Se si festeggia il Made in Italy ma è americano

La Giornata del Made in Italy. Che poi, se vai a vedere, è giù una contraddizione in termini. Meglio sarebbe stato chiamarla del "Fatto in Italia". Perché cos'è oggi Made in Italy? Rischi di finire dentro casa dell'odiata plutocrazia. Come avvenuto all'amministrazione comunale di Latina

Lidano Grassucci

Direttore Responsabile di Fatto a Latina

L’altro giorno è stata la Giornata del Made in Italy, creata dal Governo italiano per celebrare la creatività e l’eccellenza dei prodotti italiani. Va bene… mi stava venendo da scrivere ok. A pensarci bene: già chiamarla “Made in Italy” è una contraddizione: meglio sarebbe stato “Fatto in Italia“. Suonerebbe pure più grazioso. 

Il fatto è che questo mondo è tutto interconnesso. In un remoto mercato rionale cinese hanno servito sul bancone qualche etto di carne di pipistrello poco frollata e la produzione industriale in Italia s’è fermata. Scopri così che i voli quotidiani tra Cina e Regno Unito sono decine e decine ogni giorno. Nelle auto che ogni giorno guidiamo ci sono pezzi che vengono da almeno tre continenti. Cos’è oggi il Made in Italy?

Gli americani vennero qui con il Piano Marshall per rimettere in piedi quello che con le bombe avevano ridotto in macerie. E con loro portarono le aziende: ad Anagni c’era la Winchester, poco più a nord c’era la Caterpillar, a Frosinone fabbricava i tessuti la Klopman, a Cisterna faceva i solventi la Nalco. Lo facevano in Italia ma era americano. O era Italiano perché assemblato qui?

Il Plasmon per i Patrioti

La visita alla Plasmon

A Latina amministra una maggioranza a trazione patriota, come il ministro Adolfo Urso che con le migliori buone intenzioni ha voluto che si onorasse il Made in Italy alias Fatto in Italia. E come è stato celebrato quel giorno dell’orgoglio industriale nazionale? Con una cerimonia nello stabilimento Plasmon che insiste sul capoluogo. Tutto bene, chi non ha mangiato da bimbo i biscotti della Plasmon. Io ci andavo ghiotto e, se capita, li mangio anche oggi che sono più che bimbo: un ex bimbo.

Ma c’è un particolare: quei biscotti che hanno tirato su generazioni di italiani grazie allo specifico latte in polvere sono di origine britannica. In Italia ci arrivarono nel 1902 quando il dottor Cesare Scotti ebbe l’intuizione di creare una società per portare pure da noi quello straordinario prodotto per l’infanzia. La fabbrica di Latina produce ogni anno 1,8 miliardi di biscotti per bambini e neonati e più di 450 prodotti tra salse, alimenti per l’infanzia e medical food. Ma quella fabbrica appartiene alla Plasmon Dietetici Alimentari s.r.l. che è società del gruppo Kraft Heinz S.p.A. divisione italiana della omonima multinazionale statunitense. Insomma: roba a stelle e strisce.

Sono americani. Il ministro Adolfo Urso si sta facendo reggere, a ragione, con Stellantis che chiama la sua nuova Alfa Romeo, Milano solo che la fanno in Polonia. Per fortuna che all’estero non sono così patrioti: altrimenti gli americani non avrebbero potuto chiamare Cortina la fortunatissima berlina Ford che ha motorizzato centinaia di migliaia d’automobilisti nei 20 anni dal 1962 al 1982.

L’autarchia impossibile

Lo stilista Valentino Garavani (Foto: Oliverio © Imagoeconomica)

Il fatto è che questa giornata del Made in Italy rischia di essere un gigantesco scatolone vuoto. Come dimostra anche il fatto che di tante aziende italiane alla fine Latina abbia scelto di celebrarla dentro alla Plasmon che è americana. O è italiana perché sforna pappe e biscotti a Latina? In un mondo globalizzato è impossibile piazzare bandierine come ai tempi del Ventennio e gridare all‘Autarchia. Qualche esempio?

La Maison di moda Fiorucci fondata a Milano nel 1967 è diventata giapponese nel 1990 quando l’ha acquisita la nipponica Edwin International (per capirci quelli di Lee, Wrangler e Avirex). I mitici yacht di Ferretti sono ora di proprietà di Shandong Heavy Industry – Weichai Group, non c’è bisogno di dire quale bandiera sventoli. Le collezioni di Krizia sono passate a Marisfrolg Fashion Co. Lvmh cioè la società titolare di Loro Piana e di Bulgari ora parla francese da quando l’ha comprata Kering. Valentino è dal 2012 nelle mani di Mayhoola Investments (Qatar) e quel che resta di Gianfranco Ferrè di Paris Group (Dubai).

Era il 1993 quando gli svizzeri della Nestlè si comprarono il marchio Italgel (Gelati Motta, Antica Gelateria del Corso, La Valle degli Orti) ed il Gruppo Dolciario Italiano (Motta e Alemagna). Nestlè controlla l’ex Italgel insieme a surgelati e salse Buitoni. Il colosso elvetico possiede anche l’acqua minerale Sanpellegrino e controllate (Levissima, Recoaro, Vera, San Bernardo e Panna). Restando a tavola: Galbani, Locatelli, Invernizzi e Cademartori sono proprietà dei francesi di Lactalis, il Re del Camembert che si è comprato Parmalat nel luglio del 2011. Gli oli Cirio-Bertolli-De Rica sono stati presi nel 1993 da Unilever, che poi li ha ceduti nel 2008 alla spagnola Deoleo, già titolare di Carapelli, Sasso e Friol.

Se avete la bocca amara, sappiate che lo zucchero Eridania è da tempo in mani francesi. E nessuno provi a dire che Stellantis sia una società Italo Francese: Mirafiori chiude ed è evidente quale bandiera sventoli sul CdA.

Concetto che fa acqua

Foto © IchnusaPapers

Personalmente quelli della Plasmon mi paiono fighi: non sono nazionalista ma internazionalista. Voler esaltare il tricolore è bello, commovente ma fuori dal tempo: perché poi finisce che per esaltare il Made in Italy ti trovi dentro uno stabilimento che sta si a Latina ma i suoi utili li porta in America.

L’autarchica modello XXI secolo fa acqua. La plutocrazia vince sulla nazionalità. Bravi quelli della Plasmon, sono americani. Meno quelli che hanno nostalgia dell’arzente al posto del cognac, che portarono D’Annunzio a inventare il tramezzino al posto del sandwich.

Forse il mondo è andato troppo in là per avere certe nostalgie. Ed a cercare una fabbrica tricolore, a Latina finisce che ti ritrovi in una che invece è dello Zio Sam: proprio in casa dell’odiata plutocrazia.