Chi si costruisce un dio su misura perché è più facile

C'è dio e c'è Dio, e il secondo non lo possiamo usare per assecondare i nostri desideri e le nostre piccinerie. Perché non ammette egoismi

Pietro Alviti

Insegnante e Giornalista

Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio

Mt 22,21

È una delle frasi più famose del vangelo ed è stata utilizzata in tante situazioni diversissime. Ognuno se l’è giocata come riteneva, per sostenere le proprie idee, che raramente avevano a che fare con Dio. Quella frase è il paradigma di come si possa infrangere il secondo comandamento, l’utilizzo del nome di Dio per i propri interessi.

Quell’espressione infatti limita dio (utilizzo, in questo caso, la minuscola espressamente), gli toglie la sua caratteristica essenziale. Chi crede in Dio, chi lo ritiene il punto di riferimento essenziale della sua vita, non può creare una zona della sua esistenza in cui Dio non deve entrare. Che è riservata soltanto a sé, agli affari, ai commerci, al potere da conquistare.

La condizione del politeismo greco-romano

Il vitello d’oro come descritto nell’Esodo (Foto © DepositPhotos.com)

Era la condizione tipica del politeismo greco romano in cui c’erano zone sacre e zone profane (pro-fanos, che avviene davanti al tempio) giorni fausti ed infausti.

Invece nella tradizione biblica, tutto l’insegnamento dei profeti consiste nel mettere in allarme la coscienza dei credenti. Che possono rischiare di  crearsi un dio che fa loro comodo, un dio creato a propria immagine e somiglianza, pronto a piegarsi ai desideri e alle richieste della creatura.

Si tratta di una totale inversione  di prospettiva, in cui l’uomo si costruisce il dio che gli fa comodo (il vitello d’oro del Sinai) perché l’altro Dio è troppo difficile da seguire e spesso misterioso

Le parole spiazzanti di Gesù: anche oggi

Quella frase è pronunciata da Gesù in risposta ad una domanda capziosa dei suoi avversari, decisi a metterlo in difficoltà, per poterlo denunciare all’autorità romana, come sobillatore del popolo.

E le parole del Nazareno spiazzano i suoi interlocutori, che non vogliono conoscere la sua opinione quanto coglierlo in fallo. Infatti la risposta del rabbi è assolutamente inequivoca: non c’è nulla nella vita per un pio ebreo che non appartenga a Dio, in cui egli non debba comportarsi secondo la strada che Dio gli indica, indipendentemente dai suoi desideri e dai suoi obiettivi. Non c’è niente che non sia di Dio

E’ con Dio che devo fare i conti quando lavoro, quando studio, quando mi occupo della mia famiglia, quando faccio sport, quando partecipo alla vita del mio paese.

Il Dio che non si usa solo se ci asseconda

Ecco perché non è possibile uccidere e rintanarsi dietro la guerra santa. Non è possibile vantarsi di dio, difendere dio. Usare dio contro gli avversari politici, assurgere a difensori di dio, a paladini delle sue parole, dei suoi simboli, per poi vivere secondo regole completamente differenti da quelle che Dio propone a tutti.

Il rischio del credente sta proprio in questo: affidarsi a Dio in ogni momento dell’esistenza, non soltanto quando è comodo o quando la sua parola sembra assecondarci. Anzi, proprio quando la sua Parola ci sembra contrastare fortemente con i nostri desideri è allora che dobbiamo farci piccoli per accettarla. Altrimenti siamo noi i superbi che saranno abbattuti.

Invece, assistiamo ogni giorno all’uso strumentale della fede: tecnicamente si chiama iattanza, vantarsi dell’essere cristiani con ostentazione, arrogante e sprezzante sicurezza di sé. Chi lo fa non crede nel Dio dei cristiani ma in quello che lui stesso s’è creato per trovarvi ogni giustificazione ai suoi misfatti. 

(Leggi qui tutte le meditazioni di Pietro Alviti). 

(Foto di copertina © DepositPhotos.com).