La caduta degli idoli: da dom Pietro fino al prefetto

La caduta degli dei è avvenuta nel giro di pochi giorni. Prima l’abate emerito di Montecassino dom Pietro Vittorelli, poi il sogno dell’Aeroporto di Frosinone, infine il prefetto Emilia Zarrilli. Tutti finiti nel mirino della magistratura.

Nel Diritto Penale italiano, il reato è personale. Significa che ciascuno risponde direttamente di ciò che fa. Ed è giusto così, addentrarsi in una discussione sulla filosofia del diritto sarebbe inutile ed inutilmente dispersivo.

Ma Pietro Vittorelli, Francesco Scalia, Emilia Zarrilli, non rappresentano solo loro stessi. Sono un abate che ha amministrato i sacramenti a centinaia di persone, un senatore eletto dal popolo, un rappresentante ufficiale del governo sul territorio.

Questo non significha che in quanto investiti di un’incarico publico, abbiano licenza di (eventualmente) delinquere. Al contrario. Spesso, avere compiuto (eventualmente) un reato nell’ambito del proprio incarico pubblico è previsto come aggravante dal nostro Codice.

Ma un problema si pone: colpendo loro, si colpisce anche ciò che rappresentano. Si corre il rischio di buttare giù la credibilità dell’istituzione. Le accuse ipotizzate contro dom Pietro hanno gettato per giorni nella prostrazione il gregge dei fedeli che ha creduto in lui. L’inchiesta sull’Aeroporto ha messo in discussione la credibilità di un’intera classe dirigente. Il caso del prefetto rischia di trasmettere il peggiore dei messaggi: e cioè che il pesce puzzi sempre dalla testa.

Il Codice di Procedura Penale italiano messo a punto da quel fine giurista che fu Giuliano Vassalli è uno dei più rispettosi delle garanzie costituzionali in capo ai cittadini. In parte si ispira ai Codici anglosassoni, quelli nei quali Accusa e Difesa sono sullo stesso piano ed il Giudice è un terzo che valuta dal di sopra. Ma negli Usa ed nel Regno Unito c’è una profonda differenza di metodo: i processi si fanno nelle aule ed i media sono i garanti della democrazia. Per questo non può uscire dai tribunali nemmeno un’immagine del processo. Proprio per evitare che i processi si facciano nelle piazze e rimangano una cosa seria.

C’è una questione di opportunità da tenere in considerazione. Quando le inchieste toccano i rappresentanti delle istituzioni andrebbe prevista una procedura direttissima: non i 6 anni del caso Zarrilli, i 7 di dom Pietro, i sei e mezzo dell’Aeroporto. Se chi è investito di una carica pubblica sta delinquendo lo dobbiamo sapere subito. E la pena deve essere severissima: al limite della fustigazione sulla pubblica piazza. Ma fin tanto che si è nella fase delle ipotesi, le cautele andrebbero elevate. Non a difesa dell'(eventuale) delinquente. Ma di ciò che rappresenta. E quindi di noi stessi.