La ludopatia come movente e il “vedo non vedo” di uno Stato allibratore

Il paradosso di un sistema complesso che combatte il gioco ma che ci guadagna quasi 12 miliardi, con Corona a fare il "crociato" e con Maccaro che non ci sta

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

Il tema di questi giorni è talmente banale, nella sua evidenza, che è diventato claim social. Il senso lato e grossolano è che qui da noi le inchieste le mette in moto Fabrizio Corona a step perfettamente tarati sul canovaccio spettacolare de “alla prossima puntata”. Che la cronaca la fanno Le Iene e Striscia che diventano l’antitesi buona e funzionale dei “pennivendoli venduti”. Infine che politica la fa solo la maggioranza perché chi vince in urna decide tutto e chi le ha prese taccia perché non ha l’appalto del “popolo”. Roba che perfino uno cauto e “Sottile” come Giuliano Amato si è sentito in dovere di guardare speranzoso alla Consulta come argine a certe “democrazie illiberali”. Insomma, siamo messi malemalemale.

Forse mai male come oggi, ma ovviamente siccome siamo parte attiva del male che ci sta succedendo abbiano anche il “dono” aggiuntivo di non saperlo, non a livello di autocoscienza, almeno. A questo si aggiunge un dato secondo che non è solo quello per cui l’opportunità di certe “battaglie” è compromessa in partenza dagli attori scelti per condurle o dal modo sghembo. Ed è quello paradossale e di chiara ipocrisia per cui stiamo parlando i problemi in cui da un lato c’è la crociata “contro”, dall’altro c’è il grasso che ingrassa anche chi “contro” si dice.

Spieghiamola meglio in tema di ludopatia ad esempio.

Quanto incassa lo Stato dalla voglia di giocare

Foto: Darko Djurin © Pixabay

Nel 2021 gli incassi che lo Stato ha fatto per le attività di gioco hanno superato gli 11,7 miliardi di euro, lo dice il Conto Riassuntivo del Tesoro del Mef. Quindi abbiamo un preambolo banale ma granitico: l’Italia come sistema complesso depreca il gioco d’azzardo ma ne ha fatto una fonte di introito grossa, roba da poco meno di mezza finanziaria “alla Meloni” o comunque tangente al “lacrime e sangue”, per capirci.

E’ un po’ come con l’alcol o con il fumo, con lo Stato che invita a bere responsabilmente o che avverte cosa succede se fumi come Yanez. Ma che al contempo fa mercato esattamente su quello che addita, espiando in maniera farisea. Cioè roba in comparaggio con morte, malattia, degrado, incidenti stradali e reati contro la persona.

Insomma, è tutta roba banale, risaputa e stantia ma che ogni tanto prende quel volume rabbioso per cui ogni cittadino senziente arriva a chiedersi una cosa. Come diamine si fa a deprecare fino alla fine, al punto di farla scomparire, una cosa sul cui presupposto di esistenza ci si guadagna? Essere credibili quando si è ormai uno Stato biscazziere è difficile, perciò ci si affida alle cassandre un tanto al chilo o alle singole iniziative della magistratura.

La provincia di Frosinone non fa eccezione

Foto © Carlo Carino / Imagoeconomica

Ma le toghe come controllori del binario, come guardiani anti deragliamento, funzionano poco. Qui serve capire che è quella tratta intera ad essere perigliosa, non che c’è una “retta via”. Questo perché sul caso di specie la figura ridondante di uno Stato etico fa ridere più delle barzellette di Bramieri.

Poi c’è il lato B del disco: perché deve essere un pregiudicato che sta centellinando ogni singola fiata di questa telenovela a dettare timing e merito di una cosa seria come l’azione della magistratura sul calcio scommesse? La ludopatia ammazza persone e famiglie, lo sappiamo, in ogni sua forma, di contro quelle del gioco d’azzardo è un’attività che se fatta con crismi di moderazione offre ai governi un bancomat che se tramutato in servizi potrebbe anche funzionare.

In Provincia di Frosinone ormai più del 20% delle dipendenze canoniche è incasellato alla voce “ludopatie”. Il Lazio è in un posizione di greve rilievo nelle classifiche sul problema ed ormai da tempo il gioco d’azzardo, presso agenzie specializzate, è diventato appannaggio di tutte le componenti della società.

La battaglia di Luigi Maccaro

Foto © Andrea Piacquadio / Pexels

Si gioca dovunque perché l’accesso al gioco, specie quello online, è facile ed immediato. Perfino un operaio impegnato nel suo turno di otto ore in Stellantis o in Skf può velocemente impiegare due minuti di un tempo metà suo e metà aziendale con uno smartphone in mano per piazzare una puntata. E il calcio? Lo sport nazionale, il Morbo Italico Supremo chiede di tornare ad una primeva quanto risibile purezza da “Età dell’Oro” ma lo fa con campioni che spesso sono testimonial di quel mondo che è diga altissima a quel ritorno di purezza.

Temi che Luigi Maccaro, direttore di Exodus Cassino, mentre sul tavolo della discussione da sempre: “Da almeno dieci anni ci confrontiamo con tante richieste di aiuto legate al gioco d’azzardo, tanti familiari di giocatori che si rivolgono ai nostri centri d’ascolto nella speranza di trovare uno spiraglio, di vedere una luce in fondo al tunnel della dipendenza. Patrimoni bruciati nelle sale giochi, alle slot machine, con le scommesse sportive, case vendute, pensioni impegnate, usurai sempre appostati”.

Perché si sta parlando di “drammi familiari come quelli che si ripetono da decenni solo che al posto dell’eroina e della cocaina in questi casi c’è il gioco d’azzardo. Tutto appare innocuo, a partire dalla parola gioco, dai gratta e vinci alle scommesse sportive, dalle slot machine ai giochi online e invece è un mondo, costruito ad arte, con meccanismi psicologici scientificamente messi a punto per creare dipendenza.

Il cortocircuito: condannare ma aprendo la borsa

Sotto accusa Maccaro ci mette: “un sistema politico-imprenditoriale che ruppe gli indugi grazie al Governo che legalizzò le Sale Bingo nel 1999 e poi nel 2003 autorizzò le slot machine.

Per il direttore di Exodus bisogna “promuovere una mentalità critica capace di resistere alle tentazioni di questo mostro senza volto. A partire dai giovani, dai ragazzi nelle scuole, da quegli adolescenti sempre alla ricerca di novità, di rischio, di trasgressione ma anche così fragili e vulnerabili e per questo facili da affascinare con le possibilità di facile guadagno pubblicizzate dovunque.

Perciò siamo nel bel mezzo di un cortocircuito cretino da cui non se ne esce se non all’italica maniera: deprecando, mettendo all’indice, postando cose didattiche sui social. E magari indagando e sanzionando, ma solo gli episodi in cui il gioco d’azzardo abbia falsato i risultati, non l’universo intero che fa ammalare l’etica del Paese. Il Foglio ha reso molto bene idea, volume e portata del problema e delle sue iperboli citando il sociologo Marco Dotti, “grande esperto e arcinemico dell’azzardo”. La sua analisi nel saggio Ludocrazia resta esemplare perché il suo è un approccio sociologico e sistemico, non solo di devianza. “Finanziarizzazione estrema dell’esistenza, vite a debito continuo, estrema incertezza e percezione del pericolo, gamification integrale”. E ancora: “Adolescenti e anziani abbandonati al loro destino”.

Non è un pezzo di realtà, è la realtà per intero

Fabrizio Corona

Poi quel che tutti sanno ma che tutti omettono di urlare perché in discussione non è l’etica dello sport ma la possibilità che a sperare certi limiti etici lo sport come business tracolli. Maurizio Crippa è stato caustico e basico, esattamente come serve essere sul tema: “Se si vuole prendere sul serio il problema, non si dia, almeno, la colpa a Corona. Ma come sempre in Italia sono i ripulitori di mitili ignoti a produrre i peggiori guazzetti. CR7 al Real giocava con il logo di Bwin, e lo ritrovò in Italia su Milan e Juve. Fino al 2018 le sponsorizzazioni legate alle scommesse valevano 200 milioni nel calcio italiano, e in Premier League 8 club su 20 li hanno per sponsor di maglia.

Non stiamo parlando quindi di una parte di realtà marcescente e da amputare, ma della realtà così com’è e così come è stata strutturata per farla diventare utile per le logiche occidentali da super-profitto. Dire che che quindi dovremmo processare noi stessi più che una singola area purulenta da noi forse è il solo modo per cominciare a risolvere. Risolvere invece che deprecare.

Sconfiggere invece di moralizzare il punto dove il pus è diventato visibile. Agire invece che condannare. E togliere le dita da questa maledette tastiere per uscire a fare qualcosa invece che restare dentro a dirla. Dirla tanto per dire, come piace a noi.

(Foto di copertina © Depositphotos.com)