Thomas, la vittima sbagliata nella città sbagliata

Thomas ucciso per errore. La vittima sbagliata, nel posto sbagliato, con il giubbino sbagliato. In una Alatri sbagliata.

di ALESSIO PORCU

e PIERO CIMA-SOGNAI

Il ragazzo sbagliato, nel posto sbagliato, con il giubbotto sbagliato. Si muore così a diciannove anni in Ciociaria. Ad Alatri non a Caracas, non a Medellin, non nel regno dei cartelli in Messico. Ma è solo un’anomalia geografica. Perché il modo in cui Thomas Bricca è stato assassinato, il modo in cui è scattata la rete di protezione ed omertà a intorno ai suoi sicari, il motivo per cui tutto è nato: possono avere un senso solo lontano da qui. Non qui. Ma è avvenuto qui. In casa nostra.

Le 900 pagine che riassumono le indagini dei carabinieri del colonnello Alfonso Pannone e del tenente colonnello Italiano Guardiani che sono alla base degli arresti compiuti all’alba a carico di Mattia Toson e suo padre Roberto, sono una discesa lenta e graduale nella banalità del male di una suburra di casa nostra.

La banalità del Male

Cancellate la lavagna ed azzerate la scenografia: niente Gomorra. Solo banalità innescata in una spirale di violenza e ignoranza sempre più stretta e sempre più veloce e sempre più verso il basso. Dove a pagare con un colpo 357 magnum al cervello è un ragazzo colpevole solo di stare seduto su una scalinata insieme ai suoi amici, indossando un giubbotto dello stesso colore e con lo stesso cappuccio della vittima designata. Scambio di persona.

Ci sono posti dove il sicario che sbaglia il bersaglio fa la stessa fine della sua vittima innocente. Qui nemmeno questo. Perché questa non è storia di sicari professionisti, non è una storia di malommini, non è una storia di mammasantissima: storia senza protagonisti, solo banali comparse che uccidono per sbaglio il ragazzino sbagliato.

E c’è di peggio. Perché non c’è un motivo. Non c’è mai un motivo per premere un grilletto. Meno ancora c’è per premerlo verso ragazzi di vent’anni. Meno del meno ancora in questo caso. Non è una storia di droga, non è una storia di debiti, non è una storia di fronti e di vendette. Nulla di sudicio ma solo stupidità. A leggere gli atti è una storia di un rottweiler che non si scaglia contro un ragazzo di colore nonostante il padrone lo aizzi, la vittima non si spaventa e si allontana: si fa allora a mani nude e si picchiano gli sporchi negri, gli africani. Se le indagini non hanno preso un abbaglio tutto nasce da lì: un rottweiler, un ragazzo di colore, un uomo di Alatri che odia chi è scappato dalla propria terra.

C’è da sperare che i carabinieri si siano rimbecilliti e si siano sbagliati per quanto è folle questa storia.

Orgoglio sbagliato e pregiudizio

Morto per essersi trovato sulla linea del fronte di guerra tra gruppi che 900 pagine non chiamano nemmeno bande. Thomas Bricca è morto perché qualcuno voleva dimostrare dimostrare chi è il più forte, rivendicare che non si ha paura. Preparatevi, scendiamo nella Suburra.

Calendari al 28 gennaio 2023, due giorni prima del delitto. Orologi puntati alle 18. Ad Alatri c’è una comunità per ragazzi stranieri. Non vengono dai Camaldoesi, non hanno frequentato i Carmelitani: sono ragazzi che vengono dalle strade nel nulla ed i cui familiari hanno lavorato anni per mettere da parte i soldi con cui affidarli alle carovane di trafficanti di umani. Giorni nel deserto, senza acqua: stupri e violenze fisiche da subire sono compresi nel biglietto. I più fortunati dopo un paio di giri nell’inferno dei Centri di Raccolta vengono messi su un barcone e poi sia fatta la volontà di Allah.

Quelli che arrivano non vengono dai collegi comboniani, il loro mondo è un altro. Nessuno perde tempo a spiegargli il nostro e li chiudono nelle Comunità per ragazzi stranieri. Se ci sono scintille quando i due mondi si incontrano è anche comprensibile: è il fallimento della nostra integrazione. Ma le indagini dicono che Roberto Toson non lo sa, lui semplifica: non li sopporta e basta.

E così quel sabato 28 gennaio alle 18 incontra Ahmed, vuole spaventarlo e gli aizza il rotweiller. Ma – se è vera la storia – il cane si dimostra più intelligente e non attacca; Ahmed se ne va, Roberto teme di avere fatto una brutta figura e che il suo prestigio si stato offeso: telefona ad alcuni amici, di Alatri e rumeni. E c’è un pestaggio in piena regola. Con il tirapugni dirà qualcuno. Omar è un amico di Ahmed e si mette in mezzo. Botte gratuite fino all’arrivo dei carabinieri.

La spirale delle rappresaglie

Il giorno dopo è il 29 gennaio e c’è chi tenta di mettere pace. Ma quando i due gruppi vengono a contatto c’è una nuova zuffa. Ma questa volta i ragazzi sopravvissuti al deserto ed al Mediterraneo sono in tanti, impugnano bastoni, bottiglie: le prendono e le danno. Afferrano il fratellastro di Roberto e lo buttano di sotto da un terrazzamento. Ma lui si appende ad una balaustra e loro picchiano sulle mani per farlo precipitare: con la stessa crudeltà che hanno visto prima di partire. Riporterà delle fratture.

La spirale porta sempre più in basso e sempre con meno motivi. L’odio chiama l’odio, la violenza chiama la violenza. Nasce per questo la spedizione punitiva che finirà con l’ammazzare Thomas Bricca che a quei pestaggi non aveva partecipato ma solo assistito: lo dicono i video esaminati dai carabinieri. Lo ammazzano per errore. Volevano uccidere Omar che aveva guidato l’assalto dei nordafricani culminato con l’umiliazione del fratellastro di Toson

È solo un altra stazione della discesa verso il nulla.

La versione dell’accusa: a sparare è stato il figlio

Oltre 80 persone interrogate anche più volte, poi perquisizioni, sopralluoghi, riscontri scientifici e tanta tecnologia, inclusi i droni. Le forze messe dagli inquirenti dell’Arma a servizio della verità di parte sull’omicidio di Alatri sono state imponenti. E caute ma documentate nel tracciamento di un primo scenario accusatorio.

E quelle tracce sono state di tale portata procedurale per consentire alla Procura della Repubblica di Frosinone di dare la prima svolta fascicolare all’omicidio del 19enne avvenuto il 30 gennaio scorso in centro storico.

Secondo le indagini la spedizione punitiva finale la mettono in atto Roberto Toson e suo figlio Mattia. Lavano l’onore macchiato usando l’appoggio di qualche vedetta. Che osserva il Girone e quando Omar arriva con la fidanzata e raggiunge Thomas con gli altri amici fa partire il segnale. In pochi minuti si materializza uno scooterone T Max con due persone dai volti coperti con i caschi integrali, uno bianco ed uno nero.

Arrivano a 20 metri dal gruppo di ragazzi sulle scalinate. Quello dietro impugna una pistola con la mano sinistra e fa fuoco ad altezza d’uomo. Una, due volte. “Volevano uccidere Omar che quella sera indossava un giubbino bianco uguale a quello che per sua sfortuna indossava Thomas rivela questa mattina il procuratore capo di Frosinone Antonio Guerriero.

Alle primi luci del giorno il flappeggiare di un elicottero del 112 sui cieli ciociari segnala che la svolta nelle indagini si è concretizzata. I carabinieri eseguono l’arresto di padre e figlio accusati di omicidio volontario e premeditato. Roberto e Mattia Toson (47 e 22 anni) vengono portati a Civitavecchia: lontani da chi, dentro il penitenziario di Frosinone, potrebbe portargli messaggi dall’esterno.

Il silenzio e le parole

C’è voluto tempo ma “la complessità delle indagini ha dilatato i tempi. In particolare quelle legate alle memorie contenute nei telefoni. Il loro contenuto non è stato decisivo ma è stato importante per mettere tutto in relazione”. Parole del capo dei requirenti Guerriero.

Sono i silenzi e sono le parole a caratterizzare questa suburra. I silenzi di chi ha capito e non ha parlato. Di chi ha taciuto ma poi ha compreso ed ha rivelato. Ci sono donne al centro di ogni storia. Anche in questa. Donne che diffidano, donne che non si fidano, donne che intuiscono e vanno a controllare il portabagagli della macchina prestata a Mattia e poche ore dopo il delitto ci trovano un casco identico a quello indossato dal sicario. Ci sono donne che mentono per dovere di sangue, altre che parlano per dovere di coscienza.

I carabinieri mettono insieme tutti quegli elementi e chiudono il loro quadro indiziario. I carabinieri hanno ricostruito che “Roberto e Mattia Toson non erano nei luoghi in cui avevano dichiarato di essere al momento del delitto. Cioè ad una festa di compleanno. I loro telefoni erano spenti proprio per non lasciare tracce informatiche”. Per gli investigatori sta qui la premeditazione, il delitto pensato, progettato e realizzato. Come in un film. Appunto. La vita vera è un’altra cosa.

Lo storico in 900 pagine

La vita vera sta in una informativa dei Carabinieri di oltre 900 pagine ed a fronte di una ordinanza che di pagine ne conta 300, in una quarantina di telefoni ‘messi sotto’ per due mesi, microspie piazzate nelle case giuste, telecamere messe ad incastrare chi si metteva d’accordo sulla versione da dare ai carabinieri, spyware mandati ad indagare dentro due computer. “E’ stato impiegato il Ris dei carabinieri di Roma per la ricostruzione tridimensionale della scena del crimine e gli accertamenti balistici” sulle traiettorie dei proiettili.

Hanno fatto un lavoro pazzesco i carabinieri del colonnello Pannone e del colonnello Guardiani. Fatto di tecnologia ma anche tanta suola delle scarpe: indagini vecchia maniera. Mancano ancora dei pezzi. Manca l’arma del delitto, si sa solo che era ‘vergine’ cioè mai usata in precedenza in altri crimini: le sue tracce non sono nell’archivio del Viminale. Nemmeno c’è traccia dello scooterone T-Max “usato per raggiungere il luogo dell’omicidio di Thomas Bricca e poi per scappare, per questo le indagini dei carabinieri di Frosinone vanno avanti.

C’è però una certezza. Per i carabinieri, per la Procura, per il Giudice delle indagini preliminari. L’obiettivo dei due Toson era Omar Haoudi, che aveva un giubbotto bianco, lo stesso giubbotto che Thomas indossava la sera in cui è stato ucciso per un atroce scambio di persona. Due colpi di revolver e poi il 19enne a terra, già agonizzante.

Colpevole solo di stare nel posto sbagliato, con il giubbotto sbagliato. In una Ciociaria sbagliata.