Sui migranti meglio l’Onu: Meloni si smarca dall’Ue, e dall’agenda official

La premier cerca di conciliare l'identità nazionale con le istanze delle Nazioni Unite e delega Tajani al CdS: il messaggio politico

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

Che Josep Borrell fosse considerato un “falco” a tutto tondo nell’ambito dell’Ue non è mai stata una novità. La cosa si fece palese oltre il mainstream di quei palazzi quando il Commissario agli Esteri di Bruxelles si pose da subito tra quanti caldeggiavano le armi a Kiev. E lo fece nei giorni in cui il tema era ancora divisivo, non assodato come oggi. Ma il dato che ha costretto Giorgia Meloni a “smarcarsi” dal binario dell’Europa in tema di migranti ed a ricorrere all’Onu è tema molto più sottile.

Lo è perché risente di una complessità basica che in queste ore ha portato la premier italiana a perorare la sua linea alle Nazioni Unite. Con uno sparring interno. E azzurro. E quella complessità è tutta politica in purezza. Anzi, è partitica per blocchi e guarda al voto europeo del 2024.

Disegniamo lo scenario: in tema di misure sul tema migranti per la Meloni c’era un cardine e quel cardine era (ed è ancora) l’accordo con la Tunisia dell’arcigno presidente Kais Saied. Il tipo non è esattamente un “illuminista” ma tant’è: coi dittatori ci si fanno accordi da sempre proprio per evitare che possano far danni da posizioni privilegiate perché svincolate dalle regole democratiche. Farne di propri o incrementarne nel novero di quelli che patiscono gli altri.

Dossier Tunisia e “sabotaggio a sinistra”

Ursula von der Leyen

Con la “benedizione” di Ursula von der Leyen Meloni aveva perciò spuntato una maxi mazzetta legale per Tunisi. Il patto (ricatto) era: noi ti diamo 250 milioni in cash e materiale e te tieni argine ai flussi migratori. Attenzione: era un memorandum di indirizzo e non un deliberato di Commissione, quindi neanche si è mai capito bene perché avesse già una roadmap contabile.

Ad ogni modo i socialdemocratici europei sono insorti e, con Borrell capofila di una crociata a maquillage etico, stanno sabotando quell’accordo. A sua volta Saied se l’è legata al dito e, giusto per far capire in che vespaio rischia di cacciarsi l’Italia, ha tolto ogni filtro al “suo” mare.

Lo ha fatto aprendo i rubinetti di flussi migratori già poderosi fino a farli diventare spaventosi. Borrell e, per parte italiana, la sinistra italiana non hanno però “solo” motivazioni etiche e questo è evidente. Non si spiegherebbe ad esempio come proprio il ministro degli esteri Ue sia stato tra i fautori di una linea di credito europea a Cuba. Esattamente dove il presidente Diaz Canel, neanche lui propriamente un padre mormone, con la scusa dei fondi Ue alle aziende private incamera denaro per quelle pubbliche e ci paga poliziotti bastonatori come pochi altri.

Insomma, il motivo è politico e lo scopo è indebolire la leader italiana. Non è un complotto, come ha riconosciuto perfino un giannizzero come Matteo Piantedosi, ma di certo è un filone strategico da sfruttare.

Meloni donna chiave: per il blocco Ecr-Ppe

Giorgia Meloni all’Onu

Meloni, cioè la sola donna capace di funzionare come mastice tra Erc e Ppe ed assicurare un mezzo cappotto alle Europee 2024. Cappotto con annessa disfatta dei socialdemocratici che sono in affanno un po’ ovunque in Europa. Lo ha fatto all’Onu equalizzando due cose apparentemente inconciliabili: senso di identità nazionale e spinta al collettivismo da club mondiale. Perciò è andata ad ingiungere ad un consesso che sul decisionismo è fisiologicamente frenato: “E’ dovere di questa organizzazione rifiutare ogni ipocrisia e dichiarare una guerra globale e senza sconti ai traffifficanti di esseri umani.

E il quadro è più complesso ancora. Lo è perché Meloni ha anche le sue dinamiche interne di Governo da gestire. Matteo Salvini gigioneggia con Marine Le Pen per sabotare l’asse con i popolari ed Antonio Tajani ha tutto l’interesse a spostare il campo di gioco a New York.

Perché? Perché al segretario di FI serve accreditarsi come secondo polo del circuito che alle Europee dovrebbe vedere Ecr e Ppe agire insieme. Per il vicepremier è ancora più importante perché a febbraio 2025 Forza Italia avrà il Congresso di ratifica della sua nomina e quella sarà una conta. Non è un caso che Meloni abbia “disertato” il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ed abbia delegato proprio Tajani ad esserci. Ed a rappresentare lei assieme all’Italia.

Tajani e il “soccorso newyorchese”

Antonio Tajani (Foto: Leonardo Puccini / Imagoeconomica)

Lì c’erano assisi in combo straordinaria Lavrov e Zelensky ma la premier ha preferito lasciar fare al suo vice. Ed optare, con un’agenza più sua che “official”, per uno spaghettone al pomodoro in un locale italiano invece di gigioneggiare al ricevimento di Joe Biden.

Mai come ora per Tajani è importante accreditare una fedeltà alla rotta di Meloni e sottolineare che Salvini invece “balla da solo”. La Lega è molto più forte di questa FI e Tajani deve resistere, ma non può farlo da solo. Il sunto? Sarebbe sbagliato e gratuito dire che dei migranti non frega nulla a nessuno, ma è scorretto dire che a tutti frega solo di loro.

La via come sempre in politica è mediana, e gestire la questione è molto più importante che gestire i flussi, perché da quelle possibili soluzioni che arriveranno mirabilia o miserie per il destra centro italiano. Tajani fa scuola: a febbraio di quest’anno, con Silvio Berlusconi vivo, vegeto e un po’ incazzato con lui per l’eccessivo filomelonismo, si prese un giudizio impietoso da Il Foglio. “Tajani è la prova di quanto può essere crudele la sorte. È la debolezza della stabilità.

Fazzone tiene botta e fa il mastice

Claudio Fazzone (Foto: Giulia Palmigiani © Imagoeconomica)

“Coordinatore nazionale di FI, ha come feudo elettorale il Lazio. Bene, cosa accade? Il signor Fazzone, forzaitaliota che stava per essere cacciato e antagonista interno del ‘povero Ntonio’, riesce a fare eleggere Cosmo Mitrano, consigliere regionale con oltre 12.500 preferenze. Il candidato di Tajani era Simone Foglio e si è fermato a circa 3 mila preferenze. A Roma, Forza Italia non è riuscita a eleggere nessun consigliere.

Claudio Fazzone è coordinatore regionale ed a giugno aveva ribadito che Tajani era il “leader” del dopo Cav e che, piaccia o meno, era stato quello che aveva tenuto in piedi il Partito nel suo momento di massima eccentricità. Sì, ma l’Onu? Lì a ben vedere è un altro mezzo casino. Alle Nazioni Unite la Tunisia si colloca tra i 10 membri eletti e il Paese è tra i firmatari di una storica risoluzione anti Russia dello scorso febbraio. Tuttavia in tema di diritti umani la Tunisia è in odor di violazione Che significa?

Che Giorgia Meloni è stata “fermata” sul ruolo della Tunisia da un’Ue che ha motivazioni etico politiche ed ha scelto l’Onu per sollevare il caso. Ma l’Onu non è il miglior terreno per caldeggiare la posizione del suo interlocutore nordafricano. Dopo aver incontrato i rappresentanti di Kenya, Guinea e Senegal e Recep Tayyip Erdogan, la premier ha messo in dossier migranti sotto il braccio.

Italia campo profughi? “Non ci sto”

L’incontro statunitense tra Giorgia Meloni e Recep Erdogan

Il mantra è stato “non consentirò che l’Italia diventi il campo profughi d’Europa”. I toni di equalizzazione forte dell’emergenza migranti non mancano ma non scarseggiano neanche le trappole. “Per me è importante che vada avanti il memorandum con la Tunisia, al di là dei soliti tentativi della sinistra europea di minare un lavoro molto delicato, lungo e faticoso”. E ancora: “E di non avere spesso il coraggio di farlo a viso aperto”. Ma il patto firmato dalla Von der Leyen e la linea della Commissione Ue che la stessa presiede?

“La Commissione ha detto che, secondo loro, il memorandum è un modello da utilizzare anche con altre nazioni e io sono d’accordo. Bisogna mandare avanti il memorandum, implementarlo e fare arrivare le risorse, dopodiché penso che lo schema vada utilizzato per tutti i paesi del Nordafrica”. Lo slogan a corredo di Tajani era arrivato a stretto giro di posta: per lui quelli usati per affossare l’accordo con la Tunisia sono toni “da campagna elettorale”.

E Tajani ha perfettamente ragione, solo che dovrebbe riconoscere, assieme alla premier, che sono gli stessi toni che usa lui. Solo che, essendo più bravo di chi fino a ieri faceva opposizione trucida, lui li maschera meglio. Lui e chi con lui ha portato al Palazzo di Vetro un tema che resta delicatissimo. E che non è solo quello di dare una rotta a chi fa rotta su Lampedusa, ma anche di dare una a chi tra meno di un anno dovrà dare un nuovo volto all’Europa.

Di destra ma rassicurante, “spaghettaro”, conservatore ma “soft”. E illuminato quanto basta a dissipare quasi tutte le ombre. Quasi.