La “Zes” con cui Borgomeo vuole far ripartire il Cassinate, ed il suo sogno

L'imprenditore lancia l'allarme e suona la carica per rimettere al centro l'economia circolare. In barba al "Cigno Nero" che ha fermato un intero settore industriale

Lo squillo di tromba è inusuale: rompe il silenzio in un territorio dall’indolenza borbonica ed i bizantinismi papalini. La “carica” che suona Francesco Borgomeo sulla Ciociaria è pragmatica: basta con un Cassinate ed un Frusinate che siano solo dei forzati della ricezione turistica. Basta con il Pil che nasce altrove, dove punta l’ago della bussola, e con il turismo consolatorio che ne produce nel Meridione.

E soprattutto basta con una concezione della transizione ecologica che sull’automotive sia solo gargarismo. Occorre una zona speciale, una vera Zes che metta le aziende al riparo dalle asfissie a cui ordini superiori le stanno condannando.

Presidente Borgomeo, nei giorni scorsi lei ha lanciato l’allarme sul destino del comparto manifatturiero.
Francesco Borgomeo

L’Italia è uscita dalla Guerra completamente distrutta ed ancora del tutta agricola. È arrivata a stare nel G7 solo grazie alla crescita economica determinata dalle sue fabbriche. Non dobbiamo pensare che una macchina senza motore  (fosse anche elettrico) possa camminare. Ed anche la nostra provincia, ed in particolare l’area di Cassino in cui la Fiat diede il via ad un processo di industrializzazione, oggi rischia un lento ma inesorabile declino per la perdita di produzioni industriali.

Lei ritiene urgente una riflessione.

Una profonda riflessione al fine di trasformare le aree industriali dell’automotive in Zone speciali, per supportare con risorse e strumenti dedicati la cosiddetta transizione ecologica dell’automotive. Altrimenti rischia di essere soltanto una strage di innocenti. Ovvero di aziende cui normative calate dall’alto stanno togliendo la speranza di un futuro.

Ha detto che senza una presa di coscienza del settore industriale Cassinate ‘rischiamo di diventare un gigantesco agriturismo’.

Non ci rassegniamo ad un futuro di bed & brekfast e camerieri, autisti e concierge per i ricchi turisti che vengono in vacanza, mentre le loro fabbriche del nord Europa o dell’America pompano Pil. Non è questa la nostra vocazione. Ed alle dinamiche strutturali si aggiungono anche quelle congiunturali.

Carlos Tavares (Foto: Canio Romaniello / Imagoeconomica)

Il manifatturiero è stato sull’otto volante nel 2022, in particolare quello energivoro. Le nostre fabbriche hanno dovuto fare i conti con l’impennata dei costi dell’energia. Ricordo che Carlos Tavares appena visitò lo stabilimento Stellantis di Cassino indicò proprio nei costi dell’energia una delle criticità. E quando si esce da una tempesta del genere, se la nave è ancora a galla, non vuol dire che può tornare a navigare come nulla fosse.

Quanto è stata importante l’ondata speculativa sull’energia?

Per far comprendere la gravità della situazione che abbiamo vissuto faccio l’esempio del distributore di benzina. Siamo abituati a fare un pieno con 100 euro: immaginate di andare dal benzinaio e da un giorno all’altro lo stesso pieno costa 1.500 euro. Questo è quanto successo alle nostre fabbriche: il gas è passato da un costo di 20 centesimi al metro cubo a 3€ per metro cubo.

Il settore ceramico è in crisi, nel primo trimestre 23 ha perso tra il 20 ed il 30% del mercato. Ma che succede?

Succede che si è scatenata la “tempesta perfetta”, o meglio quello che in economia si chiama il “cigno nero”. Nel nostro caso, due ondate di Covid e la speculazione violenta sul gas. Con relativa impennata dell’inflazione e la chiusura di mercati importanti ad Est ed oggi l’incremento dei tassi di interesse. Il tutto sta manifestando ora i suoi effetti negativi.

Qual è stata la conseguenza sulle aziende? 
Le ceramiche in uscita dai forni Saxa

Faccio l’esempio sul mio gruppo: a novembre 2021 su tre fabbriche e oltre 400 lavoratori, ne avevo in cassa integrazione una ventina scarsi. Dopo sette mesi, il 50% era in cassa. Il fatturato 2022 si è fermato a 62 milioni, con due fabbriche su tre ferme da luglio. Avremmo tranquillamente sfondato i 100 milioni di fatturato. Ma con il gas a 3 euro/mc le fabbriche si fermano, e per farle ripartire ci vogliono mesi e mesi. Anche perché nel frattempo il mercato si riempie di prodotti che io definisco “tossici” ovvero prodotti con costi di produzione troppo alti per poi essere venduti.

Cosa succede al gruppo Saxa? 

Sono abituato a navigare in mari in tempesta, mi sono sempre occupato di situazioni di crisi, a volte disperate, come nel caso della Ideal Standard di Roccasecca: una fabbrica chiusa, con i licenziamenti in corso, senza più soluzioni. Abbiamo dovuto correre per intervenire e non perdere il patrimonio di risorse, ma in quella fretta non riesci mai a pianificare bene gli investimenti, che poi devi ponderare in una progettazione esecutiva che richiede tempo e forti modifiche al piano, inizialmente solo abbozzato. Ce l’avevamo fatta, se non avessimo incontrato il Cigno nero sulla nostra strada, oggi la nave andava a gonfie vele.

Una volta fermati i cantieri l’azienda si è piantata. Ora ci stiamo accingendo a salvarla per la seconda volta. Passare da una fabbrica chiusa con 300 licenziati che faceva sanitari, ad una che fa economia circolare con sanpietrini green, è stato molto piu difficile che uscire oggi da una crisi congiunturale.

Nervi saldi, coraggio e tanta pazienza. Ce la si fa.

A Roccasecca i lavoratori sono preoccupati.
Il cantiere sulla 18ma Strada a Manhattan

I lavoratori sono stati una componente fondamentale in ogni progetto realizzato dal mio gruppo. C’è la loro esperienza e la loro capacità di fare produzione alla base di ogni progetto. Mi dispiace aver visto in questi giorni la divisione del fronte sindacale, con la Cgil – che è maggioritaria- che si è distinta: so per certo che tutte le sigle credono nel nostro progetto e spero che torni lo spirito di collaborazione che ha sempre contraddistinto il nostro percorso complesso. I prossimi step si dovranno basare proprio su questo spirito se vogliamo rimettere la nave sulla rotta originaria.

Il mercato come sta rispondendo? 

Con la speculazione sul gas, l’Italia ha perso interi settori del manifatturiero: sono stati rimpiazzati con prodotti di qualità inferiore che non sono made in Italy ma il mercato non poteva sostenere i costi del prodotto italiano. Noi abbiamo il nostro mercato nel quale siamo ancora esclusivisti: stiamo realizzando grandi lavori negli Usa, in Nord Europa, nel centro Italia. E questo ci lascia fiduciosi.

Lei è stato un pioniere dell’economia circolare nel Lazio. Qual è il bilancio di questi anni?

Ho iniziato a parlare di economia circolare nel 2012, quando “circolare” era solo l’infinito presente usato dai vigili urbani in caso di traffico congestionato…

Quando parlo di economia circolare mi vengono in mente le parole di Marchionne sulla competitività, “non seguite linee prevedibili, perché al traguardo della prevedibilità arriveranno i concorrenti e anche prima di voi”. Ecco, l’economia circolare è l’esaltazione della creatività e della imprevedibilità, ritengo sia la più grande rivoluzione industriale per l’Europa e l’Italia, ovvero per quei Paesi che non hanno materie prime, e non hanno fonti di energia propri.

I rifiuti diventano energia.

La valorizzazione dei rifiuti, che diventano materia prima ed energia, è l’unica possibilità per l’industria di rimanere competitiva senza dover comprimere il costo del lavoro e le tutele sulla sicurezza e l’ambiente di lavoro. L’unica possibilità, fatta di innovazione, creatività, ricerca. 

Quello di Anagni è stato un esempio precursore.
Il cantiere di Bergamo con i prodotti di Roccasecca

La circular factory di Anagni della Saxa, è stato il primo esempio al mondo. Il caso Saxa Gres, ovvero una fabbrica che ha materia prima ed energia generati dai rifiuti, è stato studiato in tutte le università dei cinque continenti, con soddisfazioni enormi. Purtroppo, mentre in giro per il mondo venivamo esaltati, qui su scala locale, abbiamo affrontato una traversata nel deserto. Sette anni per gli iter autorizzativi, a fronte di 180 giorni previsti per legge. Il biodigestore, un impianto che più pulito non si può, ancora oggi viene avversato in ogni forma.