La camminata di Mosè nel deserto dei nostri giorni

Non ce ne accorgiamo: ma anche la nostra vita quotidiana è una camminata nel deserto. Un po' come quella raccontata nelle Scritture. Dove viene suggerita la via per non perdersi tra le dune

Pietro Alviti

Insegnante e Giornalista

ti ha fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile; che ti ha condotto per questo deserto grande e spaventoso, luogo di serpenti velenosi e di scorpioni, terra assetata, senz’acqua; che ha fatto sgorgare per te l’acqua dalla roccia durissima; che nel deserto ti ha nutrito di manna sconosciuta ai tuoi padri

Dt 8, 14-16

Provate a sostituire la descrizione dell’autore del libro del Deuteronomio, che scrive tra il VI e il V sec. a. C.. Sostituitele con le parole guerra, consumismo, dipendenze, siccità, cambiamento climatico, violenza, discriminazione, migrazioni. Ci troveremo anche noi nella stessa condizione di quel gruppo di tribù che la voce di Mosé ha spinto nel deserto alla ricerca di una terra in cui vivere liberi.

Ma il viaggio è complicato, ci sono tanti rimpianti. Certo, si lamentavano: “in Egitto eravamo schiavi, non potevamo essere liberi, ma mangiavamo, avevamo padelle di carne, e qui invece siamo liberi ma soffriamo la fame e la sete”. Ecco la decisione che ogni giorno dobbiamo prendere: preferiamo essere liberi, degni del nome di uomini, o accontentarci delle padelle di carne offerte così generosamente dagli egiziani?

Non ci importa che poi ci facevano lavorare gratis, ci sfruttavano in tutti i modi e dovevamo fare tutto quello che ci dicevano, magari con la metà del materiale…

Noi come quelle tribù nel deserto

Foto: Emma Bauso / Pexels

Meglio schiavi con la pancia piena o uomini liberi che rischiano però fame e sete? La prospettiva di quelle tribù è molto simile alla nostra.

Mi ha sempre impressionato come la civiltà romana chiamasse i figli: liberi, e la familia, ordinata attorno al padre, pater familias,  si divideva proprio in liberi e servi. I primi erano i figli, i secondi gli schiavi. La libertà è la dignità dei figli e noi abbiamo il dovere di difenderla a cominciare proprio dalla nostra.

Ce lo insegna anche la Costituzione della nostra Repubblica che all’art. 2 recita: la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo. Ci sono dei diritti che non ci vengono concessi da uno Stato, da una comunità di persone. Sono diritti che sono dentro di noi in quanto uomini e la Repubblica li riconosce e li garantisce.

Come sono significativi questi verbi: la Repubblica (cioè i comuni, le province, le regioni, lo stato…) ha il compito non soltanto di riconoscere questi diritti ma di garantirli, di far sì che ciascun cittadino goda di essi, a cominciare dalla libertà, di pensiero, di parola, di movimento, di religione, di scelte professionali…

Noi siamo il primo mattone

L’importante però che anche noi li riconosciamo, che anche noi sappiamo quanto valiamo, quanto siamo importanti. Se riconosceremo i nostri diritti, se sapremo apprezzare l’enorme valore della libertà,  allora saremo pronti a sacrificarci per essa e non ci accontenteremo delle padelle di carne degli Egiziani. Sono il prezzo della nostra schiavitù.

Pensate a quanti dei nostri ragazzi oggi sono schiavi delle padelle piene di pasticche e chissà cos’altro che gli Egiziani dei nostri giorni vendono loro in nome dello sballo e della felicità che non si conquistano con il sacrificio ma con una pasticca da 10 euro.

La Parola ci indica il cammino da fare per sottrarci alle tante schiavitù di cui possiamo essere vittime: cerchiamo di nutrircene per poter affrontare la traversata del deserto.

(Leggi qui tutte le meditazioni di Pietro Alviti). 

(Foto di copertina © DepositPhotos.com)