L’Italia a più 86% nell’export militare e la nuova vita della Tiburtina Valley

Il paradosso amaro di un'economia che fonda sui conflitti. E che oggi è più florida che mai specie nella regione di Leonardo-Anagni

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

Mbda, Alenia, Telespazio, Airbus, Rheinmetall ex Oerlikon e naturalmente Leonardo. L’Italia che spinge in economia di settore ha il cyberspazio in agenda, la corazza dinamica ed è calibro 120 mm. Sono solo alcuni dei nomi che costellano territorio e fatturato monstre di quella che è conosciuta come la “Tiburtina Valley”. E’ il posto in Italia dove forse si concretizza meglio e di più il paradosso di una “nuova vita” economica. Vita che però, a ben vedere, fonda sull’idea della morte attivamente data. Con le armi. Di quel paradosso ne aveva parlato qualche giorno fa Massimiliano Smeriglio, candidato per Avs alle Europee nella circoscrizione dell’Italia Centrale. (Leggi qui: L’Europa che vede Massimiliano Smeriglio è come quella che vede Avs).

Si tratta di una lunga striscia di terreno che, da un epicentro produttivo nelle adiacenze orientali della Città Metropolitana di Roma, arriva a toccare concettualmente anche il nord della Ciociaria. Da quella realtà vengono fuori fatturati che sono assimilabili al Pil di un piccolo stato africano, realtà lavorative solide, maniglie con Roma e una marea di problemi etico-politici.

Il balzo italiano nell’export di armi

Massimiliano Smeriglio (Foto: Rocco Pettini / Imagoeconomica)

Specie da quando l’Italia di Mario Draghi e Giorgia Meloni si è impegnata ad aiutare materialmente l’Ucraina attaccata. Ma il fenomeno è più sistemico e scavalca la contingenza delle guerre in atto. E la Tiburtina Valley è di fatto la punta della lancia di un’Italia che nell’export di armi ha fatto un balzo gigantesco in avanti, anche rispetto a posizioni già “lusinghiere” prima del quinquennio 2019-2023.

In provincia di Frosinone ci sono spot di eccellenza per questo modo, primo fra tutti quello della Leonardo Anagni. Il gigante della difesa ex Finmeccanica ha 49mila dipendenti ed un target planetario. Lo fa operando su quattro settori di mercato: Italia, Regno Unito, Stati Uniti e Polonia. E per mezzo di cinque divisioni: Elicotteri, Elettronica, Cyber Security, Velivoli, Aerostrutture.

Leonardo Helicopters e la Ciociaria

Leonardo Elicotteri

Il Messaggero spiega che Leonardo nel 2019 ha realizzato ricavi per quasi 14 miliardi di euro e ha un portafoglio ordini per oltre 36 miliardi. In Ciociaria c’è appunto Leonardo Helicopters. Con uno stabilimento da circa 500 dipendenti per la produzione di mozzi e pale rotanti nei presso di Frosinone. Poi, in zona Paduni ad Anagni lavorano altre 350 unità nella realizzazione dei rotori di spinta.

L’indotto è da mille unità ed è distribuito tra sei aziende laziali, a cui toccano “revisione ed analisi dei materiali”. Tanto per citare un esempio, nel 2019 la società si aggiudicò una commessa da 3 miliardi per la fornitura al Qatar di 28 elicotteri militari NH90. Sono i famosi multiruolo a due turbine e quattro pale. Quelli equipaggiati a bisogna tattica con missili Marte, mitraglie Dillon e con gli Stingray nella versione anti-som.

La guerra tira e di guerre il mondo non è mai a secco, malgrado la vulgata colombeggiante del dopo trattato di Versailles e del dopo Perestrojka. E attenzione, malgrado il nostro sia un Paese che fin da quando Paese non lo era non è mai stato votato alla guerra – dagli imperatori romano-cristiani all’armata “sagapò”– sulla guerra ci fa affari. Affari d’oro. La conferma arriva sul semestre dallo Stockholm International Peace Research Institute (Sipri).

Un mondo mai a secco di guerre

Foto: Dario Pignatelli © Imagoeconomica

Il report pubblicato spiega che l’Italia è il paese che ha avuto l’incremento maggiore dell’export di armi negli ultimi cinque anni. E che la nazione leader oggi è la Francia. Vendiamo di tutto: fregate, elicotteri da guerra, carri, blindo, perfino velivoli (non da supremazia aerea). Quello delle armi è un tavolo largo ma non troppo, in quanto ad export.

E attorno ad esso ci siedono i “grandi” e tra i grandi ci siamo noi: Usa, Francia, Russia, Cina, Germania e Italia. Dire spiega che “la base del monitoraggio sono armamenti particolarmente costosi e dunque in grado di essere un riferimento per il volume di affari”. L’aggiornamento con previsione di volume d’affari al maggio 2024 dice che ci sono due canali: quello degli ordini e quello dei pre-ordini. Secondo quest’ultimo “gli Stati Uniti esporteranno almeno 1071 caccia a fronte dei 223 della Francia, dei 78 della Russia, dei 94 della Cina e dei 52 dell’Italia.

E per i mezzi ad ala rotante, cioè gli elicotteri militari d’assalto-dislocazione-trasporto-anti som? “A guidare la classifica sono sempre gli americani, con 390 modelli pronti per la vendita. In seconda posizione c’è l’Italia, con 31 ordini o pre-ordini”. Siamo secondi subito dietro alla nazione che ha fatto, fa e farà più guerre di tutte sul pianeta.

Le fregate che “vanno come il pane”

Giorgia Meloni

Sulle navi da guerra e tenendo conto delle varie classi “a guidare la classifica è il Regno Unito (32), seguito da Germania (25) e Francia (20); Stati Uniti e Italia vengono dopo, appaiati con otto ordini o pre-ordini. Le nostre fregate Fremm di Fincantieri vanno come il pane, soprattutto in Indonesia e soprattutto se della nuova classe “Bergamini”. Il claim è quello di una oligarchia mondiale di paesi che esportano tanto e Roma è nel club, ma c’è di più.

Roma è quella che ha registrato l’incremento maggiore nel volume di affari, “di addirittura l’86% nel periodo 2019-2023 rispetto al quinquennio precedente”. Siamo sesti a livello globale ed abbiamo una rosa di acquirenti che non sono proprio modelli specchiati di democrazia in purezza. Da noi comprano soprattutto Qatar (27% delle vendite), Egitto (21) e Kuwait (12). “Il centro studi calcola anche che è aumentata la quota dell’Italia rispetto all’export mondiale di armi: se il Paese valeva il 2,2 per cento nel periodo 2014-2018 ora conta per il 4,3.

Rheinmetall a Roma, quella dei Leopard 2

Mario Draghi

Il direttore del Sipri, Dan Smith, ha spiegato: “L’Europa è responsabile di circa un terzo dell’export globale, comprese ampie quantità di armi destinate fuori della regione, a conferma della sua grande capacità industriale-militare”. Ecco, parte della “benzina” che alimenta questo mercato arriva dalla nostra Tiburtina Valley, in cui spicca la “gemma blindata” di Rheinmetall. La ex Oerlikon Contraves, creatrice dell’artiglieria contraerea forse più efficace di sempre, ha sede a Roma in via Affile.

Produce sistemi radar e fa capo al gruppo tedesco di armi Rheinmetall Defence Group, quello che sì, produce i famosi carri Leopard e che ha un fatturato vicino ai 6 miliardi. Di questi tank nella versione 2/A8 l’esecutivo in carica ne sta comprando a centinaia per soppiantare i “vecchi” Ariete ed equalizzare i rapporti sfilacciati con Berlino.

La società è “specializzata nella produzione di sistemi di difesa antiaerea, radar per applicazioni militari terrestri e navali. In particolare radar tattici in grado di inviare i dati dei bersagli alle armi associate”.

Le proteste fin da febbraio

Foto Geralt / Pixabay

A febbraio la rotta con cui l’azienda si era detta pronta a produrre carri armati Leopard di tipo 1 e di tipo 2 da poter inviare a Volodymyr Zelensky aveva scatenato gli attivisti. Il tema era quello della guerra in Ucraina.

E nel nome di quello davanti alla fabbrica era stata ribadita “la nostra contrarietà ad ogni invio di materiale bellico in Ucraina ed in ogni altro conflitto attivo nel mondo. Nessun arma deve partire da questo territorio! Il Lazio deve essere una terra di pace!”.

Un anno fa Rheinmetall annunciò che avrebbe prodotto la piattaforma di difesa antiaerea Skynex. Un anno prima Mario Draghi e l’allora ministro della Difesa Lorenzo Guerini diedero il via libera e Berlino per il finanziamento della commessa.

Skynex, l’ultimo arrivato nel Lazio

Papa Francesco (Foto: Andrea Giannetti / Imagoeconomica)

E la periferia Est di Roma divenne il sito per la nuova produzione dei cannoni anti drone. Uno Skynex è composto da quattro cannoni Revolver Gun Mk3 in torrette automatizzate. Ha un raggio d’azione di 4 chilometri con cadenza di tiro di 1.0000 colpi al minuto. Da un modulo di comando CN-1/Oerlikon Skymaster.

Poi da un radar di acquisizione tattico tridimensionale X-TAR3D in banda X. Serve in spazzata veloce per la ricerca a corto raggio, rilevamento, acquisizione, tracciamento, classificazione e identificazione dei bersagli. Ed infine da autocarri con pianale settato tipo HX.

Il costo di un singolo sistema può arrivare anche a 50/70 milioni. Un po’ troppo anche per gli ultimi appelli di Papa Bergoglio che ha apertamente citato la prospettiva di una resa ucraina. Perché la Tiburtina Valley, più ancora di Kiev, bandiera bianca non l’alzerà. Decisamente non le conviene.