Top e Flop, i protagonisti di giovedì 22 giugno 2023

Top & Flop. I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di giovedì 22 giugno 2023.

Top & Flop. I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di giovedì 22 giugno 2023.

IGNAZIO VISCO

Ignazio Visco (Foto: Sara Minelli © Imagoeconomica)

Da uomo di punta di Bankitalia ha due modelli di azione: quello tecnico che deve sempre seguire meticolosamente i conti del Paese e quello politico che qualche volta deve dire cose scomode ma senza lasciare varchi allo scontro fra titani dello Stato stesso.

Insomma, ogni volta che Ignazio Visco dice la sua o la fa dire per mezzo dei suoi dirigenti di vertice si creano aspettative: legittime per chi vuol sapere cosa sia successo in quel campo e puntute per chi volesse impugnare politicamente l’analisi.

Stavolta al centro del report di Bankitalia ci è finito il disegno di legge sull’autonomia differenziata. Si doveva dire dove intervenire su cose che non sono di merletto e si doveva far capire che quei rilievi non erano una bocciatura della linea del governo guidato da Giorgia Meloni ma un invito ad inforcare gli occhiali e poggiare il binocolo. E il Visco-team è riuscito nell’intento. Il Ddl a trazione Calderoli “trascura alcuni aspetti rilevanti.

La memoria di Bankitalia è stata depositata in Parlamento ed ha avuto lo scopo correttivo su tre punti chiave: costi e benefici vanno messi a valutazione di singolo comparto e non di lettura generalista; le aliquote di compartecipazione delle Regioni devono essere analizzate periodicamente; la verifica della spesa sostenuta e delle prestazioni erogate da tutte le Regioni va resa obbligatoria e non inserita nel novero delle mere facoltà concettuali delegate alla discrezione dei governi di secondo livello.

In sunto: serve più rigore perché la strada è giusta ma sommaria. E strade così tortuose non abbisognano di antologie normative, ma di precisi step. Da qui il garbo istituzionale di Bankitalia che fa una premessa bonaria: “Nel complesso, il ddl contribuisce a dare una cornice più ordinata e coerente al processo di autonomia differenziata”. E poi: “In mancanza di tale cornice, esso rimarrebbe affidato alla contrattazione bilaterale tra lo Stato e ciascuna Regione richiedente, senza alcuna garanzia che l’esito sia efficiente ed equo“.

E il sunto? “Andranno valutate attentamente tutte le implicazioni dell’attuazione dell’autonomia differenziata, procedendo quindi con la necessaria gradualità“.

Questo perché in caso contrario c’è un rischio grosso. E il rischio sarebbe quello di “innescare processi difficilmente reversibili e dagli esiti incerti“.

Velluto sulla bacchetta.

FRANCESCO DE ANGELIS

Francesco De Angelis

Quando si deve gestire il gioco di una squadra è indispensabile avere una completa visione del campo, una totale conoscenza dei giocatori, una totale coscienza di vantaggi e difetti degli avversari. La grande follia del Lazio negli ultimi anni è stata quella di ragionare come se fossero piccoli principati autonomi. Dove la Ciociaria programmava il suo sviluppo senza considerare le potenzialità del porto di Gaeta perché faceva parte del Pontino. E viceversa.

La rottura di questo schema di gioco è stata una tappa obbligata. Vivere o morire. Sopravvivere ragionando su uno schema che rendesse il porto di Gaeta naturale approdo per la produzione automotive di Cassino Plant o morire in uno scenario economico dove le Alfa Romeo prodotte a Piedimonte San Germano si imbarcavano per gli Stati Uniti dal porto di Salerno. Tanto per dirne una.

Potrebbero essere tante le follie di un Lazio che ragiona per principati autonomi. Contro quella visione, Francesco De Angelis alcuni anni fa ha lanciato una sfida: abbattere i principati ed unirli in un grande regno. Cioè il Consorzio Industriale Unico del Lazio. Contro ogni previsione: lo ha realizzato, convincento tutti i protagonisti che sarebbe stata un’operazione conveniente per ognuno. Ma soprattutto per il Lazio.

Nelle ore scorse è passato lo step successivo. L‘Assemblea dei Soci ha approvato all’unanimità i piani regolatori industriali delle aree ex Cosilam, ex Roma-Latina ed ex Rieti. È una rivoluzione attesa da un quarto di secolo. Perché definisce in maniera certa quali sono le aree soggette alla norma industriale e quali non lo sono. La differenza? Fine delle ambiguità. Sta scritto cosa si può fare, dove si può fare, con quali limiti si può fare. Per dare una misura delle cose: in Ciociaria ci sono realtà che non potendo allargare le loro fabbriche sono andate a metterne di nuove in Polonia, Repubblica Ceca, Francia e Germania.

Non è una questione di risparmi. Ma di tempi. Avere le autorizzazioni dopo 6 anni significa fabbricare le cose quando ormai sono diventate vecchie. Ora questa ambiguità dovrebbe essere superata. Ad esempio: l’adozione del Piano Regolatore ex Cosilam, permetterà un forte sviluppo industriale attraverso la creazione di quattro macro aree nel Cassinate. Viene individuato il Comparto 1 “Area Parco” costituito dall’area della Valle di Comino che ha una vocazione turistica legata alla immediata vicinanza del Parco Nazionale, con cui si combina una valenza paesaggistica di prestigio.

Comparto 2 “Area logistico – industriale”, rientrano in quest’area quei comuni che svolgono una funzione cuscinetto tra il territorio e lo stabilimento Stellantis, elemento economico di spicco, con cui il territorio interagisce offrendo, tra gli altri, servizi logistici e infrastrutturali. Nel Comparto 3 “Area agricola – artigianale” invece l’area si caratterizza per una vasta produzione agricola di prodotti ortofrutticoli di alta qualità. Comparto 4 “Area estrattiva”, in quest’area si individuano i comuni legati al Distretto del marmo di Coreno e dei Monti Ausoni.

Ragionamenti analoghi sono stati fatti per i Piani di Passo Corese e l’area area ex Roma-Latina.

Ora non ci sono più ambiguità. Né alibi. I territori del Lazio fanno chiarezza. E chi vuole investire sa dove, come e cosa si può fare. Ci sono voluti quasi trent’anni.

La visione di insieme del regista.

ANGELIO RETROSI

Angelo Retrosi

Quando si toglie il dente, l’errore è quello di dimenticare subito il dolore. E lasciare che il guasto si ripeta. Frosinone ha tenuto per oltre quindici anni il mal di denti. In uno dei luoghi più visibili della città: i piloni. C’era un appalto per risanare quell’area che è uno dei simboli del Capoluogo. E c’era un contenzioso nato praticamente subito dopo la firma tra ditta e Comune.

Il dentista dei Piloni si chiama Angelo Retrosi, assessore ai Lavori Pubblici nell’ultimo tratto dell’amministrazione Ottaviani e titolare dell’ufficio anche con il sindaco Riccardo Mastrangeli.

I fatti. Dalle ore scorse c’è la firma del contratto con la nuova ditta appaltatrice per la riqualificazione dei “Piloni”. È la Amato Costruzioni di San Vittore del Lazio. Questione di qualche firma e si aprirà il il cantiere. Non ci vorrà moltissimo: in municipio Angelo Retrosi ha tenuto un vertice con la sua collega titolare della delega al Centro storico Rossella Testa. Con loro c’erano il dirigente dell’Ufficio Tecnico Benito Caringi e l’ufficiale della Polizia Locale Alfredo Leo

Non si sono visti per farsi i complimenti né per stappare lo spumante. ma per passare alla fase operativa. Quel progetto ridisegnerà la parte alta di Frosinone. E loro vogliono fare in modo che questa volta i cantieri non abbiano 15 anni di stop, né 15 mesi di stop, né 15 giorni di stop.

La scommessa sulla capacità di governo del centrodestra passa ora per le loro mani. L’amministrazione del sindaci Nicola Ottaviani è quella che ha creato la base sulla quale realizzare un nuovo capoluogo; quella di Riccardo Mastrangeli si deve mettere la canottiera ed il cappellino di carta da giornale per cominciare ad edificare nella zona finora più svantaggiata. Angelo Retrosi si è assunto l’onere della sfida. Sconfitta o pareggio ora non sono più contemplati.

Visioni non convenzionali.

FLOP

CARLO CALENDA

Carlo Calenda (Foto: Carlo Lannutti © Imagoeconomica)

L’impressione non cessa da mesi e l’impressione è che Carlo Calenda da uomo del fare e fiero nemico delle nemesi sterili si sia trasformato un un “uomo del recriminare”. E che abbia scelto di diventare la nemesi vivente di Matteo Renzi, ex sodale, ex quasi amico ed in predicato di diventare un ex problema ma mai in maniera netta e definitiva.

Mai con un Calenda che non perde occasione per ricordare a sé ed all’universo mondo quanto il leader di Italia Viva sia stato determinante nel fargli venire un fegato grosso come una casa. E’ vero e sacrosanto che il timing del loro divorzio riserva delle scie di ritorno che magari rimettono il pregresso sull’onda mainstream, ma è anche vero che l’Italia va avanti, quella politica e quella reale.

E che Calenda a questo punto rischia di usurare perfino la ferrea incudine del suo comprensibile malumore per la mancata nascita del partito unico del Terzo Polo. Il leader di Azione non demorde dal puntare il dito contro il suo personalissimo “vilain” e spiega debitamente attizzato dai cronisti: “Io non so cosa vuole fare Renzi. Parleremo con tutti i partiti. Ma c’è un dato di fatto, non si ricuce con un Renzi che dice io vado da un’altra parte”.

In Azione convivono bene persone del Pd con altre come Carfagna“. Poi Calenda cambia argomento e invece di parlare del leader di Italia Viva parla di Matteo Renzi: “Credo che si voleva tenere le mani libere e non fare sicuramente il Partito unico. Io lo avevo promesso a un milione e 400mila elettori, ma non è andata così“.

A diversificare il tema ci hanno pensato le ultime vicende del Nazareno e, a traino, l’atavica avversione di Calenda per il M5S che del Pd pare sempre più croce e delizia. Alla domanda se con i dem lui veda una alleanza strutturale ha risposto: “No, perché la linea con i 5 Stelle io non la condivido. Penso che servano investimenti strutturali e che la transizione ecologica sia una cosa complessa. Non penso che il problema del lavoro si risolva con sussidi a pioggia. Io considero la politica dei 5S molto dannosa per il Paese“.

E in chiosa: “Sono tante le ragioni di dissenso con Schlein. Forse è tempo di costruire un’area liberal democratica vera“. Ovviamente dopo quella mancata con Renzi, malgrado Renzi e alla faccia di Renzi.

Disco rotto.