Il giorno che Crohn è entrato nella mia vita

Inizia da oggi la sua collaborazione Ada Tagliaferri. Infermiera mancata, divoratrice di libri, mamma di una figlia. Per lavoro e per missione, nelle stesse corsie dei malati. Dove vive la loro sofferenza, nel mondo indefinito che fa da cornice al paziente e chi lo deve curare.

Ada Tagliaferri

Infermiera mancata con la vocazione per la pulizia, di ospedali e di anime. Un viaggio all'alba e al tramonto tra corsie e barelle

E’ l’alba, è buio, il freschetto di questo ottobre mi taglia il viso, neanche fosse gennaio. Sto invecchiando forse, ricordo quando questa era l’ora in cui rientravo a casa dopo aver ballato tutta la notte, invece oggi… Oggi è così: si pulisce.

Avrei voluto fare l’infermiera, avrei voluto studiare ma quando era il tempo ho preferito fare altro e poi è arrivata una figlia, un marito. Ma sono felice, Ada è felice, con il mio lavoro posso vedere, ascoltare e aiutare lo stesso, a volte posso fare la differenza.

 

L’odore che hanno gli ospedali la mattina è strano, diverso, pulizia e caffe bruciato. Mi cambio ed entro nel ripostiglio per prendere il carrello, non ricordo se ho preparato gli zaini per scuola e le merende, mando un messaggio a casa, tutto tace.

Inizio a passare lo straccio, spruzzo il disinfettante e mi entra fin nel cervello. Entro nella stanza 12, c’è una ragazza che fissa il soffitto con il cellulare in mano. La flebo scorre lenta. Non mi saluta, io le do il buongiorno, chiedo scusa, ma lei non mi risponde, non è maleducazione, è fuori dal mondo. Continuo il mio giro, procedo nelle altre stanze, finisco il turno e vado via.

 

La mattina dopo sono ancora lì, davanti a quella porta. La trovo nella stessa posizione, non indossa più il pigiama arancione, è celeste e ha i capelli raccolti in una treccia, non avrà più di venti anni. Mi guarda e mi saluta. Si chiama Margherita, ha il morbo di Crohn.

«E’ iniziato tutto come un forte mal di pancia, andavo al bagno decine di volte al giorno. Dall’influenza siamo passati al timore fosse un’intolleranza, all’idea della celiachia mia madre era andata nel panico, ma quando ci hanno detto di cosa si trattava la paura ha lasciato spazio al silenzio».

«Avevo un fidanzato, ma l’ho lasciato, Perchè dovrei costringerlo a vivere questo disagio? Non posso più fare quello che facevo, quasi quasi stavo pensando di lasciare l’unversità, trovo un lavoro, qualcosa di tranquillo. Credevo fosse anemia, invece era Crohn».

 

Margherita è razionale, ha deciso che questa può rapresentare la soluzione all’accettazione della malattia, ma per escogitare un piano ha bisogno di parlare.

«Scusa se ne parlo con te, potresti essere mia madre, ma la mia, purtroppo, nega l’evidenza e poi se le parlo mi zittisce, parla del matrimonio di mia cugina, poi piange perché io sono rimasta single e guarda papà fisso negli occhi».

«Lui, il nostro capitano, è tranquillo, ha detto che se si sopravvive alla guerra e al cancro, si può convivere con Crohn, si alza tutte le mattine e va a lavorare in fabbrica, Alla Fiat, che oggi è Fca e fa le Alfa Romeo: i misteri della mondializzazione… Ma mi manda sempre un sacco di selfie dal parcheggio. Poi quando passa mi racconta quello che ha fatto e mi chiede cosa voglio fare una volta uscita di qui».

 

Margherita potrebbe essere mia figlia, è andata dal medico per una diarrea persistente che la metteva a disagio con il fidanzato e tra gli amici. Mi racconta che il suo intestino è particolarmente infiammato, che potrebbe esserci qualche emorragia e che stanno già facendo la terapia farmacologica.

Se riuscirà a fare effetto potrà andare avanti un po’ altrimenti finirà sotto i ferri e sarà solo il primo di una serie di interventi.

«Sai Ada, non ho mai fumato, qualche serata alcolica si, ma mai eccessi se non caramelle e dolci, pensavo che la dieta si poteva rimandare, ora sarò costretta a seguirne una rigorosa altrimenti sulla tavola ci finirò io, ma su quella operatoria».

 

Malattia di Crohn, cause ignote, predisposizione genetica. Durante un turno pomeridiano osservo una signora entrare in corridoio, ne sta sgridando un’altra, le prende dalle mani un vassoio e lo porge a un’infermiera. Entra nella stanza nuemro 12.

Mi avvicino all’infermiera. «E’ la mamma di Margherita, ogni volta viene accompagnata da qualcuno, mai sola, e puntualmente quel qualcuno porta con sé cibo, lei impreca e lo lascia a noi. Sembra stare peggio la madre che la figlia».

Annuisco, io che ne so, io pulisco, lavo i pavimenti e ascolto, ma sono madre e penso che per i miei figli darei la vita, un taglio o una caduta mi mandano nel panico, immaginarli a convivere con privazioni e dolori forse farebbe imprecare anche me.

 

Oggi dimettono Margherita, se sarà brava e seguirà un’alimentazione corretta, sotto costante controllo, potrà restare lontano dai tavoli… operatori s’intende.

«Hanno detto che devo mangiare solo quello che c’è scritto sul foglio e che devo controllare la mia pupù! Faccio progressi insomma».

Margherita è bella, cinguetta, i suoi profondi occhioni marroni sono spaventati ma c’è un barlume di speranza, c’è la voglia di amare e di essere amata, il diritto di vivere una vita che sia bella.

Entro da lei con stracci e carrello, e con un fiore «Tu sei come un fiore, sei bella e delicata, ma questo fiore è destinato ad appassire, tu invece ancora devi sbocciare. Prenditi cura di te e lascia pensieri e imprecazioni a tua madre».

 

Ho finito il corridoio, sto per rientrare nello stanzino per mettere a posto i miei attrezzi e la vedo, Margherita che va via, davanti a lei la madre, sguardo vuoto e occhi lucidi, al suo fianco il padre, un ometto pelato, con una giacca di jeans.

È lui a portare il fiore della figlia, il suo futuro è nelle mani giuste, le più sicure.