Se la sentenza sui direttori dei musei diventa una Fake News (di A.Tagliaferri)

 

di Andrea TAGLIAFERRI
direttore deUniverso

 

 

Avrete certamente letto o sentito per giorni della storiella che il TAR del Lazio avrebbe bocciato 5 direttori di altrettanti musei italiani. E lo avrebbe fatto perché quei direttori erano stranieri. Ci avete creduto? Male…

Vi do qualche elemento per capire se siamo dinnanzi all’ennesimo caso di distorsione della realtà da parte dei media nazionali. O, quantomeno, se la notizia – come spesso accade – è stata distorta per cambiarne il senso e creare il “caso”.

Comincio col dire che il Giudice del Tar ha ricevuto uno o più ricorsi da persone legittimate a presentarli. Ovvero qualcuno che si ritiene danneggiato dal bando del Ministero (supponiamo i vecchi direttori o coloro che si sono classificati secondi o terzi nel concorso). Questo giudice, quindi, è obbligato a procedere perché è lì per quello: non può decidere di sottrarsi al suo dovere. Altrimenti non avrebbe senso l’esistenza stessa del Tribunale Amministrativo Regionale. Nato, lo ricordiamo, per snellire la giustizia Civile ormai totalmente paralizzata. Assorbendo tutto il contenzioso tra cittadini e pubblica amministrazione oppure tra pubbliche amministrazioni in conflitto tra loro. Primo punto.

Il secondo punto – quasi banale ma non per questo noto a tutti evidentemente – è che il giudice è chiamato ad applicare le leggi, altrimenti sarebbe denunciato su due piedi o quantomeno sottoposto a sanzioni disciplinari, visto che non è un politico e non può occuparsi di decisioni “opportune” o meno: deve applicare le norme così come sono, sperando che il legislatore (i politici) le abbiano scritte bene. E questo è il punto cruciale dell’intera vicenda.

Nel caso specifico, infatti, il Giudice si è rifatto al Decreto Legislativo 30 marzo 2001, n. 165 – “Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche” che, all’articolo 38, recita così:

«1. I cittadini degli Stati membri dell’Unione europea possono accedere ai posti di lavoro presso le amministrazioni pubbliche che non implicano esercizio diretto o indiretto di pubblici poteri, ovvero non attengono alla tutela dell’interesse nazionale. 2. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, ai sensi dell’articolo 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni ed integrazioni, sono individuati i posti e le funzioni per i quali non può prescindersi dal possesso della cittadinanza italiana, nonché i requisiti indispensabili all’accesso dei cittadini di cui al comma 1. […]».

Nel decreto emanato dalla Presidenza del Consiglio successivamente, D.P.C.M. n° 174 del 7 febbraio 1994, – “Regolamento recante norme sull’accesso dei cittadini degli Stati membri dell’Unione europea ai posti di lavoro presso le amministrazioni pubbliche” si legge che il regolamento adottato prevede che

«i posti delle amministrazioni pubbliche per l’accesso ai quali non può prescindersi dal possesso della cittadinanza italiana sono i seguenti:

a) posti dei livelli dirigenziali delle amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, individuati ai sensi dell’art. 6 del decreto leg.vo 3 feb. 1993, n°29 nonché i posti dei corrispondenti livelli delle altre amministrazioni pubbliche”.

b) i posti con funzioni di vertice amministrativo delle strutture periferiche delle amministrazioni pubbliche dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, degli enti pubblici non economici, delle province e dei comuni nonchè delle regioni e della Banca d’Italia;

c) i posti dei magistrati ordinari, amministrativi, militari e contabili, nonchè i posti degli avvocati e procuratori dello Stato;

d) i posti dei ruoli civili e militari della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Ministero degli affari esteri, del Ministero dell’interno, del Ministero di grazia e giustizia, del Ministero della difesa, del Ministero delle finanze e del Corpo forestale dello Stato, eccettuati i posti a cui si accede in applicazione dell’art. 16 della L. 28 febbraio 1987, n. 56».

Ed essendo una norma scritta dopo l’entrata dell’Italia nella UE, si sottintende che la volontà di lasciare ai cittadini italiani determinate prerogative sia consapevole e ragionata. Cosa diversa è per le norme precedenti all’entrata nella UE che, quindi, non potevano contemplare ancora la parificazione dei cittadini UE con quelli italiani arrivata dopo e, quasi sempre, si intendono inclusive e non esclusive su questo fronte.

Insomma, la norma esiste. E’ chiara. E nemmeno l’obiezione fatta da qualche politico poco informato sul funzionamento del nostro ordinamento repubblicano che vorrebbe che il giudice tenesse conto “dell’interesse di Stato”, chiudendo un occhio per “opportunità”, regge, in quanto va contro le norme e i principi fondamentali della divisione dei poteri Costituzionalmente fissata. Una divisione secondo la quale la magistratura e tutti i giudici si devono attenere scupolosamente al loro ruolo “tecnico” di applicazione delle leggi e non interferiscano con le scelte “politiche” del legislatore.

Insomma, dobbiamo deciderci una volta per tutte se essere ligi alle norme, sempre, o se farci condurre nelle scelte dall’emotività di volta in volta.

Faccio tre esempi per essere più chiaro: a volte siamo europeisti e ci meravigliamo di una decisione che imponga che in quei posti dirigenziali ci siano persone italiane; pochi giorni prima, però, molto probabilmente siamo gli stessi che hanno protestato per l’esatto contrario, chiedendo a gran voce di tutelare gli interessi degli italiani, magari per un posto nelle case popolari dato ad una famiglia straniera o altre cose di vita quotidiana.

Secondo esempio, ci lamentiamo da una vita del fatto che i giudici entrano nelle “cose politiche”. Oggi, invece, auspichiamo che un giudice chiuda un occhio su una norma chiarissima, scritta da altri, per essere ben visti dal mondo intero! Da ultimo, gli stessi che oggi invocano la “flessibilità” del giudice del Tar, sicuramente saranno stati in passato i primi a gridare allo scandalo quando per qualche altra faccenda a loro non congeniale, qualcuno ha ovviato alle leggi e alle norme usando escamotage e cavilli.

Tra l’altro, va sottolineato che, essendo la sentenza del Tar una sentenza di primo grado, ed esistendo altri gradi di giudizio come il ricorso al Consiglio di Stato, invece di far polemiche inutili ed aizzare il popolo, il Governo o chi per esso, si sieda a tavolino e scriva il ricorso, se certo di avere ragione.

Evidentemente, però, il fatto che abbiano deciso di cambiare la norma invece di ricorrere in giudizio, è la più chiara ammissione di colpa: sanno che hanno toppato e ci viene il dubbio che già lo sapessero fin da prima. Ma ci abbiano provato lo stesso. E preferiscono aggirare la magistratura e modificare la legge, legittimamente aggiungerei perché è una delle possibilità che hanno.

Per cui, scelta sacrosanta, per carità, ma evitiamo i piagnistei: chi scrive i bandi per la pubblica amministrazione dovrebbe sapere cosa dicono le norme prima di farlo. Questa è la vera notizia, ma era troppo scomoda per essere veicolata: il bando era scritto male e poteva essere attaccato in maniera del tutto legale.

 

Ora veniamo al tema – a me tanto caro – delle Fake news e della realtà distorta. Siamo arrivati ad un punto talmente alto di questo fenomeno che preferiamo mettere in discussione l’esistenza stessa di una istituzione salvifica come il TAR che fino ad oggi è stato l’ultimo baluardo per tanti cittadini e imprese contro lo strapotere di entità e istituzioni spesso autarchiche, chiedendone la soppressione o la “riforma”, basandoci su una notizia praticamente infondata o, comunque, distorta invece di fare ciò che andrebbe fatto sempre e comunque, ovvero approfondire la notizia e verificarne le fonti.

Ci rendiamo conto di quanto sia grave e rischioso questo fenomeno delle Fake News e della distorsione mediatica della realtà o abbiamo bisogno di altri esempi?

Da oggi, ogni qual volta vedrò un fenomeno del genere, lancerò l’hashtag #vaiallafonte o #noncredereatutto o #gliasininonvolano o #nonèsemprecomesembra, Chissà che questa campagna non diventi virale e produca effetti benefici sull’opinione pubblica.

Informare è un diritto ma lo è anche e soprattutto essere informati, pretendiamo il rispetto di questo diritto sacrosanto e facciamoci artefici della nostra “acculturazione”: un minuto in più per approfondire una notizia può essere il discrimine tra sapere una cosa o credere ad una bufala.

 

 

PER APPROFONDIMENTI, VISITA IL PORTALE DI ALTA DIVULGAZIONE DEUNIVERSO.IT

§