Il Museo fantasma di Cassino e quei reperti mai esposti

Un finanziamento di 500 Lire per il sito di San Silvestro ed un preventivo da 1000 in un carteggio di cui non vi è più traccia alcuna. Che fine fece il museo fantasma di Cassino?

Gaetano De Angelis Curtis

Università di Cassino Laboratorio di Storia Regionale Dipartimento di Lettere e Filosofia

Accadde con l’Unità d’Italia, che fu sancita il 17 marzo 1861 ma non concludeva l’epoca risorgimentale. Mancavano ancora parti del territorio nazionale: in particolare il Lazio e Roma Capitale verranno annessi solo dopo il 20 settembre 1870. Ma già in quel 1861 si riaccesero gli interessi, gli studi, le ricerche delle popolazioni italiche e per gli antichi romani.

In sostanza il progresso dell’Italia oramai ritornata Unita con il Risorgimento passava attraverso la scoperta, la raccolta, la conservazione dei beni culturali. Beni disseminati su tutto il territorio e il loro studio. Bisognava quindi tendere al rinvenimento dei reperti archeologici. E scongiurare la loro dispersione preservandoli in appositi spazi. Per poterli mettere a disposizione di studiosi che operassero la ricostruzione storica delle antiche civiltà italiche.

L’uomo nuovo dell’Italia unita andava formato partendo dai giovani, partendo dalla scuola, ridando importanza allo studio della storia. Una materia che nel corso degli anni aveva perso ogni efficacia, trasformata in un «puro esercizio di memoria». Ancora nel 1890 dovette intervenire l’allora ministro dell’Istruzione, Paolo Boselli, per richiamare le autorità scolastiche sull’insegnamento della storia.

La formazione che iniziava sui banchi di scuola

Ercole Canale Parola, garibaldino di Cervaro (Foto: Archivio centro di Studi Cassinati)

Dunque la formazione delle nuove generazioni destinate a reggere le sorti dell’Italia unita iniziava sui banchi di scuola. E doveva essere affiancata dalla riscoperta e dalla valorizzazione delle antiche vestigia disseminate in tutta Italia.

Così attraverso la salvaguardia dei beni archeologici «ogni contrada d’Italia riprenderà l’antico splendore: i Lucani, i Marzi, i Bruzi, i Sanniti, i Campani, i Volsci, gli Etruschi e cento altri popoli risorgeranno, e risorgeranno per fare grande e gloriosa» la nuova Italia come scriveva il cervarese Ercole Canale Parola, garibaldino combattente a Mentana e poi tra i primi civili a entrare a Roma nella breccia di S. Giovanni (quella di Porta Pia fu l’ingresso per i bersaglieri di La Marmora), patriota, liberale, ispettore scolastico e ispettore agli scavi e ai monumenti.

Le antiche civiltà italiche avevano avuto tutte un passato glorioso finché poi l’arrivo di Roma le aveva tutte ricomprese in un impero che aveva dominato per secoli su gran parte delle terre allora conosciute. Quindi nella seconda metà dell’Ottocento i sette Stati in cui era divisa la penisola erano stati riuniti a formare un’unica nazione. Cioè l’Italia unita avviata ad affermarsi tra le potenze europee e mondiali.

Arrivano i primi finanziamenti unitari

Francesco II delle Due Sicilie (Foto: fratelli D’Alessandri, 1865 ca, National Portrait Gallery, Londra)

L’interesse per le ricerche archeologiche era presente anche prima dell’Unità d’Italia. Basti ricordare che furono i Borbone di Napoli a operare concretamente per la riscoperta di siti importantissimi come Pompei, Ercolano ecc. promuovendo gli scavi. 

Poi con l’Unità d’Italia venne costituita una Direzione degli scavi e ai monumenti trasformata in Direzione delle antichità e belle arti. Era inquadrata all’interno del ministero dell’Istruzione, divenuto ministero dell’Educazione Nazionale sotto il fascismo. Poi ministero dell’Istruzione Pubblica nel dopoguerra (solo dal 1974-1975 l’Italia si è dotata di un apposito ministero per i beni Culturali e Ambientali, oggi ministero della Cultura).

La discriminante maggiore dell’interesse storico-archeologico postunitario rispetto al passato era data dai finanziamenti che venivano erogati. Anche se un po’ a pioggia, da parte del potentissimo direttore generale, il senatore Giuseppe Fiorelli, archeologo, inventore della tecnica dei calchi, ampiamente utilizzata a Pompei. Che riempiendo con gesso le tracce lasciate dalla decomposizione dei materiali organici, dà la possibilità di ‘vedere’ le persone morte a causa dell’eruzione del Vesuvio negli ultimi istanti della loro vita.  

Le lapido ignorate dagli amministratori

Il Museo Archeologico della Lucania

Anche Ercole Canale Parola si adoperò nelle ricerche archeologiche e poi nell’istituzione di Musei in cui conservare i materiali archeologici rinvenuti sul territorio (lapidi, iscrizioni, cippi, are, ecc.). Questo in modo da sottrarli alla dispersione, scongiurarne la distruzione e quindi poterli mettere a disposizione di studiosi e storici. Due furono le aree nelle quali operò. Nella parte meridionale della provincia di Salerno dove riuscì nell’individuazione del sito dell’antica città romana di Consilinum, nel Vallo di Diano.

E poi dove si fece promotore dell’istituzione di un Museo. Fu testimone dell’insensibilità e del disinteresse degli amministratori comunali (sindaci, assessori, consiglieri) relativamente alle lapidi rivenute. E accatastate nell’incuria più totale nei pressi dell’Edificio Comunale, oggetto di vandalismo da parte dei ragazzi del luogo che vi saltavano sopra fino a che non si spaccavano mandando dispersi millenni di storia.

Inoltre i suoi sforzi risultarono allora vani poiché il Museo vide la luce solo un’ottantina di anni più tardi (il Museo Archeologico Provinciale della Lucania Occidentale, collocato nella Certosa di Padula, fu inaugurato nel 1957).

La riscossa di Avezzano: ecco il museo

Il museo di Avezzano (Foto: Marica Massaro)

Riuscì invece nell’intento ad Avezzano. Infatti operò la trasformazione di un iniziale nucleo di raccolta, dove erano confluite epigrafi provenienti per la maggior parte da Alba Fucens, antica colonia romana. E su sua sollecitazione e premura si giunse all’istituzione del Museo Marsicano-Equo di Avezzano (o Museo Lapidario). Con una delibera della Giunta comunale di Avezzano, che stanziò la somma di L. 2000, e con l’appoggio materiale e finanziario del direttore Fiorelli, il 19 agosto 1888 Ercole Canale Parola poté inaugurare il Museo lapidario.

Museo di cui fu il primo direttore, alla presenza del ministro della Pubblica Istruzione Paolo Boselli, di sottosegretari, parlamentari, sindaci, autorità. Nel corso degli anni il Museo andò accrescendosi grazie ai reperti provenienti da tutto il comprensorio marsicano. Sopravvisse anche al terribile terremoto del 13 gennaio 1915 e ancora oggi, ristrutturato, ampliato è visitabile ad Avezzano.

E’ inglobato nell‘«Aia dei Musei», polo espositivo museale che si fregia anche del Museo del prosciugamento del Fucino. Nell’ambito della comunità scientifica Ercole Canale Parola è ricordato come colui che si «rese benemerito per l’epigrafia abruzzese». Negli stessi anni in cui operava Ercole Canale Parola anche a Cassino era ben presente l’interesse e il fermento per le ricerche archeologiche e per la esposizione museale di quei beni.

Cassino e l’opera di don Filippo Ponari

Theodor Mommsen ritratto da Ludwig Knaus (1881)

Tra i più accorti e appassionati custodi delle antichità di Cassino c’era don Filippo Ponari, sacerdote, autore di Ricerche storiche sulle antichità di Cassino, stampato a Napoli nel 1867. Ponari fu ispettore agli Scavi e ai Monumenti di Cassino, promotore della prima raccolta organica del patrimonio epigrafico cassinate e guidò Teodoro Mommsen alla ricerca di lapidi a Cassino e nel cassinate.

L’importante epigrafista tedesco nella sua fondamentale opera Corpus Inscriptionum Latinarum (C.I.L.), ebbe modo di scrivere che «L’arciprete cassinate Filippo Ponari non mi fu solo guida e compagno a Cassino e per l’agro cassinate nella ricerca di lapidi scritte. Ma mi concesse anche di consultare la storia di Cassino, che conserva ancora inedita, in particolare la sezione epigrafica, vale a dire le iscrizioni cassinati in numero 105 e di Interamna in numero 27».

Anche don Filippo Ponari, che aveva raccolto e segnalato una notevole quantità di epigrafi e resti architettonici dell’antica Casinum, avanzò la richiesta alla Direzione Generale dei Musei e Scavi di Roma. Richiesta di costruire un museo a Cassino nel quale conservarle per assicurarne la custodia e la salvaguardia di quei reperti. 

De Sanctis ospite a casa Petrarcone

Il ministro Francesco De Sanctis

Per l’installazione del Museo il Comune di Cassino poté contare su un contributo finanziario di Lire 500 erogato dal ministero della Pubblica Istruzione. L’aiuto economico era stato concesso con l’intento di incoraggiare i «nobili propositi» tesi a raccogliere in un apposito locale le antichità classiche esistenti a Cassino e suoi dintorni. L’importo fu assegnato su diretto interessamento di Francesco De Sanctis, l’eminente storico della letteratura italiana, critico letterario, politico, in quei momenti ministro dell’Istruzione (1878-1879).

Dietro all’interessamento, oltre alla validità dell’iniziativa, va presupposto anche il ricordo della cordiale accoglienza e il sostegno elettorale che Francesco De Sanctis aveva ricevuto a Cassino dieci anni prima. Infatti in occasione delle elezioni alla Camera dei Deputati per la X legislatura, tenutesi il 10 e 17 marzo 1867, De Sanctis si era presentato in due collegi, quello di S. Severo in Puglia e quello di Cassino. Fu eletto, prevalendo al primo turno, in tutti e due i collegi.

Dopo il turno elettorale Francesco De Sanctis giunse a Cassino, ospite a casa di uno dei fratelli Petrarcone, Silvestro o Francesco. Il 26 marzo 1867 scrisse una lettera alla moglie nella quale riferiva di aver incontrato molte persone. Evidentemente suoi elettori che intendeva ringraziare per il voto che gli aveva permesso di essere eletto, anche se alla fine decise di optare per il collegio di S. Severo.

Il contributo per partire: 500 Lire

Gianfilippo Carrettoni

In merito al Museo il Comune di Cassino aveva individuato come sede espositiva una sala «al pianterreno dell’edifizio delle Scuole Municipali in Piazza dello Spirito Santo». Cioè le cosiddette “scuole pie” situate nel quartiere vecchio di S. Silvestro. La sala aveva forma quadrangolare e misurava circa 6×6 metri. Venne redatto anche un elenco dei materiali da riporvi per esposizione. Si trattava di busti, statue, piedistalli, iscrizioni, fusti di colonne. (Qui più dettagli)

Tuttavia un mistero aleggia attorno al Museo. Il preventivo di spesa relativo solo al trasporto dei beni elencati sommava a L. 1000, pari al doppio del finanziamento concesso dal ministero dell’Istruzione.

La distruzione di Cassino del 15 marzo 1944 ha causato anche la scomparsa degli archivi comunali, privati, ecclesiastici e dei materiali che vi erano conservati. Pur tuttavia non è mai stato rintracciato alcun documento depositato in archivi di Roma, Napoli, Frosinone ecc. nei quali si fa riferimento, anche indiretto, al Museo di Cassino.

Anche nella memoria collettiva di anni addietro è mai ricordato un Museo. Alcuni reperti archeologici rinvenuti poco prima dello scoppio della guerra non hanno nulla a che vedere con il Museo municipale. Erano in un piccolo deposito di materiale dall’archeologo Gian Filippo Carettoni e dal custode dell’area archeologica, Gaetano Fardelli, nei pressi della cosiddetta tomba di Ummidia Quadratilla.

Rimane il mistero e cioè il Museo venne effettivamente realizzato e fu allestito? I materiali furono portati nella sala per essere esposti?