La ramazza dello Stato che ha tolto la polvere a Caivano, e solo quella

Lo Stato dice che dove ci sono gli spacciatori ci sono povertà e degrado ma è vero il contrario. E non servono spot, ma interventi

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

Nella perfetta gerarchia ed attribuzione dei ruoli della mala associata una delle figure di rango più basso è quella del “moschillo”. Il suo nome in realtà cambia a seconda delle aree su cui deve lavorare ed a Rione De Gasperi ad esempio, che è tangente a Scampia, una volta si chiamava “miao miao” o “mierlo”. Il ruolo qualifica sempre il nome: il tipo in questione fa il verso del gatto o fischia come un uccello e lo fa perché è una vedetta. Il suo compito, oggi agevolato da una chat whatsapp appositamente gestita da lui, è quello di avvisare chi spaccia che all’orizzonte ci sono guai.

Basta una parola in vocal o un emoticon particolare e tutti sanno arrivano volanti della polizia, gazzelle dei carabinieri o auto sospette in odor di ruolo civetta. Chi avvisa costui oltre che rassicurare la maglia con un “ttapost!” ogni quarto d’ora? I pusher che stanno procedendo alla grande distribuzione dei “pezzotti” di cocaina o eroina. E’ il pane fruttuoso dei disperati che è fruttuoso solo per i clan, pane che costa dai 15 ai 30 euro per “dose”.

Vedette del male o stipendiati di lusso?

Concentriamoci sull’identikit del “moschillo”. E’ giovanissimo, dai 15 ai 25 anni con qualche deroga per i millenial più svegli. Viaggia in scooter ed ha sempre una felpa con cappuccio perché potrebbe essere inquadrato dalle telecamere ed è per lo più maschio.

La mistica malomma non è ancora del tutto pronta alla parità di genere, anche se i Belforte di Marcianise a suo tempo appaltavano il ruolo a giovani donne appollaiate di vedetta sui balconcini dei casermoni. Non erano stati i pionieri di quella scelta perché Cosimo Di Lauro, che era belloccio e vanesio, si era già servito di una schiera di “pretoriane”, ma per la sua sicurezza in covo, più che per il “lavoro”.

Sigaretta, qualche pettegolezzo sulla più “sciantosa” del gruppo ed occhi bene aperti a scrutare le grandi tangenziali all’orizzonte. Occhi disegnati da eyeliner forti ed acutissimi. Ah, a proposito, ogni “moschillo” che si rispetti arriva a guadagnare circa 200 euro al giorno, glieli consegna il capo piazza ogni venerdì dopo la “resa” settimanale su una media mobile di 50mila euro di cassa. Il che significa che la camorra mette in tasca di ragazzini che dovrebbero avere al massimo i soldi per una pizza ed una powerbank di medio livello l’equivalente dello stipendio mensile di un alto dirigente di banca.

Se potessi avere… 5mila euro al mese

Giorgia Meloni con don Maurizio Patriciello

A fare i conti della serva sono circa 5mila euro contando che i turni lasciano libera almeno una settimana su 30 giorni. Ecco, partiamo da qua per inquadrare l’ultima scampagnata pubblicistica del governo Meloni al Parco Verde di Caivano (o di qualunque governo dal 1989, anno della messa a sistema del canale droga con Gennaro Licciardi “A Scigna” di Secondigliano).

Una zona che tra le aree di spaccio è forse tra le dieci più prolifiche d’Europa. E partiamo da qui per comprendere il gigantismo, a volte mestamente inutile, di colossi dell’etica applicata come Don Patriciello.

Ognuno di quei ragazzini spersi è in grado di entrare in un qualunque momento della loro vita in una boutique di Dolce e Gabbana e portarsi a casa mercanzia griffata per migliaia di euro. Un valore equalizzabile alle scalmane da shopping di una Chiara Ferragni agli esordi. Ognuno di loro ha più “potere di acquisto” di Nathan Falco Briatore e vive in un mondo dove la cosiddetta parte “sana” quello osanna. I reel più cliccati sono sul denaro e le macchinone dei vip, non certo sui soldi di un padre che si fa il mazzo.

Scopi diversi ma modelli unici

Il carcere borbonico di Santa Maria Capua Vetere

Ecco, adesso immaginiamo una scena surreale per cui lo Stato si fa persona unica, diciamo un signore austero, stempiato e cordialmente giolittiano via. Lui arriva davanti ad uno di questi teenager già mezzi ricchi e gli propone di mollare tutto. Per andare a lavorare in una fabbrica dove prenderà 1200 euro al mese per otto ore di lavoro bestiale. Senza il brivido di sentirsi parte di una paranza, senza una stesa, senza amfetamine per stare svegli durante il turno. Con un caposquadra di 40 anni (team leader, oggi si chiama team leader) che sfoga le sue frustrazioni sui pivelli e con la possibilità di comprarsi al massimo un Samsung A20 su Amazon.

Messa così, cruda e com’è davvero, vede la vera polpa del problema? Si sente a tre dimensioni la terribile portanza di uno sforzo che dovrebbe vedere il sistema complesso dello Stato non solo battere il male, ma convincere i suoi adepti che il bene conviene? Dice sì, ma se fai la malavita prima o poi vai in galera o muori. Squillino le trombe siore e sior. L’ufficio matricola del carcere o la morte per piombo sono deterrenti solo in quella parte di mondo che li considera punto di caduta della parabola.

Quando il degrado è la sola vita che hai

Giorgia Meloni

In quella parte di mondo là sono akmè, vanto, mistica e pedagogia, perché in carcere c’è magari tuo padre e tuo fratello al camposanto. E tu hai studiato talmente bene su quel libro assurdo che aspiri ad essere il primo della classe alla scuola dell’orrore, non a lasciare gli studi. Noi lo chiamiamo degrado, ma loro lo chiamano vita, unica vita possibile per essere più di quello che ti hanno fatto nascere.

E qui scatta il paradosso. Lo scopo vero perciò è azzerare le distanze e non parlare più di “noi” e “loro”, ma solo di cittadini. E’ il paradosso per cui lo Stato dice che dove ci sono gli spacciatori ci sono povertà e degrado. Sbagliato. Lo Stato sa che bisogna invertire i termini: dove ci sono degrado e povertà lì arrivano gli spacciatori.

Lo Stato bara e si crea un alibi da decenni. Scientemente. Poi passa mezza ramazza e si pulisce la coscienza lercia. Premettiamolo: il raid a trazione Meloni-Piantedosi non è stato sbagliato in sé – ci mancherebbe – ma è farlocco in metodo. Ed ha palesato la sua sola verve pubblicistica. Cioè quella cosa che non fa il bene di chi aspetta la risoluzione del problema (che è pluridecennale) ma solo il bene di chi ha bisogno di proclamare subito che problema lo sta risolvendo. Magari con il grimaldello di un episodio chiave in cronaca come uno stupro di gruppo.

Consenso e strategia non vanno d’accordo

Matteo Piantedosi

Che poi lo stesso venga risolto o meno poco cale. Non c’è cinismo cosciente in questo atteggiamento di Roma, non abbiamo mai avuto mostri a Palazzo Chigi.

C’è di peggio: l’impossibilità di affrontare una questione da un punto di vista sistemico, che cioè non vada a traino con il timing stretto delle logiche di consenso. Ma che lavori duro solo su un pezzetto della questione e consegni un pezzetto del lavoro fatto ai successori. Che si concentri solo su un primissimo step ma in maniera verticale, perché portare a casa tutto il risultato nell’arco di vita di un esecutivo è roba che fa ridere i polli e pure le uova che i polli non fanno.

Creare strutture, luoghi di aggregazione, creare lavoro e lavorare per edificare pezzo dopo pezzo una cultura del lavoro, quello potrebbe funzionare. Ma è roba da cinquine di lustri, non da Europee imminenti.

L’esempio di Alatri, nel nome di Thomas

Thomas Bricca

Ad Alatri, dopo l’omicidio di Thomas Bricca che con le logiche di mala non c’entrava nulla ma che in esse si era trovato immerso per caso, si è pensato bene. Pensato di trasformare il Girone in un’area ludico-sportiva. Sindaco Cianfrocca e vice Addesse hanno preso la strada giusta: rubare spazi all’illegalità sostituendoli con spazi in cui fare cose legali è bello e utile. Alatri non è mai stata equalizzata su quella mistica criminale gigante, sia chiaro. Per Parco Verde siamo ancora in credito di iniziative e su circostanze spaventosamente più grandi, ma concettualmente la via è quella e quella solo.

Invece, come accade sempre si truccano i bilanci facendo apparire come successi anche azioni che hanno grattato di unghia fessa due millimetri di vernice. Senza sapere che sotto c’è la lamiera da sfondare. Solo per dire che “lo Stato c’è”. Leggiamo ché i social di queste ore traboccano di post in elegia.

Lo “spottone” che magari anche no

“Diversi quantitativi di stupefacente”. Poi “44mila euro, 150 munizioni, 26 proiettili, 2 armi bianche e 8 auto”. Con video solenne e musichetta epic-synth a lardellare immagini su schiere di lampeggianti.

Difficile che la camorra a Parco Verde, che alza la media di 2 milioni di euro lordi al mese solo con i Sautto e che per sorvegliare quel giro ha più armi della Bulgaria, rialzi la testa dopo una mazzata così tremenda. Difficile anche per più gonzi pensare che questa sia la strada giusta e che una decina di blitz potranno aggiustare tutto. E far implodere un welfare nero che ha un Pil simile a quello di uno stato balcanico. Molto difficile infine non capire che è con le strutture che avvii la rivoluzione.

E che se in una palazzina ci sono infiltrazioni che fanno paludi e mura marce, “monnezza” dappertutto e quarantasette inquilini disoccupati allora l’offerta della mala non è solo allettante. No, così è l’unica da accettare. Certo, si dovrà pur cominciare (e non a “bonificare”, ma a gettare semente di Stato) ma gli spottoni con elenco magari è meglio metterli alla fine.

Sennò pare glassa politica, non presa d’atto. La presa d’atto che non basta una ramazza perché non si sta spazzando via la polvere. Si va alla guerra contro un anti-stato che non ha gli obblighi dello Stato. E che si è infilato crotalo dove quegli obblighi sono venuti meno, per crapula, indifferenza e incapacità.

Esattamente nei posti d’Italia dove la malavita vince a tavolino. Perché sul ring contro di essa non si è mai presentato nessuno quando bisognava fare e si sono presentati tutti quando si doveva dimostrare.