Le piazze sono vicine. Al punto che la voce di ciascun candidato sindaco arriva alle orecchie dell’altro, mentre entrambi sono impegnati sul palco per il proprio comizio di chiusura della campagna elettorale. Accade addirittura che l’eco porti in piazza Diaz a Peppino Petrarcone le frasi con cui il suo avversario Carlo Maria D’Alessandro sta dicendo in piazza Labriola «Rinunceremo all’indennità e con quei soldi, più tutti gli altri che riusciremo a risparmiare, creeremo un fondo destinato ai bisognosi ed agli svantaggiati». Il sindaco uscente interrompe il suo comizio e dice alle persone che lo stanno ascoltando «…Ancora con questa storia delle indennità? Noi abbiamo già tagliato tutto il tagliabile. Ma lo sanno quanto ci vuole per comporre un milione di euro? E che sono più utili i soldi investiti e non quelli dati come elemosina?». Nell’altra piazza, D’Alessandro sente ma decide di continuare per la sua strada: come se non valesse la pena di dare importanza alle parole di quel sindaco che è certo d’andare a sostituire tra poche ore.
I numeri dei supporters contano fino ad un certo punto: sono quelli delle schede votate a decidere chi è il primo cittadino. Ma per gli appassionati delle cifre, erano circa duemila quelli corsi con le bandiere bianche ed arancione a sostenere Peppino; pochi di meno quelli che stavano nella piazza di Carlo Maria.
Peppino e Carlo Maria. La sfida tra l’avvocato, eterno figlio di un altro avvocato che è un pezzo indelebile della storia politica della città e della provincia; ed il figlio di un impiegato e di un’insegnante che ancora tutti ricordano, diventato ingegnere tra mille difficoltà, con la passione per le radio e le tv quand’era ragazzino negli anni Novanta e leggeva con sicurezza il telegiornale nell’ultima triste parentesi di Gari Tv. In quegli stessi anni Peppino, l’eterno ragazzino dalla faccia pulita e la reputazione immacolata, rompeva gli schemi di una città democristiana più per tradizione che per fede, diventandone sindaco a capo di uno schieramento senza Partiti. Il destino volle che a fine mandato non venisse rieletto: aveva risanato i conti senza lasciare però alla città né una fontana, né un obelisco, né un mausoleo che ai cassinati piacciono tanto.
Un destino che ora è il suo incubo. Lo hanno richiamato in municipio cinque anni fa a furor di popolo, dopo quindici anni di centrodestra: come Lucio Quinzio Cincinnato, il console romano che si era ritirato a lavorare la terra e venne richiamato di corsa per salvare la città. Anche questa volta Peppino ha trascorso il suo mandato a sistemare i conti. E non ha lasciato né piazze né obelischi agli elettori. Ma un certo profumo di pulito in municipio, quello sì. Lo stesso che emana Carlo Maria D’Alessandro: l’astuto signore di Forza Italia Mario Abbruzzese è andato, con il suo fiuto politico infallibile, a scovarlo nell’ufficio del direttore dell’Agenzia del Territorio. Il Catasto per noi comuni mortali. Curriculum impeccabile, competenza tale da meritargli riconoscimenti da ogni dove, fedina penale e reputazione talmente puliti che per l’intera campagna elettorale non s’è riusciti a trovare nemmeno un granello di fango con cui poterlo mettere in imbarazzo e ci si è dovuti accontentare di sgambettare quelli del suo staff. Così come per Petrarcone.
Hanno condotto sulla loro faccia e la loro rispettabilità l’intera campagna elettorale: la prima nella quale Cassino conta quanto un fico secco nello scacchiere politico regionale e nazionale. In città non ci ha messo piede praticamente nessuno mentre fino a qualche anno fa potevi fare la collezione con ministri e leader di Partito, i sottosegretari nemmeno si contavano perché tanto l’unico che aveva peso ce l’avevi in casa e si chiamava Angelo Picano.
Una galoppata lunga sei mesi e che solo per alcuni finirà domenica notte. Perché gli strascichi inizieranno lunedì all’alba, con il regolamento dei conti che verrà invocato in casa Pd per avere spaccato l’elettorato sul nome di Petrarcone e quello dell’imprenditore Francesco Mosillo. Oppure quello che, ci potete scommettere, chiederà prima del primo raggio di sole Luigi Vacana all’interno di Sinistra Italiana, spaccatasi in maniera altrettanto clamorosa ma meno fragorosa solo perché è ancora nella culla. O quello che non invocherà Mario Abbruzzese dentro Forza Italia: queste elezioni gli consegnano il potere quasi assoluto in un Partito dove lui non ha sbagliato una mossa e chi si è messo contro s’è ritrovato fuori gioco; Mario non chiederà nessuna testa perché per lui gli sconfitti devono vivere, così che la loro pena duri più a lungo e non provino di nuovo a ribellarsi.
Si arriva così al doppio comizio in contemporanea su due piazze vicine, dove i due candidati sentono l’eco della voce dell’altro. Peppino Petrarcone ha rinunciato alla presenza del ministro Maria Elena Boschi ma ha portato sul palco quattro testimonial, quattro sindaci: Sandro Bartolomeo di Formia, Marco Galli di Ceprano, Francesco Pelliccia di Subiaco e per dare un tono europeo alla serata Michael Müller sindaco di Berlino. Sono loro, sindaci del Partito Democratico che il Pd avrebbe preferito non avere mai eletto perché non sono tipi che si lascino intruppare, a testimoniare che pure Peppino è così: ecco perché la spaccatura sulla candidatura, per non avere voluto Partiti che fossero padroni.
Ma la piazza reclama anche qualche colpo sotto la cintura ed un po’ di sangue. E allora ecco che dopo le slide con le cose fatte durante questa consiliatura, appare una foto che vede insieme Mario Abbruzzese, il vice presidente del Parlamento Europeo Antonio Tajani, l’ex abate di Montecassino Pietro Vittorelli, ritratti nel crso di una missione isttituzionale in Europa: «Ah, vedo il presidente Abbruzzese in buona compagnia – dice Petrarcone – lo sapete che ha spento più lui in due anni tra penne Mont Blanc e quadri d’autore che l’intero parlamento tedesco?». Ride il sindaco Müller, batte le mani la piazza. Peppino aspetta il momento giusto e tira fuori la carta: dice che la Segreteria Tecnica ha dato parere favorevole e quindi può partire l’iter con cui bloccare la consegna degli acquedotti cittadini ad Acea. E’ l’asso nella manica tenuto per il finale, il mortaretto più grosso, l’effetto speciale con cui strappare l’applauso più grosso e raggiungere l’apoteosi.
A pochi passi di distanza, Carlo Maria l’ingegnere, quello alla mano e che riesce a parlare facile con la gente, racconta una storia del tutto diversa. Anche lui ha i testimonial e pure lui sceglie i sindaci: c’è Nicola Ottaviani di Frosinone, Antonio Salvati di San Giovanni Incarico… Senza giro di parole né i ghirigori lessicali che fanno quelli con la toga ma con la concretezza di chi fa i calcoli, comincia ad elencare tutte le promesse fatte da Petrarcone cinque anni fa da quella stessa piazza e che non ha mantenuto «E che oggi viene a riproporci, pari pari, come cinque anni fa». Si smarca con l’agilità di Cristiano Ronaldo dai terzi avversari dall’insinuazione che alle sue spalle ci sia l’ex sindaco Bruno Vincenzo Scittarelli : «Per dirla tutta, è Petrarcone che cinque anni fa venne eletto grazie al voto disgiunto fatto da Scittarelli. Infatti, l’asfalto della strada per la villa di Scittarelli è consumato dalle ruote della macchina del sindaco». Non si fa intrappolare nemmeno dall’accusa di essere una creazione di Abbruzzese: «Sì è uno dei leader del centrodestra che sostengono il mio schieramento, così come il senatore Gianmarco Centinaio per Noi con Salvini o i parlamentari di riferimento per Fratelli d’Italia. Ma il candidato sindaco sono io e qui sul palco ci sono solo io».
E poi il disegno della città che D’Alessandro vuole realizzare. la vuole ricucire, l’ingegnere, perché il polo universitario della Folcara ha tagliato in due Cassino e allora bisogna sviluppare il Parco del Gari, le vie ciclabili, un tram monorotaia che ricucia la città. Un disegno nel quale Montecassino e la Villa Comunale sono centrali e allora no alla funivia che Petrarcone vorrebbe realizzare perché è inutile. Si invece ad un parco della memoria, un museo della memoria e della storia di Cassino città della cultura, con eventi che concentrino su di lei l’attenzione dell’Italia ogni anno. E ancora: niente indennità di carica, i soldi vanno a finanziare un fondo… E’ quello il momento in cui il vento porta la voce sull’altra piazza e dall’altro palco arriva la risposta… Che Carlo Maria non raccoglie perchè non vuole dare peso a quel sindaco in scadenza.
E’ notte quando la città va a dormire. Con la consapevolezza che chiunque dei due vincerà, Peppino o Carlo Maria, potrà a pieno diritto essere chiamato ‘Signor Sindaco’. (ha collaborato Angela Nicoletti)