La distruzione di città ed abbazia, come quando il Censore voleva cancellare Cartagine. Ma lo scempio delle bombe chiese un prezzo a chi lo volle. Il destino amaro di chi diede l'ordine
Più di duemila anni or sono nella Roma messa in pericolo dalla potenza dei Cartaginesi un grido di battaglia riecheggiava nel Senato: Delenda Carthago, «Cartagine deve essere distrutta». Così andava ripetendo Marco Porcio Catone, passato alla storia come Catone il Censore. Lo ripeteva per annientare quella città africana che stava minando economicamente e minacciando militarmente la potenza di Roma.
Due millenni più tardi la storia tornò a ripetersi (come scriveva Giovan Battista Vico su corsi e ricorsi storici). Questa volta il grido di battaglia era divenuto «Montecassino deve essere distrutta» seguito poi da «Cassino deve essere distrutta». Con la celeberrima abbazia benedettina e con l’inerme, tranquilla, laboriosa città ai piedi del sacro monte da far scomparire.
La catena di comando e gli eventi chiave
Le ricerche di storia militare hanno individuato con precisione la sequenza degli eventi e la catena di comando che portò alla distruzione con il generale Francis Tuker, britannico comandante della IV Divisione indiana. Che fu il primo a richiedere il bombardamento aereo del monastero poi sostenuto fortemente dal generale neozelandese Bernard Fryberg. E fu autorizzato dal generale britannico Harold Alexander.
Tra la fine di gennaio e l’inizio di febbraio del 1944 le difficoltà incontrate dagli eserciti alleati nel corso della prima battaglia di Cassino (il mancato sfondamento della Linea Gustav e l’insuccesso dello sbarco di Anzio) indussero i comandanti Alleati a provvedere a un parziale rimescolamento delle forze militari. Per aumentare l’offensiva contro la Linea Gustav, il generale Alexander, comandante di tutte le forze alleate in Italia, dispose il trasferimento di tre Divisioni dal fronte adriatico a quello di Cassino.
Si venne così a costituire una nuova unità militare definita come II Corpo d’armata neozelandese (il cui comando fu assegnato al generale Bernard Fryberg) e che risultò composta da tre Divisioni. Erano la II Divisione neozelandese posta sotto il comando del generale Howard Kippenberg; la IV Divisione indiana posta sotto il comando di Francis Tuker e la 78a Divisione britannica.
La “presenza maligna del maledetto monastero”
Nel corso del primo mese di battaglia (12 gennaio-12 febbraio 1944) i soldati alleati avevano cominciato a soffrire sempre più l’«onnipresente mole di Montecassino». Man mano che passavano i giorni aumentava tra i militari alleati il risentimento nei confronti del monastero. L’imponente struttura che incombeva su di loro era divenuta una «presenza maligna». I soldati si sentivano sotto osservazione di quell’«occhio onniveggente», si sentivano spiati da quel «maledetto monastero [che li] fissava dall’alto».
Cominciarono a circolare sempre più insistenti le voci che i tedeschi se ne servissero per scopi bellici. Anzi secondo la gran parte dei militari alleati esistevano «prove inconfutabili» che il monastero fosse utilizzato come punto di osservazione e come riparo per postazioni militari.
Il fatto è che il monastero aveva una ubicazione strategicamente importante poiché, ergendosi in vetta al monte, dominava tutte le vie di acceso alla valle del Liri.
Per il generale britannico Francis Tuker comandante della 4a Divisione indiana, la millenaria badia era divenuta una «spina nel fianco» degli Alleati che andava rimossa. Così il 9 febbraio inviò un ufficiale del Genio al comando di divisione con il compito di reperire informazioni sull’edificio religioso. Non avendole trovate lo spedì a Napoli alla ricerca di qualche pubblicazione sul monastero.
Una guida automobilistica per decidere lo scempio
Nella città partenopea l’ufficiale riuscì a rinvenire su una bancarella una copia di un libretto intitolato Descrizione storica del monastero di Monte Casino. Era stata scritta da un monaco benedettino francese, Paul Guillaume, e stampata dalla tipografia di Montecassino nel 1879. Inoltre l’ufficiale reperì anche quattro copie di una guida automobilistica del 1920 su Montecassino. Nella quale erano stampate molte fotografie degli interni nonché una planimetria dell’abbazia.
Le pubblicazioni furono portate al gen. Tuker che le lesse approfonditamente. Da esse apprese alcuni dettagli in merito alla costruzione e alle strutture del monastero di Montecassino. Ad esempio che le mura erano alte circa quattro metri e mezzo, che erano di muratura solida e di ampio spessore alla base. Si fece l’idea che l’edificio fosse stato costruito o fosse stato trasformato in una fortezza militare alla fine del 19° secolo. E che le mura potevano essere state perforate, per farci delle feritoie e posizionarvi le armi.
Dunque per Tuker l’abbazia era una fortezza moderna e poiché era un ostacolo che andava eliminato essa doveva essere abbattuta con mezzi moderni. Cioè poteva essere distrutta soltanto con lancio di bombe aeree di grosso calibro. Ma l’aviazione, scriveva, non doveva limitarsi a colpire la struttura ma essa doveva essere demolita al punto da non essere più buona a nulla.
La malattia tropicale di Tuker
Mentre stava svolgendo tale «considerevole lavoro» informativo, come lo stesso generale britannico lo definì, utilizzando solo le ricerche senza aiuti di informazioni da parte di spie, accadde una cosa. Ecco che il generale britannico venne colto dai postumi di una malattia tropicale di cui soffriva da anni. Per un paio di giorni redasse i piani della battaglia, inviò memorandum, sollecitò la richiesta di bombardamento mentre si trovava nel suo letto da campo. Però l’acuirsi del suo male lo portò a essere sostituito dal gen. Harry K. Dimoline.
Alla fine il 15 febbraio quando apparvero sul cielo di Montecassino le Fortezze volanti, Francis Tuker non poté assistere allo ‘spettacolo’ che aveva tanto voluto e per il quale si era tanto speso in ricerche e studi. Cioè il più grande bombardamento «diretto a un solo edificio nella II guerra mondiale» nonché il primo caso di deliberato annientamento totale di un immobile religioso.
La mina di Kippenberger
Un altro alto ufficiale che partecipò alle operazioni di pianificazione del bombardamento di Montecassino del 15 febbraio 1944 fu il gen. Howard Kippenberger, comandante della Divisione neozelandese. Tuttavia dopo la distruzione di Montecassino prese corpo l’idea che per debellare la resistenza dei soldati tedeschi bisognasse sacrificare Cassino. Proprio il gen. Kippenberger fu incaricato di mettere a punto le strategie da seguire per l’«Operazione Dickens» che prevedeva il bombardamento della città.
Così il 2 marzo 1944 salì su monte Trocchio con altri ufficiali per osservare in prima persona il settore in cui, tredici giorni dopo, si sarebbe svolta la terza battaglia. L’altura, conquistata dagli americani il 15 gennaio, era stata bonificata dalle decine di mine antiuomo. Mine che i tedeschi avevano disseminato sulla cresta e sulle falde prima di ritirarsi. Tuttavia i micidiali ordigni avevano cominciato a mietere vittime il giorno stesso in cui l’area era stata occupata dagli americani.
Anche perché si trattava per lo più delle cosiddette «mine schu» che erano montate in scatolette di legno e non contenevano parti metalliche per cui erano difficilmente individuabili. E così alcune di esse non erano state rilevate dai metal detectors degli artificieri che avevano effettuato la bonifica dei sentieri.
Dopo aver visionato l’area della città dal posto di osservazione il gen. Kippenberger si apprestò a discendere dalla montagna ma incappò in una di quelle mine. L’esplosione lo ferì gravemente. Portato in ospedale subì l’amputazione di entrambi i piedi. Curato e dotato di arti artificiali, poté rientrare in servizio attivo solo dopo la fine della guerra.
Obiettivo inutile e tempo perduto
Così neanche il gen. Kippenberger poté assistere allo ‘spettacolo’ che aveva contribuito a pianificare. Cioè la distruzione totale di una città e che ancora oggi detiene il non invidiabile record di quantitativo di tonnellate di bombe lanciate per metro quadrato.
Cartagine fu distrutta e Roma poté riprendersi e giovarsi della vittoria. Montecassino e poi Cassino furono ridotte in polvere, annichilite. Ma la distruzione non portò nessun giovamento anzi, al contrario, fu un errore militare tattico e strategico che costò agli alleati moltissimo in termini di sacrificio in vite umane (e ovviamente anche alla inerme popolazione del territorio). In termini di sofferenze umane, in termini di materiali bellici gettati nella mischia.
Poi in termini di tempo perduto per arrivare alla liberazione d’Italia e d’Europa e per giungere alla pace.