Dalla Sardegna a Washington: Giorgia Meloni e l’estasi del potere

Il potere politico è effimero e può provocare uno stato simile alla Sindrome di Stendhal, come dimostrato dagli avvicendamenti frequenti dei Presidenti del Consiglio in Italia. Le elezioni in Sardegna segnalano la fine della luna di miele per Giorgia Meloni. Che deve interpretare con attenzione i segnali se vuole evitare il destino di molti suoi predecessori.

Franco Fiorito

Ulisse della Politica

Non si sa se Stendhal nei tempi odierni avrebbe votato a destra o sinistra. O se avrebbe avuto gli stessi sintomi di fronte all’abbagliante bellezza del potere. Sappiamo solo che la sensazione mista di paura, stupore, abbagliamento, fascino che provò visitando la chiesa di Santa Croce a Firenze diede vita alla sindrome che da allora prende il suo nome.

Che poi il suo nome… in realtà pseudonimo: lui si chiamava Marie Henry Beyle. Nome troppo lungo per battezzare una sindrome. Ma la definizione ha resistito per secoli ormai identificando questo stato quasi estatico che si prova di fronte a qualcosa che per la sua maestosa potenza quasi annichilisce.

La sindrome di Palazzo Chigi

Palazzo Chigi

E dev’essere questa specie di sindrome di Stendhal, prestata alla politica, che negli ultimi anni ha contribuito all’avvicendarsi dei Presidenti del Consiglio, raramente in grado di superare la legislatura. Diciamolo il potere è affascinante ed ha un capacità fortemente condizionante sull’animo umano, ma è per sua natura transitorio. Condizione di cui ci si avvede veramente solo nel momento in cui termina. Nel suo svolgersi invece ti imprigiona in una specie di stato estatico che ti fa credere che tutto vada in maniera perfetta e che ciò che fai sia universalmente apprezzato.

Ancora di più nella civiltà dell’immagine e dei social. Appena eletto ti portano in trionfo, ogni cosa che dici sembri essere un dio sceso in terra, ti sorridono in strada fanno a gara per offrirti il caffè, ti additano come il migliore politico della storia contemporanea. In politica in genere la chiamiamo luna di miele. Quel periodo in cui pure se ficchi sotto una vecchietta sulle strisce pedonali con l’auto blu e scendendo dalla macchina la insulti, comunque il popolo ti sostiene. E ti dà ragione.

Poi ad un certo punto succede un fatto un avvenimento che ti riporta sulla terra. E la luna di miele finisce. A quel punto hai due strade: capire il messaggio del popolo o continuare imperterrito nelle tue convinzioni.

La fine della luna di miele

Giorgia Meloni

Ecco le elezioni regionali sarde possiamo annunciare che siano state la fine della luna di miele per la Meloni. Intendiamoci non sono state una débâcle né sono determinanti per la sorte del Governo ma sono un segnale. Un segnale importante che non va sottovalutato. Adesso se la Meloni ha la stoffa politica che tutti le riconosciamo capirà il segnale. Se al contrario lo prenderà come un affronto si avvierà sulla triste china dei predestinati che poi svaniscono alla prova di governo basterebbe citare Renzi, Salvini, Di Maio, Conte solo come ultimi esempi.

Eppure alcuni segnali c’erano ma si è andati avanti sperando che l’onda lunga del successo guidasse verso un’altra vittoria. E non essendo ipocriti diciamo che se quel misero scarto di duemila voti, ancora sotto conteggio, fosse stato colmato, l’analisi unanime sarebbe stata di giubilo e tripudio in favore della invincibile Meloni.

Ma per un punto Martin perse la cappa figuriamoci uno che si chiama Truzzu. Allora analizziamo brevemente alcuni fattori.

I fattori decisivi

Paolo Truzzu

Primo la Meloni è bulimica di potere e anche di controllo. Se osservata dal punto di vista della “cazzimma” è una dote ma nelle coalizioni spesso rischia di diventare un difetto. Ha voluto per forza cambiare il candidato presidente. Facendo leva su nuovi rapporti di forza tra alleati. Il modo non è stato dei migliori. Un avviso di garanzia non si nega a nessuno figuriamoci ad un Solinas, ma invece di difenderlo lo affossi, lo costringi a ritirare la candidatura a favore di un tuo fedelissimo.

Pensi poi che lo stesso ex presidente in carica appena giubilato poi nelle elezioni successive corra per il candidato che lo ha sostituito? Che il suo Partito di riferimento che era il Partito Sardo d’Azione e forse anche la Lega ne fosse felice? Che tutta la giunta ed il consiglio uscente legati al proprio presidente ne fossero felici. No e allora poi ti spieghi il voto disgiunto che in questa elezione ha raggiunto numeri altissimi. Questo infatti ha una duplice matrice il modo in cui è stato candidato il sindaco di Cagliari e l’apprezzamento della sua figura come sindaco. (Leggi qui: Se alla fine Truzzu ti ispira simpatia).

Quando rivendichi una posizione e poi non ci metti la persona adatta perdi. Non basta sia un tuo fedelissimo. E perdi ancora peggio se la batosta come è successo a Truzzu arriva dal tuo Comune dove prendi 13.000 voti di distacco dalla tua avversaria e poi finisci per perdere una Regione per soli 2000 voti.

Simpatia di facciata

Giorgia Meloni

E non deve averla presa bene la Meloni che alla prima uscita pubblica presso la nuova sede della Stampa Estera finge simpatia ma tradisce molta amarezza.

A parte il simpatico caso che la nuova sede sia in palazzo Grazioli (si proprio quello di Berlusconi) infatti lei tra imbarazzati e pochi applausi esordisce così: “Davvero vi faccio i complimenti, vi faccio un in bocca al lupo anche per la vostra nuova sede. Non so cosa Silvio Berlusconi da lassù pensi del fatto che questa “banda di comunisti” – come lui l’avrebbe definita – si trasferisce a Palazzo Grazioli ma sono i casi della vita, signori.”

Ma poi prosegue con frasi di circostanza tipo: “In tutto questo voi mi invitate nel giorno in cui perdo le elezioni in Sardegna e sto pure facendo la Quaresima e non posso neanche affogare i miei dispiaceri nell’alcol. Per cui non è la giornata oggettivamente migliore per aspettarsi da me della simpatia e dell’allegria”. Lasciando così capire che la sconfitta sarda ha lasciato il segno e come. E la Meloni su questo è molto umorale. Ha bisogno di sostegno continuo, di spinta, per andare avanti serena.

Infatti dopo una simpatica ed affabile descrizione di se stessa conclude con la fin troppo sincera frase: “Mi considero una persona per bene, una persona buona. Ma so che non bisogna mai sottovalutare la potenziale cattiveria di un buono costretto a essere cattivo e quindi non bisogna neanche sottovalutarmi”.

Lo spazio da lasciare sempre

Silvio Berlusconi all’ingresso di Palazzo Chigi nel 2008 (Foto: Lorenzo Daloiso © Imagoeconomica)

Ecco il messaggio agli amici ed ai nemici: sono buona ma non fate mai arrabbiare un buono. Che suona più che come una descrizione come una minaccia. Eh si perché lei, come fanno molti Presidenti del Consiglio, scambia il rispetto per il ruolo con la supina sottomissione. E quindi qualsiasi cosa si discosti da questa è lesa maestà. Un atteggiamento che in genere porta gli alleati a fare questo tipo di ragionamento: fino a che comandi ti sopporto ma se mi prevarichi, come posso te la faccio pagare.

Non è un caso infatti che pure un genio del consenso come Berlusconi, che aveva una personalità ultra dominante, non smetteva mai di lasciare spazio anche ai Partiti minori. Perché sapeva bene che anche quel consenso sarebbe poi stato determinante. La Meloni finora si è comportata esattamente all’opposto. E forse la Sardegna è il primo frutto avvelenato.

Il doppio scenario

Dunque per un analisi completa dovremo capire l’azione Meloniana in due scenari quello interno e quello estero, dove sembra aver indirizzato le maggiori energie.

In quello interno i problemi che avanzano sono noti. Uno già citato: il rapporto con gli alleati. Il secondo è l’azione di governo. E per meglio specificare, le misure messe in atto ed i loro risultati. Ecco, sembra avanzare uno stato di malcontento presso la popolazione per la mancanza di azioni incisive di governo. La risposta è sempre quella, governiamo da un anno e sei mesi lasciateci fare. A questa si aggiunge sempre la critica alle misure dei Governi precedenti ma la risposta delle opposizioni è sempre più incalzante: facci vedere cosa sai fare tu.

Invece una cosa che non si analizza mai e si sbaglia è il crescente moltiplicarsi di articoli e soprattutto video sui social che mettono a paragone, come dire, la Meloni “pre governo” con quella al governo. Il risultato è spesso imbarazzante quando vengono messe a paragone le dichiarazioni della bionda premier negli anni ed in campagna elettorale con quelle di segno diametralmente opposto che fa oggi da Presidente del Consiglio.

E gli argomenti sono vastissimi. Dalla benzina e le accise fino all’immigrazione e il blocco navale. Dai mille euro subito fino all’uscita dall’euro. Dalle dichiarazioni sull’ucraina e Russia pre governo a quelle su Biden e Usa di oggi. Tutte diametralmente di indirizzo opposto. Ecco queste secondo me stanno scavando le fondamenta del governo Meloni silenziosamente strisciano nella coscienza collettiva con il popolo che mugugna e, forse, ancora ha residui di fiducia ma chiede coerenza e cambiamento.

La parola discontinuità

Mario Draghi

E molti si chiedono sibillini ma se il Governo sta praticamente continuando con l’agenda Draghi, perché non farla fare a Draghi allora invece che alla Meloni. Ma la risposta è semplice perché la gente ha votato la Meloni, proprio per discontinuità con quelle politiche, ma oggi ravvisa invece troppa continuità.

La discontinuità questa parola così importante quando lei fu votata oggi viene messa da parte diciamocelo francamente. Soprattutto in politica estera.

Chi non si aspettava dopo la campagna elettorale una Meloni battagliera modello Le Pen che, alleata ad Orban ed altri schieramenti, competeva per il cambiamento dall’Interno dell’istituzione europea. Chi non si aspettava un rapporto collaborativo ma dignitoso con gli Usa di Biden non dico stile Craxi a Sigonella ma di rispetto reciproco. Invece diciamocelo sembra un appiattimento complessivo sulle posizioni democratiche e progressiste delle linea Biden Von der Leyen che francamente nessuno si aspettava così pedissequo ed acritico.

L’altro giorno quando ho letto un’agenzia della Meloni che diceva che l’elezione di Trump potrebbe essere un problema per l’Europa ho pulito gli occhiali aspettato qualche secondo e poi letto di nuovo. Ma era esatta, lo ha detto davvero, eppure la ricordiamo tutti con Bannon a fare conferenze e trumpiana. Come la ricordiamo tutti intervenire in parlamento con toni molto critici verso l’ucraina e la strategia Usa.

La scelta Ucraina

Giorgia Meloni a Kiev

Oggi vediamo questa scena: G7 a guida italiana. Il nostro premier abdica e invece di tenere la giornata inaugurale che ha un grande valore simbolico in Italia la tiene in Ucraina. Insomma io non so come dirlo in Ucraina! E quando apre l’intervento che dice: ”questa è la nostra terra i nostri legami sono saldi”. Ma veramente quelli facevano parte dell’Unione Sovietica fino a qualche decennio fa, erano i nostri peggiori nemici, insieme a tutta l’Urss e il patto di Varsavia. Non abbiamo radici storiche in comune manco a dire fossero Romania e Moldavia che furono impero romano ed hanno lingue neolatine.

Insomma c’è un limite a tutto. E diciamolo poi quel quadretto di lei incastrata tra Zelensky e la Von der Leyen era la plastica ammissione di una appartenenza ormai consolidata a quella linea politica. Avoglia a dire di no.

A poche ore dal voto sardo nemmeno questo ha giovato perché annunciare accordi miliardari al grido “non ci interessa se perdiamo consenso ma è giusto così è sembrata una legnata sui denti per gli italiani che non arrivano a fine mese. E comunque il consenso alla fine lo hai perso davvero. A volte meglio soprassedere. Sarà anche giusto il sostegno ad una nazione aggredita per carità ma se il popolo ha difficoltà ad arrivare a fine mese chiede prima per se stesso e per la propria famiglia e poi solo dopo per gli ucraini. Non credo sia difficile capirlo.

Sempre meno sovranisti

Giorgia Meloni

E cosa dire poi a chi sbuffa oggi quando sente la parola sovranista. Avete fatto caso che si usa sempre di meno? Ma come definire questo governo veramente sovranista? In un anno Alitalia ai tedeschi, Magneti Marelli ai francesi segue a breve l’Ilva di Taranto, gli svizzeri stanno comprando Vodafone Italia e cosa più terribile la Tim azienda super strategica la compra Soros con una società il cui capo è Petraeus l’ex capo della Cia. Avete capito bene Soros il più grande finanziatore della sinistra mondialista e un ex capo della Cia. Poi dice ci sono i complottisti.

E questa è una mia personalissima previsione, vedrete che fine farà entro un paio di anni Mediaset: se anche lei non finirà in mai straniere come già durante il governo Renzi aveva rischiato di fare. E ci avviamo a svendere senza motivo grandi quote di Poste, Eni, Leonardo. Alla faccia del piano Mattei! Forse andrebbe riletta la figura di Mattei perché non lo ricordavo a svendere ma ad acquisire.

Mai nessun governo di sinistra o tecnico comunque aveva osato tanto in un solo anno. Eppure in campagna elettorale non si faceva che parlare di golden power, che i tesori nazionali sarebbero rimasti allo stato.

La visita a Washington

L’incontro tra i presidenti Giorgia Meloni e Joe Biden

E torniamo dunque a bomba, alla coerenza. Ed ai giorni di oggi. Questo piccolo excursus settimanale termina con l’importante visita della Meloni a Washington. Gli americani sono il nostro migliore alleato dalla fine della guerra mondiale il rapporto è saldo anche se con vicende alterne. È normale una certa deferenza.

Anche questa impronta di confidenza spinta che la Meloni dà ad ogni incontro internazionale con baci e abbracci si può comprendere come tratto distintivo. Ma io una scena che il premier italiano si reca alla Casa Bianca, entra, e il presidente americano si abbassa e le bacia i capelli non l’avevo mai vista. Lasciamo stare le battute che da anni girano su Biden, ma non è un comportamento da Capo di Stato. Tu in quel momento rappresenti una nazione e quello ti bacia i capelli come una ragazzina.

Allora, al di là delle battute, la Meloni in questo anno ha puntato tutto sulla politica estera. Ed è vero che la trattano tutti bene e ne parlano bene ma, diciamolo, ci viene il dubbio che lo facciano perché si è inserita in pieno nella linea Biden Von der Leyen senza mai distaccarsi neanche di un centimetro. Come potrebbero dunque parlarne male. Non ne parlano bene però i milioni di elettori che l’avevano votata proprio per discontinuità per differenziare la linea politica da quella di Draghi e dei governi usa e europei.

E se poi c’è Trump

Donald Trump

Ma la domanda più politica è questa: ma se a novembre ci ritroviamo Trump al posto di un decotto Biden, questa linea politica gioverebbe all’Italia o la metterebbe in grave imbarazzo? La risposta è facilissima. Allora oggi la Meloni che è molto intelligente è di fronte ad una serie di scelte. Cruciali. La politica estera porta gloria ma non voti, in particolare quando i soldi li dai invece di riceverli. La politica interna ha bisogno di concrete misure di governo che affrontino in primis carovita, energia e lavoro.

Dunque va bene intrattenere buoni rapporti esteri, meglio era se nel solco di quanto detto in campagna elettorale, ma passiamo. Ma non si può trascurare la politica interna in un momento di così grande crisi. Ad un anno e mezzo dall’insediamento non si vede una vera impronta di governo di centro destra. Si fatica a scorgere misure efficaci. Ed il malcontento cresce.

Allora la Meloni o lo fa da sola, o qualcuno che ha il coraggio di consigliarla la scuota per svegliarla da questa sindrome di Stendhal che la sta morbidamente avvolgendo. Perché ad oggi si fa ancora in tempo a correggere rotta ed essere più incisivi. Poi il tempo scorre e per ricordare che un Renzi a caso è passato dal quaranta per cento al due non serve un genio.

Coerenza e concretezza

Forse la Meloni sarà più brava, è la nostra speranza, ma fossi in lei tra un po’ finiti i giri internazionali inizierei a lavorare su due parole: coerenza e concretezza.

Coerenza con il programma portato agli elettori e concretezza perché tra il dire e il fare lo sanno tutti c’è di mezzo il mare. Credo sia la speranza di tutti, chi l’ha votata o non, che riesca a realizzare quanto promesso perché altrimenti e parlo soprattutto per il centrodestra non sapremmo davvero più a che santo votarci.

E se la Sardegna sembra ormai archiviata incombono Abruzzo e Basilicata. E forse l’uno a uno non basta.