La luce cancella le tenebre, create anche dalle notizie false

Un racconto assolutamente attuale. Ma che va cercato dietro alle parole. Quelle della stella di Betlemme che disperde l'oscurità e guida verso la meta. Come dopo l'esilio, la liberazione arrivò con Dario, vincitore persiano sugli assiri. La poesia e i magi che cercano la luce, sfuggendo agli inganni e alla violenza.

Pietro Alviti

Insegnante e Giornalista

la tenebra ricopre la terra, nebbia fitta avvolge i popoli; ma su di te risplende il Signore, la sua gloria appare su di te. Cammineranno le genti alla tua luce (Is 60, 1-2)

Che splendida immagine di speranza: le tenebre sono vinte dalla luce, uno dei temi più presenti della Bibbia e che l’autore del testo apprende dalla gioia di Israele, appena liberato dall’esilio a Babilonia. E’ una metafora che ricorre in tante opere artistiche, letterarie, architettoniche. Buio, luce: pensate a Caravaggio o a Dante.

La parabola degli assiri

Nabucodonosor

Tutto sembrava oscuro, la tenebra davvero ricopriva il futuro del popolo di Israele alla fine del VI secolo a. C. La potenza assira (quel Nabucodonosor, reso famoso da Verdi) , 80 anni prima, aveva distrutto Gerusalemme e il tempio. Aveva disperso il popolo, aveva deportato migliaia di persone in quella terra lontana, straniera, in cui si adorano dei potenti, magnifici, molto più appariscenti del loro Dio, che sembra averli abbandonati.

Invano hanno pianto lungo le rive di quei fiumi, che sembravano ulteriormente testimoniare, con la loro abbondanza, la potenza del nemico deportatore. E invece, quello che sembrava uno dei più potenti imperi del mondo, la tenebra che li aveva ricoperti, la nebbia fitta che non consentiva loro di capire nulla di quanto stava loro accadendo, improvvisamente si dissolse e tornarono a rivedere la loro terra e soprattutto Gerusalemme.

Il Signore aveva indicato finalmente la strada, una luce era apparsa a chi poteva aiutarli. E così Dario, lo Shah Persiano vincitore sugli Assiri, li aveva liberati, restituendo loro dignità e libertà.

Dalla poesia ai magi

Foto: Omar Naaman / ApaImages

Si tratta naturalmente di una rappresentazione poetica. Che più volte ricorre nella scrittura: siamo in una situazione di tenebre, ma voi non temete, appare la luce del Signore, basta cercarla nel posto giusto. Ecco il significato quotidiano degli adoratori del bambino: i pastori che vanno a cercarlo nella mangiatoia, quei re che vengono da lontano e che non si fanno spaventare dalle blandizie di Erode.

Entrambi i gruppi puntano alla luce, senza lasciarsi affascinare dagli inganni che forze “oscure” (i giudizi della gente, la politica di Erode…) progettano per deviarli, per lasciarli nell’oscurità e nella nebbia. Quanti protagonisti delle violenze, cui assistiamo impotenti in questi giorni, sono avvolti nell’oscurità e nella nebbia della disinformazione, dell’idea che l’unica soluzione sia la guerra. Che ci sono nemici in agguato, che bisogna distruggerli completamente, che Dio vuole questo…

Ecco cosa la luce di Betlemme disperde, l’uso spregiudicato delle informazioni, l’inganno, la difesa senza scrupoli dei propri privilegi, la prevaricazione sugli altri, lo sfruttamento di popolazioni intere.  I pastori e i Magi decidono di camminare alla luce della stella di Betlemme e così possono avviarsi sicuri verso la loro meta, sfuggendo così gli uni al pettegolezzo mortifero della gente, gli altri alle minacce interessate di Erode.