La figura dell'architetto Giuseppe Poggi. Chi era il tecnico fiorentino che a Cassino lasciò la sua impronta. Avviò la ricostruzione di Montecassino, ideò il monumento ai Caduti. Ma soprattutto a lui si deve la rinascita della chiesa di Sant'Antonio. Che non fu semplice. Infatti...
Il dieci settembre scorso, nell’ambito delle manifestazioni a ricordo dell’ottantesimo anniversario del primo bombardamento subito dalla città di Cassino (10.09.1943) è stata scoperta una lapide fatta apporre dal Centro documentazione e studi cassinati in ricordo dell’architetto Giuseppe Poggi (1903-1995).
Nato a Scarperia, in provincia di Firenze, era giunto nel 1944 a Cassino per svolgere la sua attività professionale nel Genio Civile. È stato dunque uno dei professionisti che ha contribuito alla ricostruzione della città. Vi rimase una decina d’anni primi di trasferirsi a Bologna.
Le macerie della chiesa
Appena arrivato tra le macerie della città, una delle prime immagini che gli si parò davanti in mezzo a tanta distruzione e desolazione furono i ruderi della chiesa di Sant’Antonio. Paradossalmente l’edificio sacro, pur essendo proprio al centro della città, non aveva subito la distruzione totale come tutte le aree circostanti. Rimanevano in piedi alcune strutture e dietro l’abside, ad esempio, si potevano ancora notare le tracce delle ruote di un cannone tedesco «che vi si era rintanato e a cui la chiesa aveva fatto scudo».
Inoltre nello spiazzo antistante alla Chiesa si trovava un carro armato ritratto da una foto iconica che appare come raffigurazione emblematica del passaggio dalla guerra al ritorno alla vita, dalla distruzione alla ripresa delle attività. Il mezzo corazzato, strumento di morte abbandonato e divenuto un ammasso di ferraglia con i suoi cingoli distrutti, al ritorno dei primi abitanti iniziò a essere impiegato per usi diversi. Vi è parcheggiato un carretto con il suo cavallo da traino oppure fungeva da tabellone per affissioni di materiale propagandistico (manifesti stampati e incollati sulla carcassa per comunicare avvisi alla popolazione oppure «W Il Popolano», giornale di Frosinone)
L’architetto Poggi ebbe l’incarico di progettista e di direttore dei lavori nella ricostruzione di chiese e opere demaniali e dell’Abbazia di Montecassino. Inoltre fu chiamato a redigere piani di edilizia popolare.
I soldati nemici sul cantiere
Il primo provvedimento richiesto dall’Amministrazione Comunale di Cassino al Genio Civile fu quello di progettare un monumento per le vittime civili della città. L’architetto Poggi ideò il monumento che si trova ancora oggi in Piazza De Gasperi, costituito da una colonna troncata collocata su un grande basamento, un’opera molto semplice da realizzarsi in quei momenti.
A Montecassino per prima cosa si occupò della progettazione del cosiddetto «Conventino», destinato ad abitazione dei monaci. Poi bisognava passare alle fasi di ricostruzione dell’abbazia che però dovevano essere precedute dalla rimozione delle tonnellate di macerie che erano disperse su tutta l’area. Quando iniziarono i lavori per togliere tutti quei detriti furono le maestranze locali che cominciarono a eseguirli. Stranamente però gli Anglo-americani decisero di inviare, a fine inverno del 1946, dei prigionieri tedeschi affinché coadiuvassero gli operai del Cassinate nell’opera di eliminazione delle macerie.
Infatti nel febbraio del 1946 si tenne a Montecassino una sorta di conferenza, ad alto livello, indetta dal Comando militare interalleato che decise l’«impiego di cento prigionieri tedeschi nei lavori di rimozione dei cumuli di rovine» allo scopo di accelerare lo sgombero principalmente dei ruderi delle strutture del Capitolo, alla sinistra della Basilica, sotto i quali erano morte tutte le persone che vi si erano rifugiate. Quando i prigionieri tedeschi giunsero a Montecassino, furono montati per loro quattro o cinque capannoni di lamiera zincata presso i ruderi della Foresteria.
I tedeschi a Montecassino non c’erano
Sotto l’aspetto tecnico, furono posti alle dipendenze dell’architetto Poggi. Ufficialmente l’intervento dei militari aveva l’intento di porgere un aiuto allo Stato italiano. Invece gli Alleati li avevano inviati con la speranza «di trovare i resti di soldati tedeschi, morti insieme con i civili». Infatti il rinvenimento all’interno dell’abbazia di corpi di soldati tedeschi avrebbe offerto la prova inconfutabile che i militari germanici occupavano l’abbazia ancor prima del bombardamento e di conseguenza far ricadere le colpe della distruzione del millenario cenobio sui tedeschi che «vi si erano annidati fin dall’inizio delle ostilità».
Invece appena vennero rinvenute le salme, si poté constatare che erano tutte di civili e che fra essi non c’era nessun militare tedesco. Allora le squadre dei prigionieri furono immediatamente ritirate.
I lavori avevano portato al ritrovamento «dei pietosi resti dei civili che lasciarono la vita sotto le macerie dell’ala del Capitolo. Tra le oltre 170 vittime, solo 116 erano riconoscibili e tra queste solo una cinquantina poté essere identificata attraverso oggetti trovati loro addosso. Gli altri erano un indistinto ammasso di calcinacci e di ossa fratturate».
A uno degli operai italiani fu affidato il non piacevole compito di necroforo deponendo i pietosi resti in «apposite casse individuali o comuni, non bare, secondo che essi appartenevano ad una sola persona o no». Alle operazioni «assisteva sempre un monaco benedettino, che impartiva la benedizione ed eseguiva fotografie di documentazione».
Come a Pompei
Si pararono davanti agli occhi di quegli uomini dediti allo scavo delle scene che, oltre a essere raccapriccianti, facevano di quei luoghi una novella Pompei del secondo millennio.
Anche a Montecassino, come nel caso dell’eruzione del Vesuvio, appariva facile ricostruire gli ultimi istanti di vita di quelle sfortunate persone ed «intuire certe scene tragiche». Si vedevano madri che avevano tentato di proteggere i loro figli con i propri corpi, e «quella protezione forse aveva causato ai piccoli innocenti una più lunga ed orribile agonia, stentando a morire sotto il cadavere materno». Si vedevano corpi «protesi con le mani allungate verso le aperture». E si vedevano corpi di coppie, «due innamorati uniti per sempre in un gesto di amore senza fine», lui sposato che era morto vicino alla sua donna con la morte che non era stata «improvvisa ma lenta e sofferta».
Si vedeva il corpo di un «ex carabiniere salvatosi dalla prima ondata del bombardamento, che, nel tentativo di aprire un varco per fare uscire la sua famiglia, rimasta sepolta in un vano sottostante la Chiesa, trovò la morte alla successiva, proprio quando tutti stavano per scappare». Si vedevano parecchi teschi di fanciulli.
Le chiese sparite
Invece il più importante intervento dell’architetto Poggi a Cassino riguardò la Chiesa di Sant’Antonio, un’opera che lo impegnò non poco, portata praticamente a termine a Cassino. «I lavori, per scarsità delle somme di volta in volta disponibili, vennero eseguiti con grande lentezza, frazionati in molti lotti». E durarono quasi sei anni. Durante tutto quel lasso di tempo la «fabbrica fu tallonata, passo per passo, data anche la sua posizione centrale molto in vista, da una critica non di rado mal basata e malevola» anche se andava a dimostrare l’«attaccamento dei cassinesi per la loro bella chiesa».
Inizialmente si era ipotizzato l’abbattimento delle strutture sopravvissute alla guerra e la ricostruzione ex novo di tutta la chiesa. D’altra parte di nulla o quasi nulla era previsto il recupero. Infatti gli altri edifici religiosi furono ricostruiti totalmente e spesso anche in ubicazioni diverse rispetto al tempo prebellico. La Chiesa di S. Andrea già fortemente lesionata dal terremoto di Avezzano del 13 gennaio 1915 e chiusa al culto non fu mai ricostruita e l’area su cui sorgeva fu data in permuta per il terreno su cui fu edificata la Chiesa di S. Giovanni Battista consacrata da papa Paolo VI il 24 ottobre 1964.
Anche la Chiesa di S. Pietro in Castro, abbarbicata alle faldi del colle Janulo, non fu mai ricostruita e la nuova Chiesa fu costruita nel quartiere del Colosseo all’ingresso nord della città cambiando anche titolazione in S. Pietro Apostolo. Della Chiesa del Carmine sono sopravvissute solo i resti. Per la Chiesa di San Germano o Chiesa madre oggi concattedrale bisognò aspettare fin agli anni ’70.
E l’abate puntò i piedi
L’unica Chiesa che sfruttò il preesistente impianto fu la Chiesa di S. Antonio che le permise di essere la prima, e per un decennio, l’unica Chiesa di Cassino. Anche per tale edificio religioso intervenne l’abate Ildefonso Rea il quale si era opposto fortemente all’iniziale idea di ricostruire la chiesa in sito diverso e volle che la ricostruzione avvenisse secondo la concezione del «dov’era, com’era» non facile da accettare da parte dei professionisti delle Belle Arti secondo cui il rifacimento di un’opera uguale a com’era in precedenza equivale a dire una «menzogna a sé stessi». Tuttavia l’abate Rea, facendosi forte anche dell’illustre precedente della ricostruzione del campanile di Venezia, riuscì a far prevalere, e per Montecassino e per la Chiesa di S. Antonio, il suo pensiero.
Così l’architetto Poggi si apprestò al rifacimento della chiesa nel rispetto dello stile architettonico originario, con semplici e sobrie linee. L’edificio sacro che egli volle riedificare era una chiesa che ricordava le antiche linee ma ricostruita su stile modernizzato, intonata all’ambiente circostante, soprattutto alle architetture dei palazzi moderni dell’Ina e dell’Inail lì prospicienti. Gli unici interventi di modifica riguardarono il campanile e il muro prospiciente il Corso della Repubblica. Il progetto, «disegnato in baracca un po’ alla meglio al lume della lampada a petrolio maleodorante», fu esposto alla Mostra della ricostruzione tenutasi a Cassino il 15 marzo 1945.
Problemi di spazio
Il campanile posto sul retro della Chiesa è slanciato verso il cielo e supera in altezza quello preesistente, che era «basso e pesante», in modo che possa svettare su tutta la città e potessero essere visti più facilmente i quadranti dell’orologio che Poggi volle con numeri romani. Dovette però essere realizzato in modo difforme al progetto in quanto l’allargamento di circa tre metri della sede stradale della Casilina costrinse ad addossare il campanile alla Chiesa, tanto che fu necessario ricavarlo «dentro la canonica e i piani inferiori del campanile stesso divennero scala della canonica».
Inoltre l’arch. Poggi aveva anche previsto che fosse sormontato da una grande statua simboleggiante Cristo Risorto con un’allegoria della rinascita di Cassino. La statua fu ordinata a Carrara su bozzetti forniti dallo stesso professionista, aveva una limitatissima spesa ma alla fine non poté essere eseguita per ragioni amministrative.
Per il colore l’architetto Poggi scelse quello della terra dei campi, avendo notato che nel cassinate i «campi hanno un certo colore bruno che par quasi una tinta fredda ma che, colpito dal sole, sfavilla come fosse tanto oro».
L’altare di seconda mano
All’interno l’architetto Poggi si occupò della sistemazione del nuova altare. Accompagnò a Napoli l’abate Rea che aveva scoperto da un antiquario un autentico altare settecentesco. Fu acquistato, superando anche non poche difficoltà amministrative. Riuscì anche a convincere, dopo «interminabili discussioni», il parroco a rialzare l’«abside di tre gradini. Come in antico quasi a guisa di palcoscenico sacro e a collocare l’altare al centro dell’abside stessa, come in antico, invece che in fondo».
L’interno della Chiesa fu adornato con gli stucchi realizzati dal mastro Filippo Fabrizio stuccatore di San Donato Valcomino. Inoltre ebbe la lungimiranza di capire le capacità di un artista arrivato a Cassino all’inizio degli anni ’50 e seppe trovare i fondi necessari per la realizzazione di opere di completamento in varie Chiese del Cassinate. Si trattava di Giovanni Bizzoni (1928-1992) che nei quattro spicchi della Cupola della Chiesa di S. Antonio a Cassino realizzò gli Evangelisti «in maniera sobria ed essenziale».
Per la cronaca, Bizzoni affrescò pure fondali e pareti di varie chiese: quella di San Pietro al Colosseo, di San Sebastiano a Sant’Elia Fiumerapido. Poi quella della Madonna dei Sette Dolori di Pignataro Interamna. E quella di Sant’Ambrogio sul Garigliano, di Casalcassinese, di Viticuso, di Villa Santa Lucia e di San Pietro Infine. Oltre a un grande pannello per la sala consiliare del Comune di Colfelice.
La difesa dell’abate
L’elemento di novità che l’architetto Poggi volle dare in fase di ricostruzione della Chiesa di Sant’Antonio è rappresentato dalla parete della Canonica prospiciente il Corso della Repubblica. Essa fu realizzata inserendovi appositamente «interessantissimi frammenti di capitelli e di altri elementi decorativi e architettonici» rinvenuti tra le macerie della chiesa e del campanile. Non a tutti piacque l’idea. Molti furono gli scontenti e contro l’architetto Poggi si infiammò una campagna di critiche che fu sollevata anche da certa stampa locale. L’architetto Poggi trovò dalla sua parte a difenderlo solo l’abate Rea.
I lavori di sgombero delle macerie e della ricostruzione della Chiesa di S. Antonio iniziarono il 20 marzo 1946, effettuati dalla ditta Gravaldi-Iacovitti. Tuttavia l’8 dicembre 1947, mentre erano ancora in corso, l’abate Rea celebrò nella Chiesa la «funzione di Riconciliazione». Sant’Antonio fu dunque la prima Chiesa a essere ripristinata e «per molti anni» rappresentò il «centro spirituale della città».
Infatti, stante la lenta opera di ricostruzione delle altre strutture religiose, il 22 ottobre 1948 l’abate Rea si vide costretto a emanare un decreto. Disponeva che a Sant’Antonio dovessero esercitare le funzioni parrocchiali anche i parroci delle altre Chiese. E cioè quelle di San Germano, di San Giovanni e di San Pietro fino a quando non fossero stati ricostruiti i rispettivi edifici religiosi.
I confini della parrocchia
Nel frattempo, il 4 aprile 1948 nella Chiesa era stata portata in processione la statua dell’Assunta che dal 14 agosto 1945 era collocata provvisoriamente in un locale del palazzo De Rosa. (Leggi qui: L’immensa devozione alla Madonna dell’Assunta a Cassino).
Quindi con decreto del 22 ottobre 1948 l’abate Rea fissò i confini della parrocchia di Sant’Antonio. Che continuava ad avere la titolazione prebellica di parrocchia di Sant’Andrea e Sant’Antonio data nel 1925 dall’abate Diamare. Solo il 30 giugno 1986 con decreto dell’abate Bernardo D’Onorio assunse definitivamente la denominazione attuale. Nel suo territorio ricadeva anche la cappella pubblica, con annesso edificio e scuole, delle Suore Stimmatine.
All’inizio degli anni 2000 l’edificio è stato sottoposto a una serie di interventi di ristrutturazione. Hanno permesso la riscoperta di strutture medievali già segnalate nel 1946 da dom Angelo Pantoni, monaco, ingegnere e studioso cassinese. E il 19 ottobre 2002 la Chiesa parrocchiale fu riconsacrata dall’abate Bernardo D’Onorio.
Il vero centro
Oggi si avvia a diventare il vero centro e fulcro della vita sociale di Cassino. Lo si deve alla pedonalizzazione di Piazza Diamare e, a breve, del tratto del Corso della Repubblica che la lambisce.
Quei frantumi di pietre lavorate che decorano la parete esterna della Canonica oggi restano «la sola vera testimonianza dell’apocalisse di Cassino dell’inverno 1943-44». Quasi come unico monumento concreto e reale. A distanza di ottant’anni va riconosciuta la validità e l’opportunità delle soluzioni poste in essere dall’arch. Poggi. Quei frammenti e lo stile architettonico dato al nuovo edificio consentono di ricollegarci al passato, neanche tanto lontano. E se non ci fossero, se la Chiesa fosse stata ricostruita completamente le nuove generazioni non avrebbero quasi nessuna possibilità anche solo di immaginare com’era la Cassino prebellica.
Infatti se si vuole avere un’idea di come fosse la città prima della sua distruzione allora bisogna andare a vedere la Chiesa di S. Antonio.
(Per ulteriori approfondimenti: Cassino, i francescani e S. Antonio. E anche La Chiesa di S. Antonio a Cassino).