Dagli arrosticini alla gloria. Abruzzo caput mundi

Come vanno lette le elezioni in Abruzzo. A prescindere dal risultato. Perché sono solo una tappa di quello che succederà da qui a novembre. E sarà determinante per le sorti del Governo Meloni

Franco Fiorito

Ulisse della Politica

Tra poche ore in Abruzzo termineranno le votazioni per le elezioni Regionali. Alle ventitré chiuderanno i seggi e subito di seguito ci saranno gli scrutini. Stavolta, unicum del sistema abruzzese, niente voto disgiunto: i Partiti trascineranno il voto. In serata conosceremo il Presidente della Regione.

Come successo per la Sardegna l’attenzione è altissima una vittoria del centrodestra calmerebbe gli animi, una sconfitta darebbe fuoco agli ardori delle opposizioni.

La posta e gli indizi

Marco Marsilio

I sondaggi, fino a quando è stato possibile divulgarli, consideravano probabile la vittoria al candidato della destra super meloniano Marco Marsilio. Partito con venti punti di vantaggio ha visto assottigliarsi il margine: ma, anche per poco, gli ottimisti lo predicono vincitore. D’altronde se un Governatore uscente viene ricandidato, se ha ben operato, viene sempre riconfermato. Vedremo se sarà così. Intanto il professor Luciano D’Amico candidato di tutta la sinistra, altrettanto legittimamente spera: perché il trend degli ultimi giorni gli era favorevole ed ha la consapevolezza in ogni caso d’avere fatto sentire il suo fiato sul collo dell’avversario.

La posta in palio la conosciamo. È simile a quella sarda, ma se quella è stata un indizio, un altro indizio come dicono gli esperti di gialli farebbe quasi una prova. Ma prima di analizzare la singola elezione mi perdonerete se completerò il ragionamento della scorsa settimana ma su temi ben più importanti e dirimenti delle singole regioni. (Leggi qui: Dalla Sardegna a Washington: Giorgia Meloni e l’estasi del potere).

La posta in palio in questi mesi è una sola per la destra che per la prima volta governa il Paese con una sua diretta rappresentante. Dimostrare con chiarezza e senza equivoci che un esponente di destra sia in grado di guidare con profitto per gli italiani il governo nazionale.

In realtà è una passaggio storico importantissimo che, presi dalla contingenza delle polemiche di parte, non abbiamo mai analizzato compiutamente. Eppure dal dopoguerra ad oggi dopo quasi ottant’anni è la prima volta che un esponente della destra è incaricato direttamente delle funzioni di governo. In più è per la prima volta nella storia della Repubblica una donna.

Oltre l’arco

Giorgia Meloni

Insomma ve la ricordate la conventio ad exludendum, poi la elaborata teoria che passava sotto il nome di “arco costituzionale” che scongiurava la partecipazione degli allora missini al governo della nazione. E poi la breve parentesi del governo Tambroni unico nella storia repubblicana a nascere con i voti di fiducia dei deputati Msi. Fino ad arrivare allo sdoganamento berlusconiano ed ai governi a seguire dove la presidenza della Camera dei Deputati di Fini sembrava la massima carica raggiungibile per chi proveniva da una certa storia.

Da allora solo comparsate con una tendenza spiccata ad annacquare il bipolarismo con governi e governicchi tecnici e ammucchiate parlamentari varie. Non dimentichiamo perché stravinse la Meloni, unica che ebbe l’astuzia ma anche il coraggio di restare fuori dal governo Draghi, passato alla storia come il più sostenuto a livello numerico parlamentare. Percentuali bulgare che facevano impallidire la stessa Bulgaria.

Tutto questo, con bravura e furbizia della nostra attuale Presidente del Consiglio, catapultarono prima Fratelli d’Italia e tutto il centrodestra ad uno straordinario successo elettorale e poi all’imprimatur della responsabilità di governo. E questo pippotto storico politico non lo faccio a caso ma per uno scopo preciso, ricordare a tutti qual è la missione storica della destra di governo. Qual è la vera responsabilità dell’attuale governo ma in particolare della Presidente Meloni: dimostrare che anche la destra sa governare.

Capacità di Governo

Giorgia Meloni con il Consiglio dei Ministri

E nei primi momenti di tempesta un buon nocchiero a questo deve pensare non alle polemiche contingenti che servono solo a distrarre. Deve pensare invece a dimostrare che sa come tracciare la rotta più sicura ed efficace e quando issare o, soprattutto, ammainare le vele di fronte alla tempesta.

Perché il rischio gigantesco è uno, che se dovesse degradare e poi fallire l’esperienza di Governo della destra nazionale il danno sarebbe irreparabile tanto forse da ritardare di decenni un nuovo Governo a guida di destra. Non voglio esagerare ma potrebbe passare dall’essere il meraviglioso coronamento di una storia politica ottantennale difficile e combattuta, al suo annichilimento, alla chiusura delle prospettive future.

Fallire con questo governo vorrebbe dire in soldoni, avete governato non avete dimostrato la capacità necessaria, avete avuto la vostra occasione adesso basta. È per questo che Giorgia Meloni non può fallire. Non solo per lei ma per un popolo per una storia. Una responsabilità enorme.

Il climax della Legislatura

Luciano D’Amico

Quindi un leader vero ha lo sguardo fermo all’orizzonte e non deve curarsi di qualche scossone. Così come se dovesse prevalere in Abruzzo non cullarsi sulla provvisoria bonaccia. Certo il simpatico lapsus di Marsilio che dichiarò che l’Abruzzo era bagnato da tre mari non giova all’esempio nautico che abbiamo proposto. Ma si trattò di una distrazione.

Dunque perché penso che le regioni siano un passaggio importante ma non definitivo. Perché si inseriscono in un momento politico che molti sottovalutano ma potrebbe essere il climax dell’intera legislatura. E vi spiego perché.

Ricordate quali furono le previsione nefaste degli oppositori all’inizio di questa legislatura? Dura due anni poi non regge e si torna ad un governo tecnico. Se ne parlò insistentemente dall’inizio, poi l’argomento scemò, ma rimase vivo sotto traccia. La Meloni partita molto bene con la comunicazione iniziale aveva indorato la pillola ma le trappole non sono mancate. Quelle già innescate, ma anche le moltissime preparate ma non ancora messe in atto.

Mi spiego meglio, brulica da tempo una attività parallela a quella governativa che prepara la strada, nel momento in cui la Meloni dovesse dimostrarsi debole, ad azioni concentriche che ne minino la stabilità di governo. Molte sono visibili, dalla stampa, ai social, alla vita parlamentare. Tante altre invisibili che di volta in volta vengono definite universalmente “i poteri forti” o espressioni di similare banalità.

Il momento più critico

Giorgia Meloni

Non si è esentata mai neanche la Meloni nel citarle ogni volta con appellativi fantomatici e con frasi sibilline tipo ci vogliono fare cadere non ci riusciranno. Oppure quando in continuazione ripete dicono che non reggerò fisicamente, che crollerò. Senza contare le novità di questi giorni su presunti dossieraggi o torbide attività informative.

Nulla di nuovissimo sotto il sole direte voi. Ricordando le azioni di innumerevoli apparati dello stato legati a diverse espressioni politiche. Ma tutto questo porta ad oggi all’approssimarsi del secondo anno di governo o diciamo più largamente alla metà del mandato. È questo il momento in cui la Meloni deve, e sottolineo deve, aspettarsi lo sferrare degli attacchi più potenti diretti e non. Si avvicina il momento in cui dovrà veramente dimostrare doti di forza caratteriale e capacità di governo.

Perché deve sapere che il serpente colpisce sempre quando vede la debolezza della preda. E se questa debolezza diventa manifesta, non sarà solo uno a sferrare l’attacco ma tutti quelli che, come lei dice, “tramano nell’ ombra” vedranno l’occasione di intervenire. Ed allora per reggere servirà una forza non comune.

Non resse nemmeno un osso duro come Berlusconi che stretto a tenaglia da molti poteri ostili dovette anche lui cedere il passo ob torto collo. E chi pensa che veramente lo fece per lo spread è un ingenuo. Quello fu l’avvertimento ultimo.

Il rischio di fuoco a bordo

Foto: Marco Carli © Imagoeconomica

Dunque i prossimi sei mesi, un anno, saranno la prova di governo più difficile per questa presidente e la sua compagine. Vedrete se non sarà così. Per questo, elezioni non primarie come le Regionali hanno innescato in anticipo ed inaspettatamente un fervore che nessuno si aspettava nei campi dell’opposizione. Tutti credevano in vittorie schiaccianti della destra fino a qualche mese fa ma le prime sconfitte hanno acceso la miccia. Per questo l’Abruzzo deve essere una prova vincente per spegnere quella miccia subito. Sennò si rischia il fuoco a bordo.

L’ho scritto la scorse settimana: due sono le prove dove può trovare forza per contrastare gli attacchi. La buona azione di governo e la solidarietà vera degli alleati. Sulla prima si deve accelerare, sulla seconda anche queste elezioni abruzzesi hanno mostrato qualche insofferenza o crepa.

Ma a che servono queste due strade: la prima, la soddisfazione di governo, a poter minacciare al momento giusto di tornare al voto popolare forti di un eventuale consenso di governo. La seconda, ad evitare che quando le abili sirene della politica inizieranno i loro suadenti canti nelle orecchie degli alleati, garantendogli anche in governi tecnici uguale agibilità di azione (leggasi le stesse poltrone), questi oppongano un deciso no e coerenza all’attuale formazione governativa.

Allora queste sono le due rotte principali. Il voto in Abruzzo contiene solo rischi nel voler alimentare il fuoco dell’opposizione.

Amnesie nella coalizione

Elly Schlein e Giuseppe Conte a Firenze (Foto: Sara Minelli © Imagoeconomica)

Avete fatto caso che in queste regionali il centrosinistra si presenta al gran completo con dentro tutte le sigle possibili nessuna esclusa? Anche gente che quotidianamente si tira secchiate di fango in faccia vicendevolmente è tutta sotto lo stesso schieramento. Molti fanno pure finta di non saperlo. Conte dichiara c’è Calenda? Non credo, non mi risulta. Calenda adesso manco ricorda chi è Conte e dopo i vari anatemi ha accettato anche la presenza di Renzi. Fingono di non conoscersi di non sapere delle presenze altrui. Ma sono tutti lì a tentare il colpaccio, segno che avvertono l’odore della possibilità di mettere in difficoltà in Governo.

Poi lo sapete come sono i politici se vinci sei bello e ti seguo se perdi caro mio io devo guardare gli affari del Partito. E ti mollano in men che non si dica. E quando ti può crollare la terra sotto i piedi non servirà il finto sostegno amicale della Von der Leyen che ti liquiderà col sorriso ed una pacca sulle spalle, perché non decide lei. E se cambierà, come pare possibile, il presidente americano ti troverai completamente scoperta politicamente. E questo non fra dieci anni ma a novembre, come cantava Giusy Ferreri. A novembre.

Da qui a novembre avremo altre regionali come Basilicata, Umbria, e Piemonte. Ma soprattutto le elezioni europee che avranno un grande valore interno ed esterno. Non a caso già nelle elezioni abruzzesi la Meloni ha citato in continuazione le imminenti Europee, come a dire quelle saranno importanti davvero. Ha detto che già ha l’elmetto da indossare e che gli altri stanno tremando dalla paura. Ma molti l’hanno malignamente considerata una affermazione freudiana.

Il quadro internazionale non aiuta

Giorgia Meloni e Recyyp Erdogan

A questo vogliamo aggiungere e non è secondario l’altalenante ed incerto andamento della guerra in Ucraina? L’incontro di poche ore fa di Zelensky ad Istanbul con il leader turco Erdogan propostosi come mediatore per una eventuale trattativa.

E la dichiarazione quasi contemporanea e dirompente di Papa Francesco di ieri? Ha dichiarato il pontefice “È più forte chi pensa al popolo, chi ha il coraggio della bandiera bianca“, e “quando vedi che sei sconfitto, che le cose non vanno, occorre avere il coraggio di negoziare. Hai vergogna, ma con quante morti finirà?”. Che sono suonate quasi come una profezia di imminente resa militare. Smentite postume a parte.

Mesi fondamentali

Palazzo Chigi

Ecco chi mastica un po’di politica sa che questi mesi, da qui a novembre, saranno fondamentali per la tenuta del governo. La raffica di regionali, europee, guerra ucraina, senza dimenticare la crisi in medio oriente sono una prova che solo un leader vero saprà affrontare.

Allora va bene girare per manifestazioni di Partito fare la sfilata dei ministri come in Abruzzo, farsi fotografare sorridenti a mangiare gli arrosticini ma ci vuole concentrazione e determinazione. Sia la Sardegna che l’Abruzzo sono regioni di mare importanti eppure paradossalmente la tradizione culinaria ha negli ovini la portata principale da secoli. La pecorella sarda è un po’ andata di traverso, speriamo che quella abruzzese coi suoi arrosticini sia soddisfacente e gustosa altrimenti si prevedono problemi digestivi importanti.

La premier sa che cosa succederà lunedì. Sa che l’Abruzzo si prenderà inevitabilmente la scena. Sa che sovrasterà mediaticamente la presentazione della riforma fiscale targata Meloni Giorgetti Leo. Sa che coprirà le comunicazioni di Raffaele Fitto alla Camera sullo stato di attuazione del Pnrr.

Per una giornata e per questa sola l’Abruzzo sarà caput mundi.