Con me Letta non vuol fare l’accordo, se si trova meglio con Conte che con me… de gustibus non disputandum est“.

In un altro passaggio ha chiarito che “Conte non controlla i suoi. Su tante posizioni il Pd non sta chiarendo: è garantista o no?“. L’ex premier osserva: “Letta ha un problema di posizionamento“.

Poi la rivelazione. “Nel 2013 Prodi fu bruciato da Massimo D’Alema” nell’elezione per il Presidente della Repubblica “ma Bersani sbagliò tattica. Nel 2015, lo stesso Parlamento, ha eletto Mattarella“.

Il vizio antico dell’ipocrisia italiana

Enrico Letta (Imagoeconomica)

Nel salotto di Giovanni Floris a DiMartedì, il segretario nazionale del Pd Enrico Letta ieri ha tracciato l’identikit del prossimo inquilino del Colle: “Un presidente o una presidente di profilo istituzionale, non un capo partito, né uno come me o Salvini o Conte o Berlusconi. Profilo istituzionale, super partes, un po’ come è stato Mattarella, che è stato un grande presidente, e io credo che si debba chiedere al Parlamento di votare un presidente con le caratteristiche di Mattarella”. Prontissimo Giovanni Floris: “O Mattarella…”. Enrico Letta ha risposto: “Sarebbe il massimo, ovviamente”. 

Dunque il Pd non ha affatto rinunciato all’idea di convincere Mattarella ad un ripensamento. E probabilmente, se le prime tre votazioni dovessero risultare inutili, dalla quarta in poi sull’intero centrosinistra aleggerebbe lo “spettro” di una elezione di Silvio Berlusconi. E forse è anche per questo che diversi parlamentari dei Cinque Stelle stanno ragionando seriamente sull’ipotesi di un Mattarella bis.

C’è però un altro aspetto fondamentale, che è quello che riguarda il Governo. Letta è stato chiarissimo: “Anche se noi trovassimo l’accordo su un candidato o una candidata al Colle che prendesse un largo consenso, è chiaro a tutti che il patto di governo deve trovare nuova energia. E’ chiaro a tutti che in queste ultime settimane ci sia fatica. Credo che la legislatura debba andare a scadenza naturale, allora c’è bisogno di un nuovo patto di governo, in qualunque condizione. Lancio un appello alle altre forze politiche e in particolare al centrodestra: vediamoci domani al tavolo, ma in modo serio. L’unica condizione che ritengo inaccettabile è una parte che si siede e dice: io propongo il capo-partito della nostra fazione e voi ce lo votate. Non credo che porti da nessuna parte, ci si siede e ci si alza. Berlusconi deve fare prima un passo indietro? “Questo sì, anche perché non è che noi dobbiamo pagare un prezzo per la rinuncia di Berlusconi”.

Le cifre di Renato

Renato Mannheimer

Abbiamo tutti letto le frasi di Mattarella, che più volte ha detto di non avere nessuna intenzione di volersi ricandidare, ma più passano i giorni e ci avviciniamo alla prima votazione, più mi convinco che un Mattarella bis è più che un’ipotesi ma una possibilità credibile, con un fondamento concreto“: lo ha detto il sondaggista e saggista Renato Mannheimer, dando un giudizio sulle voci che da giorni vedono in crescita il fixing di una conferma di Sergio Mattarella al Quirinale.

Pd e 5Stelle – sottolinea Mannheimer in una dichiarazione all’Adnkronos – lo hanno detto o fatto capire; non lo dice Berlusconi per forza di cose, viste le sue aspirazioni, ma il Cavaliere la potrebbe ritenere una via d’uscita, qualora non si trovasse un nome condiviso. Se fanno circolare il nome di Mattarella, in fondo, è perché sanno che una possibilità c’è. Mattarella ha detto di no ma all’ultimo minuto, di fronte a una situazione bloccata, davanti all’emergenza della pandemia, potrebbe anche ripensarci“.

Il sondaggista mette davanti a tutti ancora Draghi ritenendolo quello con più chance. La permanenza di Draghi a palazzo Chigi e la conferma di Mattarella al Quirinale sarebbe – per Mannheimer – “la soluzione perfetta.

La riunione rinviata

Mario Draghi

Intanto però il Pd ha spostato la riunione della Direzione Nazionale, per aspettare le mosse del Centrodestra. In ogni caso sull’intera vicenda si sta consumando il solito equivoco italiano. Paradossale e molto ipocrita.

Anche l’anno scorso di questi tempi l’emergenza della pandemia era fortissima. Eppure ci fu un cambio di Governo e di maggioranza clamoroso e per certi versi traumatico. E’ per questo che la motivazione che Draghi debba restare a Palazzo Chigi non regge. In realtà la preoccupazione maggiore dei Partiti è quella di non controllare i rispettivi parlamentari. Perché la priorità per molti deputati e senatori è conservare il posto per un altro anno. Evitando elezioni anticipate.

E la soluzione di Mario Draghi alla fine potrebbe essere quella che più di tutti blinda il Parlamento. Uno del suo livello come primo atto da presidente della Repubblica scioglierebbe le Camere?