Salvini urbi et orbi con il Frosinone nel cuore

L'ex storico direttore giallazzurro Salvini è tornato a parlare in una ricca intervista al sito specializzato lacasadic.com. Un interessante spaccato sul calcio, tanti retroscena ma soprattutto l'amore sconfinato per la squadra ciociara

Alessandro Salines

Lo sport come passione

L’amore senza tempo per il Frosinone. La passione sconfinata per il calcio. La professione di direttore sportivo vissuta fuori dalla fredda logica dei numeri ma seguendo ad ogni costo quei sani valori che un po’ si sono persi. “Diffido di chi pensa e racconta questo sport come un’azienda e parla di investimenti. L’unico obiettivo deve essere quello di regalare emozioni alla gente”, ha detto convinto. In attesa di una chiamata e di un progetto che coniughi le sue idee, Ernesto Salvini, direttore del Frosinone per 14 anni, è tornato a parlare ed è già una notizia considerando che non ha mai amato le luci della ribalta. Tantomeno le interviste. Ma stavolta ha chiesto a se stesso una deroga concedendosi anima e cuore al sito specializzato lacasadic.com che ha fatto un autentico colpo.
Perché alla fine è venuto fuori un interessante spaccato di un calcio d’altri tempi dove prevalevano etica, cultura del lavoro, rispetto, lealtà, onestà e importanza delle persone. Quasi una lezione senza presunzione, sicuramente uno spunto di riflessione su un mondo in crisi. Valori che invece Salvini ha sempre incarnato sin dagli inizi della carriera nella sua Anzio, dove è nato 53 anni, fino alle ultime esperienze meno fortunate.

Innamorato del Frosinone

Mirko Gori lanciato da Salvini

Salvini non poteva non parlare della sua lunga parentesi in Ciociaria. E’ stata forse la prima volta dopo l’addio. Una storia d’amore che non finirà mai. Il Frosinone resterà per sempre nel suo cuore al di là dei trionfi tra i quali 3 promozioni (1 in Serie B e 2 in serie A), lo scudetto Berretti, il titolo tricolore Allievi e la Supercoppa della medesima categoria. E’ stato un percorso lungo 14 anni e finito, di fatto, all’indomani della sconfitta nella finale playoff con lo Spezia. Partito dal settore giovanile (fu voluto dall’indimenticato direttore Enrico Graziani che per Salvini avrà un posto speciale nel cuore), è arrivato fino alla direzione generale, contribuendo alla crescita del club e seguendo svolte importanti come la costruzione del nuovo stadio.

Un lavoro svolto in profondità senza eccessi ma con umiltà e programmazione. Lontano dalle luci della ribalta. “L’impulso più grande fu quello di promuovere Stellone e 15 giocatori dalla Berretti alla prima squadra e ringrazierò sempre Stirpe per avermelo permesso”, ha ricordato Salvini. Una scelta fondamentale, la pietra miliare per il ciclo d’oro del Frosinone. “Ho pianto quando ho visto Paganini, Altobelli e Gori nella prima storica partita in Serie A – ha aggiunto il direttore – Erano 3 giocatori che avevano fatto il percorso nel vivaio. Per un amante del settore giovanile non ci può essere gioia più grande”.

Salvini in una conferenza con il presidente Maurizio Stirpe

Parla del Frosinone con delicatezza. Proprio da innamorato. Perché si può rimanere innamorati a vita anche dopo un addio. Nessun sassolino da togliersi o recriminazione. Neppure un accenno di rivalsa. Solo rispetto, ricordi belli e gratitudine nei confronti della città, dei tifosi, della società e del presidente Maurizio Stirpe con il quale ha condiviso tanto. “Gli sarò sempre grato. Persona di grande spessore e vero conoscitore di calcio”, ha sottolineato Salvini a www.casadic.com. “Ho vissuto quelle bellissime esperienze in silenzio. Chi resta in una città per 14 anni la fa sua”, ha chiosato.

L’addio un atto d’amore

La delusione dei giocatori del Frosinone dopo la finale playoff con lo Spezia

Nell’intervista Salvini ha svelato i motivi del suo addio. Finora non era mai entrato nei meandri di una questione professionale ma soprattutto di cuore. “Il mio atto d’amore più grande per il Frosinone è stato capire quando era il momento di andarsene. L’ho fatto in silenzio, come quando sono arrivato”. La mancata promozione in Serie A al termine di una stagione piena di difficoltà a causa dell’emergenza-Covid è stata lo spartiacque.

“Nel momento in cui si arriva a un grande risultato senza raggiungerlo, ricominciare la stagione successiva con gli stessi protagonisti diventa un’arma a volte devastante ha spiegato Sono orgoglioso di questa scelta, seppur durissima. Avevo un legame speciale con la piazza. Penso di essere stato uno degli unici ds a cui sia stato dedicato un coro. È stato come lasciare una famiglia. Ma era il miglior modo per dare un futuro al Frosinone”.

Siena, Avellino e Trieste: prima di tutto la coscienza

Ernesto Salvini nello stadio “Stirpe” vuoto durante la finale con lo Spezia (Foto © Mario Salati)

Salvini ha voluto ripercorrere le ultime esperienze, sfortunate ma comunque formative. Momenti di crescita, ha puntualizzato. Parentesi nelle quali non ha voluto tradire i suoi valori a costo di rimetterci l’incarico. Non si è nascosto. “La mia esperienza di Siena va divisa in 2. Quei mesi mi hanno lasciato qualcosa di speciale. Io amo la costruzione di gruppi. Di solito è un processo di 2/3 anni, ma lì è successo subito – ha detto – Un piccolo miracolo sportivo. Persone di uno spessore umano incredibile. Si creò un’unità d’intenti tra giocatori, piazza, tifosi”.

Poi i problemi societari hanno spezzato l’idillio. “Le mie prime difficoltà con il presidente, ad inizio dicembre è come se già non ci fossi più stato. Ho cercato di tenere botta il più possibile. Per uno che lavora con coscienza, sapere di aver portato giocatori e collaboratori in una situazione societaria instabile faceva male. Quei 4 mesi hanno rappresentato tanto per me. Una città bellissima, persone con un cuore enorme”.

Ad Avellino la scelta più coraggiosa. Un club ambizioso, una piazza storica del calcio italiano. L’ideale per ripartire e rilanciarsi. “Al presidente D’Agostino ho sempre detto che non riesco a lavorare solo per dire che lavoro – ha raccontato – Se sposo un progetto è perché so che posso incidere in modo sostanziale. Sono stato ad Avellino 10 giorni, una piazza fantastica che ti rimane dentro con un grande presidente. Ho analizzato la realtà e quando mi sono reso conto che le cose che andavano in contrasto con la mia visione del calcio erano troppe per garantire alla proprietà una salvaguardia economica, ho deciso di fare un passo indietro. Non è stato facile, la mia coscienza mi diceva che non ero la persona giusta.Mi piacerebbe in futuro poterci tornare.  Avellino è una realtà in cui ho sempre desiderato lavorare”.

Da Avellino a Trieste: un’altra società blasonata. Tanto entusiasmo. “In 2 settimane avevo costruito la squadra per il campionato successivo. Ero contento perché è una piazza con tifosi che hanno un calore, una delicatezza, un amore garbato per quei colori che è impressionante – ha svelato – Pensavo di chiudere la carriera lì. Ed invece per problemi economici c’è stato un cambio di proprietà ed il gruppo entrante aveva già il suo management”.

Professione direttore sportivo

Secondo Salvini servono maggiori incentivi per valorizzare i giovani (Foto © Mario Taddeo / Sports Photo Agency

Dopo oltre 30 anni di mestiere in tutti i campionati, il direttore non poteva sottrarsi ad un giro d’orizzonte sulla professione di direttore sportivo cambiata molto. Senza supponenza il diesse ha voluto ribadire qual è la sua filosofia. E lo ha spiegato con estrema chiarezza. “Adesso si è soliti usare piattaforme internet e basarsi su dati e numeri ha allargato le braccia E ormai vedo diversi colleghi che sono diventati dei team manager e restano a guardare la propria squadra in panchina. Io credo fortemente nel fatto che un calciatore vada visionato dal vivo. Non riesco a guardare le partite in tv. Faccio anche 500 chilometri per vedere una gara, sensazioni che non fornisce nessun tipo di tecnologia”.

Salvini traccia la rotta: “Fare patrimonialità per la propria società. Costruire gruppi che vengono migliorati e portati al risultato finale, che può essere anche la cessione del giocatore a un club più importante. Poi c’è un’altra corrente che preferisce creare una squadra con dei prestiti. Questo comporta il dover ricominciare ogni anno da capo”. 

Ernesto Salvini

Dulcis in fundo i giovani. Il suo mondo da dove è partito e da dove non si è mai staccato.  “Se un ragazzo all’estero a 16 anni ha già avuto l’occasione di giocare in prima squadra sarà più formato di un nostro giovane che arriva dalla Primavera – ha affermato – La cultura del calcio italiano è devastante. Sono poche le società che provano a costruire i propri progetti sui giovani. Ma spesso sono realtà piccole e tranquille, senza troppe pressioni. Le seconde squadre una soluzione? Rimangono un mondo ovattato. È vero che ti confronti con il calcio dei grandi, ma con meno agonismo e senza staccarsi in modo netto dal settore giovanile. Cercherei di mettere più incentivi per aumentare la presenza di giocatori italiani”.

Parola di Salvini. Professione direttore sportivo fuori dagli schemi.